Cassazione civile, ordinanza 23 ottobre 2015, n. 21669

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

Ordinanza 23 ottobre 2015, n. 21669

Fatto e diritto

Ritenuto che, con riferimento alla causa n. 18714 del 2014, il consigliere designato ha depositato, in data 12 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:
“Con sentenza in data 21 gennaio 2014, la Corte d’Appello di Torino, respinta la richiesta di corresponsione dell’assegno divorzile in favore della sig.ra D., ha parzialmente accolto l’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale di Cuneo e rideterminato l’importo dell’assegno mensile che M.G.A. deve corrispondere in favore dei figli propri e della D., con compensazione delle spese processuali.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso il sig. M., con atto notificato il 18 luglio 2014, sulla base di due motivi, con cui denuncia:
a) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti.
b) Violazione di legge (art. 6 l. 898/70 in rif. all’art. 147 c.c. e all’art. 148 c.c., anche in relaz. All’art. 2697 c.c.;
Il coniuge ha resistito con controricorso osservando che il ricorso in oggetto si converte in ricorso incidentale condizionato verso la medesima sentenza. Il ricorso, come osservato dalla controricorrente, ancorché proposto con atto a sé stante, si converte in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti), risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 cod. proc. civ., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi (Sez. L, Sentenza n. 5695 del 2015): ciò che nella specie è stato assicurato.
Esso, comunque, con l’esame congiunto dei due mezzi, appare complessivamente infondato.
Con essi si lamenta la mancata esclusione dell’assegno di mantenimento dei figli, posto a carico di un notaio destituito dal proprio incarico professionale e attualmente esercente la professione legale. La Corte ha confermato l’obbligo di mantenimento dei due figli (studenti universitari e maggiorenni, perciò non ancora indipendenti sul piano economico e conviventi con la madre), in ragione del complessivo patrimonio posseduto dall’ex notaio M. e dal fatto che costui, in aggiunta, ha cominciato a svolgere l’attività legale (sia pure ancora nel ruolo di praticante).
Di ciò si duole il ricorrente che, da un lato, lamenta il mantenimento dell’obbligo nei confronti dei figli, per di più posto solo a suo carico, e dall’altro sostiene che la condizione economica del coniuge si è avvantaggiata rispetto alla propria.
Il primo profilo di doglianza (vizio motivazionale) non appare meritevole di accoglimento in quanto il giudice di merito ha sufficientemente motivato in ordine al possesso di una adeguata capacità patrimoniale dell’ex notaio rispetto all’impegno posto a suo carico, anche se – in ragione della riduzione dei suoi introiti – egli è stato esentato dalla contribuzione in favore del coniuge.
Nel caso in esame, l’adeguatezza del reddito del ricorrente ha formato oggetto di un accertamento giudiziale espresso in una motivazione che non solo non è apparente, ma concreta e sussistente, non censurabile, in quanto immune da vizi logico-giuridici. Per le stesse ragioni appare manifestamente infondata la denuncia dell’ipotetica violazione di legge. Del resto, quanto ai timori del futuro, non occorre che questa Corte richiami ai contendenti il principio (Sez. 1, Sentenza n. 18 del 2011) di revisione dell’assegno divorzile, ove si accerti una sopravvenuta e significativa modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, secondo una valutazione comparativa idonea ad integrare i giustificati motivi di cui all’art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898. In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale, previa riunione con il ricorso n. 19987/14, ai sensi degli artt. 380-bis e 375 n. 5 c.p.c.”.
Ritenuto altresì che, con riferimento alla causa n. 19987 del 2014 il consigliere designato ha depositato, in data 22 maggio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:
“Con sentenza in data 21 gennaio 2014, la Corte d’Appello di Torino, respinta la richiesta di corresponsione dell’assegno divorzile in favore della sig.ra D., ha parzialmente accolto l’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale di Cuneo e rideterminato l’importo dell’assegno mensile che M.G.A. deve corrispondere in favore dei figli propri e della D., con compensazione delle spese processuali.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso la sig.ra D., con atto notificato il 15 luglio 2014, sulla base di due motivi, con cui denuncia:
a) Nullità di un capo della sentenza per mancanza di motivazione e/o motivazione apparente e violazione degli artt. 132, 1 co. e 156, 2 co., c.p.c.);
b) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. Il coniuge ha resistito con controricorso. Il ricorso, con l’esame congiunto dei due mezzi, appare complessivamente infondato.
Con essi si lamenta la mancata determinazione dell’assegno divorzile richiesto a carico dell’ex coniuge, un notaio destituito dal proprio incarico professionale.
La Corte ha escluso tale richiesta in ragione del fatto che, in uno con la perdita del lavoro da parte del M. e quindi con la scomparsa delle sue entrate, la Cassa di previdenza del Notariato aveva disposto, a termini di regolamento, la corresponsione della pensione di reversibilità (pari a circa 2.700,00 Euro mensili), corrispondenti alla misura del 70% dell’intero, al coniuge divorziato del notaio destituito, “e finché tale”.
Di ciò si duole la ricorrente che, da un lato, lamenta l’esclusione dell’obbligo a carico dell’ex coniuge, in sé e per sé, e dall’altro paventa la perdita dell’emolumento se e quando dovesse perdere la qualità di coniuge divorziato.
Il secondo profilo di doglianza appare manifestamente infondato, avendo questa Corte, di recente (Sez. 1, Sentenza n. 6855 del 2015), escluso la permanenza del diritto di credito finanche con la creazione di una famiglia di fatto (“L’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso.”).
Il primo profilo, del pari, non appare meritevole di accoglimento in quanto il giudice di merito ha sufficientemente motivato in ordine al difetto dei presupposti per l’attribuzione di un ulteriore contributo da parte del coniuge divorziato, che attraverso la stabile erogazione della Cassa di previdenza (la reversione della pensione dell’ex coniuge, destituito) si è munito di un proprio reddito, mentre di contro – proprio in ragione della perdita di quelle fonti si è improvvisamente ed irreversibilmente impoverito il reddito dell’ex coniuge. Infatti, se di norma vale in senso distributivo positivo il principio secondo cui “l’accertamento del diritto all’assegno divorzile va effettuato alla stregua della verifica dell’adeguatezza o meno dei mezzi del coniuge richiedente alla conservazione del tenore di vita precedente nonché della impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive.” (Sez. 1, Sentenza n. 24496 del 2006), è ben possibile che esso valga anche in senso opposto, ossia negativo, ove si determini una situazione eccezionalmente privativa di quelle fonti reddituali e dell’impossibilità conseguente di assicurare il tenore di vita precedente o che sarebbe stato presumibilmente proseguito in caso di continuazione della stessa attività professionale quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di normali aspettative maturate nel corso del rapporto matrimoniale (riferimento a Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11686 del 2013).
Nel caso in esame, l’adeguatezza del reddito sopraggiunto al coniuge ricorrente ha formato oggetto di un accertamento giudiziale espresso in una motivazione che non solo non è apparente, ma concreta e sussistente, non censurabile, in quanto immune da vizi logico-giuridici.
Del resto, quanto ai timori del futuro, non occorre che questa Corte richiami ai contendenti il principio (Sez. 1, Sentenza n. 18 del 2011) di revisione dell’assegno divorzile, ove si accerti una sopravvenuta e significativa modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, secondo una valutazione comparativa idonea ad integrare i giustificati motivi di cui all’art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898. In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi degli artt. 380-bis e 375 n. 5 c.p.c.”.
Considerato che le cause devono essere riunite, in quanto i ricorsi sono stati proposti avverso la medesima sentenza;
che il ricorso iscritto con il n. 18714 del 2014, come osservato dalla controricorrente, ancorché proposto con atto a sé stante, si è convertito in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti), risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 cod. proc. civ., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi (Sez. L, Sentenza n. 5695 del 2015): ciò che nella specie è stato assicurato;
che il ricorso principale, ossia quello iscritto con il n. 19987 del 2014, in adesione alla memoria di parte ricorrente, deve essere accolto;
che, infatti, il Collegio rileva che la Corte territoriale non ha correttamente interpretato il regolamento della Cassa di previdenza del Notariato, laddove è stabilito (all’art. 23) che, ove la Cassa non riconosca al notaio destituito il diritto alla pensione, Essa la liquida “come se il Notaio fosse deceduto, unicamente al coniuge o ai figli”; che tale provvidenza, peraltro, è stata riconosciuta al coniuge, con un provvedimento amministrativo, deliberato in data 15 dicembre 2011, dal suo Comitato esecutivo, con cui si è attribuito il beneficio alla signora D., “nella sua qualità di coniuge divorziato titolare di assegno ex art. 5 l. 898/70, e finché tale”;
che una tale provvidenza concessa dall’ente previdenziale, a cui pure ha contribuito il notaio destituito attraverso i propri versamenti nel corso dell’attività lavorativa, costituisce una “misura solidaristica e perequatrice rispetto al provvedimento negativo deliberato nei suoi riguardi;
che, peraltro, tale misura sembra essere attribuita (secondo la menzionata deliberazione del C.E. della Cassa) solo fino a quando la beneficiaria cumulerà la duplice qualità sopra indicata e cioè, fino a che conserverà la posizione di “coniuge divorziato” e quella di “titolare di assegno ex art. 5 l. 898/70”, perdendolo in caso di caduta di uno solo dei due richiamati presupposti (ad es. contraendo un nuovo matrimonio, ovvero costituendo una nuova famiglia di fatto – cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6855 del 2015 -oppure reperendo, aliunde, risorse idonee al suo mantenimento);
che, di conseguenza, un tale assegno non può considerarsi come sostitutivo di quello che la legge pone a carico del coniuge titolare di maggiori risorse economico-patrimoniali, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 898 del 1970, verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11686 del 2013); che, ovviamente, la determinazione dell’assegno divorzile va effettuata verificando, da un lato, l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente (e, quindi, nel nostro caso, computando nei redditi di questa anche l’assegno di “reversibilità” a lei attribuito dalla Cassa del notariato, alle condizioni dette), tenendo conto, dall’altro lato, che, ai sensi dell’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, l’accertamento del diritto all’emolumento “deve essere effettuato non limitandosi a prendere in esame le condizioni economiche del coniuge richiedente, essendo necessario mettere a confronto le rispettive potenzialità economiche, intese non solo come disponibilità attuali di beni ed introiti, ma anche come attitudini a procurarsene in grado ulteriore, raffrontandole con lo stile di vita mantenuto dai coniugi in costanza di matrimonio” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16598 del 2013);
che, pertanto, il ricorso principale deve essere accolto in ossequio alle considerazioni sopra svolte ed al menzionato principio di diritto;
che la sentenza di appello deve essere cassata in parte qua con rinvio della causa, per il suo nuovo esame, alla Corte territoriale che, in diversa composizione, deciderà anche delle spese dell’odierno giudizio;
che, invece, il ricorso incidentale, con il quale si lamenta la mancata esclusione dell’assegno di mantenimento dei figli, posto a carico di un notaio destituito dal proprio incarico professionale e attualmente esercente la professione legale, deve essere disatteso, giusta quanto riportato nella relazione del Consigliere relatore, che il Collegio condivide e fa propria;
che le spese di questo giudizio, in quanto svoltosi dalle stesse parti, vanno liquidate, all’esito della definizione del ricorso principale, da parte della Corte territoriale, in sede di rinvio;
che, infine, ai sensi dell’art. 52 D. Lgs. n.198 del 2003, va disposto che siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il principale, respinge l’incidentale, cassa la sentenza impugnata in ordine al ricorso accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione.
Dispone che, ai sensi dell’art. 52 D. Lgs. n.198 del 2003, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.