Cassazione civile, Ordinanza16 gennaio 2024 n. 1709.

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FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. F.A.. ha proposto ricorso articolato in otto motivi avverso la sentenza n. 1875/2018 della Corte d’appello di Salerno, depositata il 6 dicembre 2018.

Gli intimati A.M., A.L. e A.V. non hanno svolto attività difensive.

2. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4-quater, e 380 bis.1, c.p.c.

La ricorrente ha depositato memoria.

Va disattesa l’istanza formulata dalla ricorrente nella memoria depositata il 27 dicembre 2023 di rimessione della causa alle Sezioni Unite, “per l’evidente contrasto del principio enunciato dalla sentenza qui impugnata della Corte di Appello con la statuizione della sentenza a Sezioni Unite della Cassazione, n. 651 del 27 gennaio 1996”, essendo l’istanza irrituale ai sensi dell’art. 376, commi 2 e 3, c.p.c., né ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all’art. 374 c.p.c.

3. La Corte d’appello di Salerno, accogliendo l’appello proposto da A.M. avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 3708/14 del 25 luglio 2014, ha rigettato la domanda avanzata da F..A.. volta ad ottenere il rimborso delle spese sostenute dall’attrice, in costanza di matrimonio con C.A.., per la costruzione realizzata successivamente al (Omissis) ed ultimata nel (Omissis), in assenza di concessione edilizia, su un terreno di proprietà esclusiva di C.A Tale costruzione consisteva in un piano seminterrato destinato a deposito, in un piano rialzato destinato ad abitazione ed in un piano sottotetto anch’esso destinato a deposito. La concessione edilizia in sanatoria era poi stata emessa in favore degli eredi di C.A., quali comproprietari dopo il decesso di quest’ultimo avvenuto in data (Omissis). Premesso che, in ogni caso, il fabbricato apparteneva in via esclusiva a C.A., l’attrice F.A.. aveva dedotto che tutti i materiali acquistati per realizzare l’immobile non potessero non cadere nella comunione legale e, quindi, vantava il diritto al rimborso di una somma pari alla metà del valore dei materiali stessi e della manodopera impiegati nella realizzazione della costruzione. Tali importi erano stati calcolati da CTU nominato nel giudizio di primo grado.

La Corte d’appello di Salerno ha affermato che “nel caso di specie F.A. non ha fornito alcuna prova di aver contribuito con le proprie risorse alla costruzione dell’edificio, atteso che gli unici atti depositati in primo grado ad ella riferibili (la dichiarazione dei redditi anno (Omissis), la denuncia di successione del (Omissis), la scrittura privata di divisione tra le parti del presente giudizio del (Omissis), la concessione edilizia in sanatoria n. (Omissis) dell'(Omissis)) non consentono di ritenere in alcun modo provato che abbia contribuito alla realizzazione del fabbricato, né in quale misura vi abbia eventualmente partecipato, non essendo documentata alcuna spesa per materiali e manodopera. Da tanto consegue il rigetto della domanda avanzata in primo grado …”.

4. Il primo ed il secondo motivo del ricorso di F.A. denunciano la violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, le prime due censure spiegano che “l’attrice non ha mai agito nei confronti dei coeredi del defunto marito per la ripetizione dell’indebito ex art. 2033 del cod. civ, ovvero non ha mai richiesto a questi ultimi il rimborso di quanto speso, utilizzando proprie risorse, per la realizzazione della costruzione di proprietà esclusiva del marito. Invero, l’attrice ha formulato una domanda diversa, per petitum e causa petendi: la stessa, infatti, ha richiesto ai coeredi del marito il pagamento della metà del valore dei materiali e della manodopera adoperati per tale costruzione, di proprietà esclusiva del de cuius per il principio dell’accessione invertita. Ciò sul presupposto della vigenza del regime di comunione legale dei coniugi all’epoca della costruzione dell’immobile, che comporta … il sorgere al momento dello scioglimento della comunione – coincidente, nel caso di specie con il decesso del marito- del diritto di credito del coniuge non proprietario al rimborso della metà del valore dei materiali e della manodopera incorporati nel bene medesimo, essendo tali beni caduti nella comunione al momento stesso della loro venuta ad esistenza.

Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e la nullità della sentenza per motivazione solo apparente.

Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c. per avere l’appellante contestato solo in secondo grado la domanda della F.A. nel merito, avendo eccepito in primo grado unicamente la prescrizione del credito dell’attrice e la compensazione dello stesso con un altro.

Il quinto ed il sesto motivo di ricorso deducono la violazione o falsa applicazione degli artt. 167, 115 e 116 c.p.c., e degli artt. 2697, 177 comma 1 lettera a), 179, 192 comma 1, 195 ultima parte, 2728 comma 1 e 2729 c.c., affermando che “il diritto di credito della F.A. è stato … provato in primo grado, oltre che dalla documentazione prodotta a suo sostegno, anche dalla non contestazione di tale diritto da parte del convenuto. Difatti … in prime cure il convenuto non ha contestato affatto il presupposto del diritto di credito dell’attrice, che anzi ha ammesso, ma si è difeso, per tutta la durata del giudizio, eccependo solo la prescrizione e la compensazione di tale diritto”. La ricorrente invoca, tra l’altro la “presunzione legale iuris tantum di appartenenza alla comunione dei beni acquistati per la costruzione dell’immobile di proprietà esclusiva del de cuius”, sicché “era il convenuto che aveva l’onere di eccepire e provare in giudizio che i beni suddetti fossero invece personali e/o acquistati dal de cuius con denaro proprio e non rientrassero pertanto nella comunione”.

Il settimo motivo di ricorso allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. per “errata percezione delle prove” e “travisamento delle risultanze processuali”, costituite dai documenti prodotti dall’attrice a riprova della sua domanda”.

L’ottavo motivo di ricorso, infine, proposto in via subordinata, lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92, 2 comma, c.p.c., ratione temporis applicabile, avendo la Corte d’appello “ingiustamente condannato la sig.ra F.A. al pagamento delle spese di lite di primo e secondo grado e delle spese della ctu di prime cure, quando invece sussistevano giusti motivi di compensazione delle stesse, parzialmente o per intero”.

5. I primi sette motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili per plurime ragioni.

5.1. La sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, e non è perciò affatto “apparente”, consentendo un “effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 8053 del 2014; n. 22232 del 2016; n. 2767 del 2023).

La Corte d’appello di Salerno ha invero affermato che “nel caso di specie F.A. non ha fornito alcuna prova di aver contribuito con le proprie risorse alla costruzione dell’edificio, atteso che gli unici atti depositati in primo grado ad ella riferibili (la dichiarazione dei redditi anno (Omissis), la denuncia di successione del (Omissis), la scrittura privata di divisione tra le parti del presente giudizio del (Omissis), la concessione edilizia in sanatoria n. 761 dell’11 agosto 1999) non consentono di ritenere in alcun modo provato che abbia contribuito alla realizzazione del fabbricato, né in quale misura vi abbia eventualmente partecipato, non essendo documentata alcuna spesa per materiali e manodopera. Da tanto consegue il rigetto della domanda avanzata in primo grado …”.

La sentenza impugnata ha così deciso la questione di diritto dirimente in conformità al consolidato orientamento di questa Corte e i motivi di ricorso non offrono elementi per modificare tale orientamento (art. 360-bis, n. 1, c.p.c.).

Tale orientamento spiega che il principio generale dell’accessione posto dall’art. 934 c.c. non trova deroga nella disciplina della comunione legale tra coniugi, in quanto l’acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo originario senza la necessità di un’apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l’art. 177, comma 1, c.c. hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di natura negoziale, con la conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi (anche, come nella specie, nelle ipotesi in cui i coniugi abbiano optato per tale regime ai sensi dell’art. 228 della legge n. 151 del 1975) sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno di essi è a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest’ultimo, mentre al coniuge non proprietario, che abbia contribuito all’onere della costruzione spetta, previo assolvimento dell’onere della prova di avere fornito il proprio sostegno economico, il diritto di ripetere nei confronti dell’altro coniuge le somme spese a tal fine, ai sensi dell’art. 2033 c.c. (tra le tante, Cass. n. 28258 del 2019; n. 27412 del 2018; n. 20508 del 2010; n. 7060 del 2004; n. 8585 del 1999; a far tempo tutte da Cass. Sezioni Unite n. 651 del 1996).

A differenza di quanto suppone la ricorrente, il fatto che si assuma che la tutela del coniuge non proprietario del suolo operi non sul piano del diritto reale (nel senso che questi non può vantare alcun diritto di comproprietà, anche superficiaria, sulla costruzione), ma sul piano obbligatorio, nel senso, cioè, che allo stesso compete un diritto di credito relativo alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione, non significa che funzioni alcuna presunzione, imposta dalla disciplina del diritto di famiglia, di provenienza del danaro impiegato dal coniuge non proprietario. La fattispecie, infatti, resta regolata dalla norme in tema di accessione e rimane estranea all’art. 177 c.c., sicché, con riguardo al diritto di credito del coniuge non può essere riconosciuto alcun automatismo rispetto alla realizzazione dell’opera e la sua dimostrazione non si sottrae all’applicazione delle norme comunemente vigenti in materia di onere della prova: al coniuge non proprietario incombe, cioè, l’onere della prova d’aver fornito il proprio sostegno economico contribuendo all’onere della costruzione.

5.2. I riferimenti alle risultanze probatorie e al principio di non contestazione sono poi inammissibili ex art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quanto i motivi non indicano specificamente, illustrandone il contenuto rilevante, gli atti e i documenti del processo nei quali fosse stato allegato che F.A. aveva contribuito all’onere della costruzione e così sostenuto spese a tal fine, ovvero nei quali l’unico convenuto costituito avesse riconosciuto che tali spese erano state sostenute.

6.L’ottavo motivo di ricorso è a sua volta inammissibile, giacché la facoltà di disporre la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese del soccombente, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. Sez. Unite n. 14989 del 2005).

7. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, non dovendosi regolare le spese processuali perché nessuno degli intimati ha svolto attività difensive.

Sussistono le condizioni per dare atto ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione dichiarata inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Cassazione civile Ordinanza 21.07.2023 n. 21901

Cassazione civile Ordinanza 21.07.2023 n. 21901.

(…omissis…)

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 68/2008 del 15/28.2.2008 il Tribunale di Vibo Valentia, acquisiti documenti ed espletata prova testimoniale, respingeva la domanda di (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

Avverso la sentenza di primo grado proponevano appello alla Corte d’Appello di Catanzaro le attrici del primo grado, contrastate dalla Banca (OMISSIS) S.P.A., lamentando col primo motivo che non fossero stati opportunamente valorizzati i troppi errori commessi dalla Banca (OMISSIS) S.P.A., che aveva avviato la procedura di ammortamento del titolo, recapitato gli estratti conto bancari e consegnato loro copia del libretto di deposito nominativo n. (OMISSIS) e che non fosse stato considerato che il loro dante causa era regolarmente destinatario di tutte le relazioni previste dalla legge per i titolari di posizioni economiche presso l’Istituto, nel quale si recava per le operazioni bancarie; col secondo motivo che era erronea e carente la motivazione della sentenza di primo grado in ordine all’errore imputabile alla banca dovendosi ritenere che la non corrispondenza dell’intestazione del libretto di deposito nominativo n. (OMISSIS) ai dati del loro dante causa fosse imputabile ad errore della banca stessa; col terzo motivo che il Tribunale di Vibo Valentia aveva ritenuto di non provvedere sulle eccezioni sollevate dalle attrici sulla base di un precostituito convincimento errando nell’interpretazione dell’onere probatorio.

Con la sentenza n. 1124/2018 del 5.6.2018 la Corte d’Appello di Catanzaro respingeva l’appello e condannava le appellanti alle spese processuali di secondo grado, rilevando che le stesse, non solo non avevano fornito la prova neppure in secondo grado della loro qualita’ di eredi del (OMISSIS) nato a (OMISSIS), ma a fronte della prova offerta dalla Banca (OMISSIS) S.P.A. dell’intestazione del libretto nominativo di risparmio n. (OMISSIS) a (OMISSIS) nato a (OMISSIS), non avevano neppure allegato di essere eredi di quest’ultimo.

Avverso la menzionata sentenza di secondo grado, a loro notificata l’11.6.2018, hanno proposto ricorso alla Suprema Corte le eredi di (OMISSIS) (nato a (OMISSIS)), con atto notificato il 20.6.2018, affidandosi a due motivi, ed ha resistito l’ (OMISSIS) S.P.A., che ha incorporato la Banca (OMISSIS) S.P.A. con atto di fusione del notaio (OMISSIS) di Brescia del 2.2.2017, rep. n. (OMISSIS), racc. n. (OMISSIS), con controricorso notificato il 18.7.2018.

In prossimita’ dell’adunanza camerale la controricorrente ha curato anche il deposito di memoria ex articolo 380 bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 533 c.c. (relativo all’azione di petizione ereditaria) e articolo 1777 c.c. (relativo alla restituzione della cosa depositata) in quanto assumono che la loro qualita’ di eredi di (OMISSIS), nato a (OMISSIS), risultava dagli atti processuali ed in particolare dalla denuncia di successione, atto di natura fiscale che andava presentato all’Agenzia delle Entrate entro un anno dal decesso e nel quale i dichiaranti, secondo la giurisprudenza penale, avevano l’obbligo di dichiarare il vero per non incorrere nel reato dell’articolo 483 c.p. e che assumeva quindi valore di atto pubblico ex articolo 2699 c.c..

L’impugnata sentenza ha respinto l’azione delle pretese eredi di (OMISSIS) nato a ( Omissis) il 6.11.1913 di accertamento del loro diritto a percepire la somma di Euro 9.283,87, che risultava depositata alla data del 21.1.2002 sul libretto di deposito nominativo n. (OMISSIS) della Banca (OMISSIS) S.P.A., sia in quanto le stesse non avevano fornito adeguata prova di tale loro qualita’, sia in quanto era documentalmente provato che il suddetto libretto nominativo risultava intestato non al dante causa delle attrici indicato in citazione, (OMISSIS) nato a (OMISSIS), ma a (OMISSIS) nato a (OMISSIS).

Il primo motivo e’ infondato.

Per giurisprudenza consolidata della Suprema Corte la denuncia di successione non importa accettazione tacita dell’eredita’, e quindi la prova della qualita’ di erede, trattandosi di un adempimento di contenuto prevalentemente fiscale (una mera notizia all’amministrazione finanziaria), diretto ad evitare l’applicazione di sanzioni, che di per se’ non denota in modo univoco la volonta’ di accettare l’eredita’ e rientra tra gli atti di natura conservativa e di amministrazione temporanea che il chiamato a succedere puo’ compiere in base ai poteri conferitigli dall’articolo 460 c.c. (vedi in tal senso Cass. 2.2.2023 n. 3214; Cass. 26.11.2021 n. 36767; Cass. n. 19478 del 2014), ne’ non sono stati prodotti certificati di stato di famiglia, o storici di residenza per dimostrare il rapporto parentale tra le attrici e (OMISSIS), nato a (OMISSIS).

A cio’ va aggiunto che le ricorrenti non hanno mai sostenuto di essere eredi di (OMISSIS) nato a (OMISSIS), che e’ risultato essere l’intestatario del libretto di deposito nominativo n. (OMISSIS) acceso presso la Banca (OMISSIS) S.P.A., limitandosi ad ipotizzare che quest’ultima avrebbe errato nell’intestarlo al predetto anziche’ al loro preteso dante causa, (OMISSIS), nato a (OMISSIS), senza neppure spiegare in quali termini e per quali ragioni un siffatto errore sarebbe stato commesso.

Col secondo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 1992 c.c. (relativo al diritto del possessore del titolo di credito alla prestazione in esso indicata dietro presentazione del titolo stesso purche’ legittimato nelle forme prescritte) e seguenti, in quanto la Corte d’Appello di Catanzaro non avrebbe considerato che le eredi erano in possesso del libretto nominativo di risparmio originale, sottratto dall’istituto bancario, che ne aveva rilasciato un duplicato, adagiandosi solo sulla carenza del titolo di eredi del (OMISSIS) nato a (OMISSIS).

La infondatezza del primo motivo determina l’assorbimento improprio dell’ulteriore motivo, vertendo il medesimi su profili il cui esame postulava l’accoglimento del primo mezzo, implicando il medesimo l’avvenuto positivo accertamento della qualita’ di eredi delle ricorrenti.

Infatti, una volta confermata la mancanza di prova della qualita’ delle originarie attrici di eredi di (OMISSIS) (nato a (OMISSIS)) ed a maggior ragione di eredi del (OMISSIS) nato a (OMISSIS), l’unico risultato intestatario del libretto di deposito nominativo n. (OMISSIS) della Banca (OMISSIS) S.P.A., l’esame del secondo motivo risulta superfluo, tanto piu’ che l’invocato articolo 1992 c.c. relativo alla cosiddetta astrattezza, ossia alla legittimazione cartolare del presentatore del titolo di credito a far valere il diritto alla prestazione incorporata nel titolo a prescindere dalla prova del rapporto sottostante, non si applica ai libretti di deposito nominativo, che appartengono alla specie dei documenti di legittimazione ex articolo 2002 c.c. e non hanno invece natura di titoli di credito, per cui sono sottratti alla disciplina del titolo V del libro IV del codice civile, che comprende anche l’articolo 1992 c.c. e seguenti (vedi Cass. 13 maggio 2020, n. 8877; Cass. 15 luglio 1987, n. 6242; Cass. 9 febbraio 1981, n. 798), sicche’ senza la prova della qualita’ di eredi dell’intestatario del libretto non sarebbe comunque invocabile un’autonoma legittimazione delle originarie attrici basata sul solo possesso del duplicato del libretto di risparmio nominativo rilasciato loro dalla banca. Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

In base al principio della soccombenza, le ricorrenti vanno condannate in solido al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimita’ in favore della (OMISSIS) S.P.A..

Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater per l’imposizione di un ulteriore contributo unificato a carico delle ricorrenti, se dovuto.

Nell’appalto il direttore dei lavori deve avere le competenze per controllare la corretta esecuzione delle opere.

Nel contratto di appalto, il direttore dei lavori, quale rappresentante del committente, deve avere le competenze necessarie per controllare la corretta esecuzione delle opere da parte dell’appaltatore e dei suoi ausiliari, essendo altrimenti tenuto ad astenersi dall’accettare l’incarico o a delimitare, sin dall’origine, le prestazioni promesse. Il direttore dei lavori, pertanto, è responsabile nei confronti del committente, se non rileva in corso d’opera l’inadeguatezza delle opere strutturali, benché affidate ad altro professionista, salvo che dimostri che i vizi potevano essere verificati solo a costruzione ultimata. (Cassazione Civile, Ordinanza 4.07.2023 n. 18839). 

Azione di rivendicazione e onere della prova

Il principio secondo cui il rigore dell’onere probatorio in materia di rivendicazione si attenua quando il convenuto non contesti l’originaria appartenenza del bene rivendicato al comune autore o ad uno dei danti causa dell’attore, essendo sufficiente in tal caso che il rivendicante dimostri che il bene abbia formato oggetto del proprio titolo di acquisto, non trova applicazione nel caso in cui il convenuto  proponga una domanda riconvenzionale di usucapione. Ciò perché, essendo quest’ultima un titolo d’acquisto originario, non implica alcun riconoscimento a favore della controparte, a meno che il convenuto stesso non opponga un acquisto per usucapione successivo al titolo del rivendicante ovvero avendo riconosciuto l’originaria appartenenza del bene ad uno dei danti causa dell’attore medesimo, deduca essersi verificata l’usucapione solo successivamente. (Cassazione civile, Ordinanza 23.06.2023 n. 18059)

Mediatore e dovere di informativa ai sensi dell’art 1759 c.c.

Il mediatore, ai sensi dell’articolo. 1759, comma 1, codice civile, deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, o che avrebbe dovuto conoscere con l’uso della diligenza impostagli dalla natura professionale dell’attività esercitata, relative alla valutazione ed alla sicurezza dell’affare, che possano influire sulla conclusione di esso o determinare le parti a perfezionare il contratto a diverse condizioni; ne consegue che, ove l’affare sia concluso, può sussistere la responsabilità risarcitoria del mediatore nel caso di mancata informazione del promissario acquirente sull’esistenza di irregolarità urbanistiche o edilizie non ancora sanate relative all’immobile oggetto della promessa di vendita, dovendosi comunque verificare l’adempimento di questo dovere di informazione da parte del mediatore con esclusivo riferimento al momento della conclusione dell’affare (Cassazione civile, Ordinanza 2.05.2023 n. 11371). 

Clausola che prevede la maturazione del diritto alla provvigione in una fase che non corrisponde alla conclusione dell’affare.

Deve considerarsi come non apposta per nullità parziale di protezione, ai sensi dell’art. 36, comma 1, del d.lgs. n. 206 del 2005, la clausola contenuta in un contratto di mediazione che preveda la maturazione del diritto alla provvigione in una fase che non corrisponde alla conclusione dell’affare, nell’interpretazione datane dalla giurisprudenza di legittimità. Ciò in quanto determina un significativo squilibrio normativo ex art. 33, comma 1, del citato d.lgs., così stravolgendo il fondamento causale dell’operazione economica posta in essere dalle parti (Corte di Cassazione, civile, Sentenza 11 aprile 2023 n. 9612)

Quando una disposizione testamentaria può dirsi effetto di dolo ?

La disposizione testamentaria può dirsi effetto di dolo, ai sensi dell’articolo 624, comma 1, del codice civile, quando c’è la prova dell’uso di mezzi fraudolenti che, considerata l’età, lo stato di salute, le condizioni di spirito del testatore, siano stati idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in una direzione verso la quale non si sarebbe spontaneamente indirizzata. L’idoneità dei mezzi usati deve essere valutata con criteri di larghezza nei casi in cui il testatore, affetto da malattie senili che causano debolezze decisionali ed affievolimenti della consapevolezza affettiva, sia più facilmente predisposto a subire l’influenza dei soggetti che lo accudiscono o con cui da ultimo trascorrono la maggior parte delle sue giornate. (Cassazione Civile, Ordinanza 17 ottobre 2022 n. 30424)

Conclusione dell’affare e diritto alla provvigione del mediatore

Per riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 c.c., oppure per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato.
Il diritto alla provvigione va, invece, escluso quando tra le parti non sia stato concluso un “affare” in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dello stesso, come nel caso in cui sia stato stipulato un patto di opzione, idoneo a vincolare una parte soltanto, ovvero un cd. “preliminare di preliminare”, costituente un contratto ad effetti esclusivamente obbligatori non assistito dall’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. in caso di inadempimento (Cassazione civile, Ordinanza 5.Ottobre 2022 n. 28879)

Riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo compensativa: fondamento.

Il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto che uno degli ex coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e dei figli, né sull’esistenza di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi – che costituisce solo una precondizione fattuale per l’applicazione dei parametri di cui all’art. 5, comma 6, l. n. 898 del 1970. E’ invece necessaria un’indagine sulle ragioni e sulle conseguenze della scelta, seppure condivisa, di colui che chiede l’assegno, di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare, che assume rilievo nei limiti in cui comporti sacrifici di aspettative professionali e reddituali, la cui prova spetta al richiedente.
(Cassazione civile, Ordinanza 13 ottobre 2022 n. 29920)

Consegna e accettazione dell’opera nel contratto d’appalto.

Nell’appalto, ai sensi dell’art. 1665, comma 4, cod. civ., è necessario distinguere tra atto di “consegna” e atto di “accettazione” dell’opera. La prima è un atto puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente. La seconda richiede, al contrario, che il committente esprima (anche “per facta concludentia”) il gradimento dell’opera stessa, con conseguente manifestazione negoziale che comporta effetti ben determinati, quali l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo. (Cassazione civile, Ordinanza 23 settembre 2022 n. 27915)