Cassazione civile, Ordinanza 22 luglio 2022 n. 22979.

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FATTI DI CAUSA
1.- Con citazione notificata il 19 novembre 2004, (OMISSIS) , quale titolare della ditta (OMISSIS), conveniva, davanti al Tribunale di Roma, il Pastificio (OMISSIS) S.n.c. (ora S.r.l.), chiedendo che fosse accertata la responsabilita’ della societa’ convenuta per i danni causati alla ditta (OMISSIS) e, per l’effetto, che essa fosse condannata al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 231.000,00.
Esponeva, in proposito, l’attore: che, dopo venti anni dall’inizio di una collaborazione con il Pastificio (OMISSIS), consistita nella produzione, per conto della ditta (OMISSIS), di pasta a marchio (OMISSIS) in confezioni da 3 kg. ciascuna e di pasta da minestra o da brodo a marchio (OMISSIS) in buste da 500 gr., nel settembre 2001, la qualita’ del prodotto peggiorava sensibilmente e nei mesi successivi raggiungeva livelli intollerabili; che ne era scaturita una serie di lamentele da parte di alcuni ristoratori forniti dalla ditta (OMISSIS); che quest’ultima era conseguentemente costretta a restituire, nel corso dell’anno 2002, complessivi 2.366 kg. di pasta e, in data 18 marzo 2002, denunciava formalmente i vizi del prodotto, dando incarico al laboratorio di analisi della Camera di Commercio di Roma di esaminare due campioni di pasta sigillata a marchio (OMISSIS), con risultati attestanti il disvalore nel grado cli acidita’ del prodotto; che, nel settembre 2002, aveva comunicato alla propria clientela l’intervenuto accordo di collaborazione e produzione con il Pastificio (OMISSIS) S.r.l., sopportando un sensibile aumento dei costi di fornitura e una consequenziale diminuzione dei profitti, stante la decisione di conservare inalterato il prezzo del prodotto ai terzi; che il mese successivo proponeva al Pastificio (OMISSIS) una nuova collaborazione ovvero la prosecuzione della stessa a prezzi diversi; che la condotta negligente del Pastificio (OMISSIS) le aveva cagionato una flessione cli fatturato e la perdita totale del marchio (OMISSIS), con un conseguente danno calcolato nella misura complessiva di Euro 231.000,00
Si costituiva in giudizio il Pastificio (OMISSIS), il quale resisteva alla domanda e, in particolare, deduceva: che l’azione proposta dall’attore era improponibile, in quanto era intercorsa, di fatto, ti-a le parti, una transazione sulla questione della scarsa qualita’ del prodotto fornito, a seguito della corrispondenza scambiata e per successivi comportamenti concludenti; che l’azione di garanzia per i vizi del prodotto si era prescritta ed era maturata la decadenza; che i vizi denunciati erano inesistenti e, comunque, non vi era prova idonea sul punto, come dimostrato dagli esami affidati al laboratorio (OMISSIS), nonche’ dagli esiti conformi resi dalla (OMISSIS) S.r.l., secondo cui non sussisteva alcuna anomalia del prodotto fornito al (OMISSIS) e da questo restituito. Spiegava, altresi’, domanda riconvenzionale, chiedendo che (OMISSIS) , quale titolare della ditta (OMISSIS), fosse condannato al risarcimento dei danni per violazione dei doveri di correttezza e buona fede nonche’ al pagamento della somma di Euro 5.500,00, quale saldo di alcune fatture non pagate, come riconosciuto dal (OMISSIS) nella lettera del 10 luglio 2003.
Nel corso del giudizio era esperita una consulenza tecnica d’ufficio al fine di verificare se fossero esistite le lamentate “difettosita’” del prodotto, considerando anche l’avvenuta scadenza.

Il Tribunale adito, con sentenza parziale n. 11219/2008, depositata il 28 maggio 2008, riconosceva la responsabilita’ del Pastificio (OMISSIS) per i vizi del prodotto e rimetteva la causa sul ruolo allo scopo di quantificare il danno mediante apposita consulenza tecnica d’ufficio contabile. Contestualmente, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta, condannava la ditta attrice al pagamento della somma di Euro 5.100,00, relativa al debito pregresso da essa maturato, per il mancato pagamento di alcune forniture.
Seguiva l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio in materia contabile.
All’esito, il Tribunale, con sentenza definitiva n. 5272/2013, depositata l’11 marzo 2013, confermava la responsabilita’ della convenuta e condannava il Pastificio (OMISSIS) al risarcimento del danno, in favore della ditta (OMISSIS), nella misura di Euro 15.738,70, di cui Euro 12.000,00 a titolo di danno relativo al decremento di fatturato ed Euro 3.738,70 a titolo di lucro cessante, per la mancata disponibilita’ della somma indicata. Confermava, altresi’, la condanna della ditta (OMISSIS) al pagamento, in favore del Pastificio (OMISSIS), della somma di Euro 5.100,00, a titolo di pagamento delle forniture eseguite.
2.- Sul gravame interposto – in via principale – da (OMISSIS), in qualita’ di procuratore generale di (OMISSIS) , quale titolare della ditta (OMISSIS), con citazione notificata in data 8 ottobre 2013, e – in via incidentale – dal Pastificio (OMISSIS) S.r.l., avverso la pronuncia parziale (in ordine alla quale era stata formulata riserva di appello) nonche’ la pronuncia definitiva, la Corte d’appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, in accoglimento dell’appello incidentale, in totale riforma delle pronunce impugnate, rigettava la domanda di risarcimento dei danni proposta da (OMISSIS) e modificava l’importo della condanna disposta in favore del Pastificio (OMISSIS) da Euro 5.100,00 ad Euro 5.500,00.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte territoriale rilevava: a) che, all’esito del preliminare esame dell’appello incidentale, doveva essere condivisa la critica di merito relativa alla prova che la pasta fornita alla ditta (OMISSIS) fosse effettivamente difettosa, non avendo fornito tale ultima ditta la prova che le lamentele della clientela attenessero ad un prodotto difettoso e non piuttosto ad un prodotto non piu’ di interesse rispetto ad altre paste esistenti sul mercato artigianale; b) che non era stata altresi’ data la prova che le forniture di pasta presentassero dei difetti di fabbricazione o non conformita’ rispetto agli standard organolettici od igienici del settore; c) che, benche’ la consulenza d’ufficio espletata nel giudizio di prime cure avesse concluso, in qualche modo, per la presenza delle “difettosita’” lamentate in citazione, dal tenore complessivo della relazione si comprendeva chiaramente – per un verso – che l’esame e le indagini compiuti dal consulente si erano limitati alla verifica delle analisi di laboratorio che le parti in causa avevano gia’ disposto a suo tempo, prima che fosse instaurata la causa, con risultati opposti, nonche’ alla descrizione astratta del prodotto, delle sue caratteristiche e delle modalita’ di stoccaggio e conservazione, e – per altro verso – che solo limitatamente a cinque confezioni di pasta, che il (OMISSIS) aveva trattenuto come campioni della giacenza contestata, era stata svolta una verifica effettiva; d) che la stessa relazione tecnica aveva evidenziato che era inopportuno trattenere detti limitati campioni residui per far eseguire ulteriori accertamenti analitici, considerando, non tanto l’avvenuta scadenza del prodotto, quanto gli aspetti legati ad una scarsa rappresentativita’ del lotto, costituito da almeno due diverse tipologie di pasta (tra l’altro, una delle cinque confezioni, nella parte posteriore, presentava due fori ben visibili nel materiale di confezionamento), nonche’ all’impossibffita’ di effettuare eventuali controanalisi in caso di parametri non conformi ai limiti di legge, proprio per l’esiguita’ dei campioni disponibili; e) che non poteva essere dichiarata la responsabilita’ contrattuale del fornitore, poiche’ non era stata data la prova che la merce venduta fosse difettosa, quantomeno in una quantita’ tale da inficiare il valore dell’intera prestazione, ricadendo l’onere della prova dei difetti, delle conseguenze dannose e del nesso causale a carico del compratore; f) che, trattandosi di fornitura di prodotto in quantita’ rilevanti, non era sufficiente la prova che pochissime confezioni di pasta presentassero un prodotto con difetti, ma era necessario fornire una prova piu’ consistente, anche tenuto conto delle conseguenze negative che parte attrice aveva ritenuto di collegare all’altrui inadempimento, ossia il danno da perdita di clientela nonche’ i danni all’immagine e alla reputazione commerciale; g) che le prove e le analisi fatte svolgere ante causam dalle parti avevano dato esiti opposti (quelle svolte su incarico del (OMISSIS) avevano dato conferma delle “difettosita’”, le due svolte su incarico del Pastificio (OMISSIS) avevano dato esiti negativi), mentre la consulenza tecnica d’ufficio si era concentrata su un segmento per nulla significativo del rapporto di fornitura di pasta; h) che, per l’effetto, la domanda risarcitoria doveva essere disattesa, perche’ priva di fondamento, con la riforma delle sentenze impugnate e con accertamento del credito vantato dalla (OMISSIS) nell’importo complessivo di Euro 5.500,00, e non gia’ di Euro 5.100,00, come erroneamente indicato nelle decisioni gravate.
3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, (OMISSIS), in qualita’ di procuratore generale di (OMISSIS) , quale titolare della ditta (OMISSIS). Ha resistito con controricorso l’intimato Pastificio (OMISSIS) S.r.l.
4.- Il controricorrente ha presentato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione ed errata applicazione delle norme di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 187/2001, al regolamento (CE) n. 178/2002, al Decreto Legge (recte Decreto Legislativo n.) n. 155/1997 (abrogato dal Decreto Legislativo n. 193 del 2007) e degli articoli 1218, 2043, 2049, 2051 e 2052 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto che le indagini e le conclusioni del consulente d’ufficio, nominato in primo grado, svolte seguendo le normative succitate, non potessero fondare una pronuncia di responsabilita’ contrattuale a carico della societa’ appellante incidentale, in difetto della prova che la merce venduta fosse difettosa in una quantita’ tale da inficiare il valore dell’intera prestazione.
Secondo l’istante, correttamente il Tribunale aveva formulato i quesiti, facendo esplicita richiesta di visionare i campioni conservati e non intere forniture o giacenze di pedane, poiche’ le stesse erano state interamente restituite al produttore-venditore, che aveva ritirato la merce riconoscendola difettosa, come da note di reso e note di credito in atti, fino alla data del 22 dicembre 2003.
Deduce, ancora, che l’ausiliario del Giudice, esaminando le foto in atti, aveva riscontrato le lamentate “difettosita’”, sicche’ la Corte territoriale, in spregio alla normativa sulla produzione e la commercializzazione di sfarinati e paste alimentari e sulla sicurezza alimentare, negando la tutela risarcitoria invocata, aveva violato Decreto del Presidente della Repubblica n. 187 del 2001 articolo 3, n. 4, che vieta di vendere, detenere per vendere, nonche’ impiegare per la panificazione, pastificazione o altri usi alimentari, sfarinati comunque alterati, adulterati, sofisticati o invasi da parassiti animali o vegetali.
Argomenta il ricorrente che dalle indagini peritali era emerso che la pasta periziata presentava ictu oculi varie imperfezioni cromatiche di colorazione piu’ chiara e ambrata all’interno della stessa confezione, evidenti puntinature scure e bianche mentre su altre confezioni si rinvenivano formati di pasta con evidenti spezzature e malformazioni.
Sostiene, poi, l’istante che, quanto ai punti neri riscontrati sulla pasta, il consulente d’ufficio aveva dichiarato che in genere tali difetti si possono manifestare qualora siano state macinate cariossidi di grano duro infestate da parassiti.
Quindi, evidenzia che, secondo lo stesso consulente d’ufficio, la totalita’ delle anomalie non era ascrivibile allo stato di conservazione del prodotto, bensi’ a carenze nel sistema di produzione, ampliate successivamente con il sopraggiunto grave difetto delle striature di grasso, che aveva pregiudicato in modo esponenziale i gia’ gravi danni arrecati e aveva determinato lo sviamento della clientela.

Prospetta, altresi’, che le campionature analizzate dalla Camera di Commercio di Roma presentavano una percentuale di acidita’ superiore a 4 gradi e, secondo le stesse precisazioni dell’ausiliario del Giudice, il valore di acidita’ oltre i 4 gradi era indice di difetto ed errori in fase di produzione, dove l’impasto va incontro a processi di fermentazione lattica.
Ad avviso del ricorrente, in base all’articolo 14, punto 6, del regolamento CE n. 178/2002 del 28 gennaio 2002, recante normative sulla sicurezza alimentare, qualora un alimento a rischio faccia parte di una partita, lotto o consegna di alimenti della stessa classe e descrizione, si presume che tutti gli alimenti contenuti in quella partita, lotto o consegna siano a rischio.
Sicche’ l’istante rileva che la motivazione della sentenza d’appello sarebbe stata errata, nella parte in cui ha ritenuto non sufficiente la prova delle “difettosita’” della pasta sui campioni conservati (corrispondenti ai cinque pacchi appartenenti ai lotti forniti dal Pastificio (OMISSIS) e dalla stessa riconosciuti di propria provenienza in sede di verifica peritale), in quanto, in base al principio di precauzione, le “difettosita’” riscontrate su alcuni alimenti avrebbero dovuto far desumere che l’intero lotto, partita o consegna fosse comunque difettoso.
In ultimo, precisa che i risultati dei laboratori incaricati dalla (OMISSIS) costituivano meri atti di parte, privi di valore probatorio e gia’ contestati dal ricorrente.
1.1.- Il motivo e’ infondato.
E tanto perche’, attraverso le mentite sembianze di una plurima violazione di legge (peraltro, in alcuni casi, denunciata rispetto ad interi testi normativi), si tende in realta’ a contestare la valutazione in fatto effettuata dalla Corte di merito, che appare esente da vizi logici e giuridici.
Ora, in tema di ricorso per cassazione, esula dal vizio di legittimita’, anche ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice di merito si e’ formato, ex articolo 116, primo e comma 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio e al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto, operato mediante ila valutazione della maggiore o minore attendibilita’ delle fonti di prova, essendo esclusa, in ogni caso, una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimita’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15276 del 01/06/2021; Sez. 6-5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014).
Nella fattispecie, il Giudice del gravame ha osservato che, dal tenore complessivo della relazione peritale svolta nel giudizio di primo grado, si comprendeva chiaramente – per un verso – che l’esame e le indagini compiuti dal consulente si erano limitati alla verifica delle analisi di laboratorio che le parti in causa avevano gia’ disposto a suo tempo, prima che fosse instaurata la causa, pervenendo peraltro a risultati opposti, nonche’ alla descrizione astratta del prodotto, delle sue caratteristiche e delle modalita’ di stoccaggio e conservazione, e – per altro verso – che solo limitatamente a cinque confezioni di pasta (misura assolutamente esigua rispetto alla consistenza dell’intera fornitura, di c:ui il destinatario lamentava i vizi), che il (OMISSIS) aveva trattenuto come campioni della giacenza contestata, era stata svolta una verifica effettiva, peraltro a distanza di anni dall’avvenuta consegna.

All’uopo, la Corte territoriale ha, altresi’, evidenziato che la stessa relazione tecnica aveva reputato che fosse inopportuno trattenere detti limitati campioni residui per far eseguire ulteriori accertamenti analitici, considerando, non solo l’avvenuta scadenza del prodotto, ma anche gli aspetti legati ad una scarsa rappresentativita’ del lotto, costituito da almeno due diverse tipologie di pasta (tra l’altro, una delle cinque confezioni, nella parte posteriore, presentava due fori ben visibili nel materiale di confezionamento), nonche’ all’impossibilita’ di effettuare eventuali controanalisi in caso di parametri non conformi ai limiti di legge, proprio per l’esiguita’ dei campioni disponibili.
Sicche’ la Corte d’appello ha concluso nel senso che, attesa l’insufficienza delle indagini peritali ai fini di ritenere esistenti i vizi dedotti, la carenza di prova sarebbe ricaduta sull’acquirente della fornitura.
Ne’ miglior sorte puo’ avere l’evocata previsione secondo cui la presenza di difetti su alcuni alimenti lascia presumere che essi si estendano agli alimenti dell’intera partita, lotto o consegna, posto che – a prescindere dall’applicabilita’ della norma indicata nel caso di specie – non e’ emerso, secondo la ricostruzione cui ha aderito il Giudicante in sede di impugnazione, che le “difettosita’” rilevate sulle cinque confezioni di pasta esaminate fossero riconducibili ad un vizio di produzione.
La conclusione cui la sentenza d’appello e’ giunta e’ conforme al principio sancito da questa Corte sulla ripartizione dell’onere probatorio nell’azione generale di garanzia per i vizi, spettante In ragione della conclusione di un contratto di vendita, cui deve essere ricondotta la fornitura.
In materia di garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui all’articolo 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’articolo 1492 c.c. (o anche di risarcimento dei danni) e’ gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi stessi (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1218 del 17/01/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 34636 del 16/11/2021; Sez. 2, Sentenza n. 21258 del 05/10/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 16073 del 28/07/2020; Sez. 2, Sentenza n. 8199 del 27/04/2020; Sez. U, Sentenza n. 11748 del 03/05/2019).
La Corte d’appello ha congruamente applicato tale principio, sussumibile nella fattispecie concreta, secondo le affermazioni gia’ enucleate prima della citata sentenza delle Sezioni Unite (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18947 del 31/07/2017; Sez. 2, Sentenza n. 18125 del 26/07/2013; Sez. 2, Sentenza n. 13695 del 12/06/2007).
A fronte di questo quadro sistematico, non vi e’ spazio per ulteriori verifiche nella sede di legittimita’, poiche’ esse presupporrebbero una rivalutazione del materiale probatorio, evidentemente non consentita.
Infatti, il giudizio di cassazione e’ un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non e’ mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalita’ e logicita’ della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa.
Ne consegue che la parte non puo’ limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 6519 del 06/03/2019; Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014).

2.- Con il secondo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione ed errata applicazione degli articoli 1218, 2043, 2049, 2051 e 2052 c.c., per avere la Corte d’appello escluso la responsabilita’ del fornitore, benche’ i pacchi di pasta a marchio (OMISSIS) presentassero ictu oculi difetti, per i danni che le forniture viziate avevano determinato sul decremento delle vendite e sulla lesione del marchio storico.
Ad avviso del ricorrente, la fornitura di merce inadeguata alla vendita e al consumo aveva causato grave danno all’immagine del titolare della ditta, con perdita della clientela affezionata dopo lunghi decenni di lavoro e con la necessita’ di rivolgersi per gli approvvigionamenti direttamente alla concorrenza, corrispondendo conseguentemente le forniture a prezzi piu’ alti.

2.1.- L’esame di tale critica e’ assorbito dal rigetto del primo motivo.
Infatti, la mancata prova dei difetti denunciati nella fornitura di pasta ha indotto, in via meramente consequenziale, il Giudice del gravame a disattendere la domanda risarcitoria per carenza della condotta lesiva.
3.- Alle considerazioni innanzi espresse consegue il rigetto del ricorso. Le spese e i compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Pur essendo il ricorso infondato in ordine a tutti i motivi articolati, non sussistono le condizioni per disporre la condanna, ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, al pagamento, a carico del ricorrente e in favore del controricorrente, di una somma equitativamente determinata, in aggiunta alla refusione delle spese di lite, come richiesto da quest’ultimo, poiche’
difetta il requisito dell’azione, nel giudizio di legittimita’, con mala fede o / colpa grave.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 30 maggio 2002, articolo 13, comma 1-quater, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 7.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.