Cassazione civile, sentenza 4 aprile 2014, N. 7981

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SENTENZA  4 APRILE 2014, N. 7981

Svolgimento del processo

1 – Con atto di precetto notificato in data 10 gennaio 2003 V.M.T. intimava al proprio coniuge B.C. , dal quale si era separata consensualmente nell’anno 1980, il pagamento della somma di Euro 48.842,55, corrispondente alla differenza fra quanto dovuto e quanto versato a titolo di mantenimento proprio (dall’aprile 1980 fino al settembre 2002) e del figlio A. , limitatamente al periodo compreso fra l’aprile del 1980 e il gennaio 1985. A tale atto faceva seguito il pignoramento, nelle forme dell’espropriazione presso terzi, con riferimento alla pensione erogata dall’INPS.
1.1 – Il B. proponeva opposizione all’esecuzione, eccependo in primo luogo di aver esattamente adempiuto alla propria obbligazione, e, in via subordinata, la prescrizione dei diritti vantati dalla moglie, per prescrizione del termine decennale. Sosteneva che, in ogni caso, la prescrizione non poteva ritenersi sospesa per quanto riguardava la quota del mantenimento relativa al figlio A. , divenuto maggiorenne nell’anno 1982. Affermava ancora l’opponente che la propria pensione, non essendo egli titolare di altri redditi, non poteva essere assoggettata ad esecuzione forzata nella quota di un terzo e chiedeva, quindi, che il pignoramento venisse ridotto alla percentuale di un quinto.
1.2 – Con sentenza depositata in data 15 gennaio 2005 il Tribunale di Torino rigettava la proposta opposizione, rilevando in primo luogo l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione, il cui decorso era sospeso dal rapporto di coniugio ai sensi dell’art. 2941 c.c., e osservando, nel merito, che le contestazioni del B. , il quale, in quanto titolare di altri redditi, non aveva diritto alla riduzione del pignoramento, non trovavano riscontro nelle risultanze processuali.
1.3 – Avverso tale decisione interponeva appello il B. , il quale riproponeva le questioni già sollevate in primo grado, ribadendo, in particolare, l’eccezione di prescrizione.
Si costituiva la V. , contestando la fondatezza del gravame e proponendo appello incidentale in merito alla liquidazione delle spese processuali.
1.4 – Con sentenza non definitiva depositata in data 23 marzo 2007 la Corte di appello di Torino accoglieva l’eccezione di prescrizione sollevata dal B. in relazione all’intero credito vantato dalla moglie, in primo luogo richiamando talune pronunce di questa Corte (nn. 12333/1998 e 6975/2005) nelle quali si era affermato – tanto in relazione al divorzio, quanto alla separazione personale dei coniugi – che la prescrizione del diritto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento non decorre dalla data della sentenza di separazione o di divorzio, bensì dalle singole scadenze di pagamento. Tali arresti, ad avviso della Corte territoriale, pur non esaminando specificamente il problema della sospensione della prescrizione fra coniugi separati, avevano posto le premesse logiche per il superamento dell’indirizzo tradizionale secondo cui la separazione personale, creando soltanto un’attenuazione del vincolo, non osta alla sospensione della prescrizione. Sotto tale profilo si osservava che la ratio della disposizione contenuta nell’art. 2941 c.c., intesa ad evitare che la riluttanza a convenire in giudizio il coniuge debitore si risolva in un vantaggio per il medesimo, non ricorre nell’ipotesi del coniuge separato, in quanto in tal caso l’unità familiare è già entrata in crisi e sì è già verificato un intervento giudiziale nel momento della pronuncia della separazione.
Si rilevava, ancora, che i rapporti patrimoniali fra coniugi separati non si atteggiano in maniera diversa rispetto ai coniugi già divorziati, per i quali la prescrizione non viene sospesa: conseguentemente anche nel primo caso deve ritenersi inoperante la disposizione contenuta nell’art. 2941, n. 1, c.c..
Veniva, pertanto, dichiarata la prescrizione quinquennale, ai sensi dell’art. 2948, n. 4, c.c., del credito azionato dalla V. con riferimento al periodo anteriore al 10 gennaio 1998.
Dichiarato inammissibile il motivo di appello inerente alla riduzione del pignoramento, si disponeva, con separata ordinanza, in merito alla prosecuzione del giudizio, allo scopo di verificare la fondatezza o meno dell’eccezione di adempimento sollevata dal B. .
1.5 – Con sentenza definitiva depositata in data 15 luglio 2008 la Corte territoriale determinava, sulla base dei conteggi eseguiti dal consulente tecnico d’ufficio, l’ammontare del credito relativo al periodo non interessato dalla prescrizione, e, ritenuto assorbito l’appello incidentale, regolava le spese dell’intero giudizio sulla base dell’esito complessivo della lite, ponendole, previa compensazione nella restante parte. a carico dell’appellante principale nella misura del cinquanta per cento.
1.6 – Per la cassazione di entrambe le decisioni la V. ha proposto ricorso, deducendo due motivi. La parte intimata non svolge attività difensiva.

Motivi della decisione

2. – Con il primo motivo, denunciandosi, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione degli artt. 99, 112, 342 e 345 c.p.c., la ricorrente si duole dell’omessa declaratoria di inammissibilità dell’eccezione di prescrizione del credito relativo al contributo per il mantenimento della stessa V. , in quanto sollevata per la prima volta in grado di appello.
2.1 – Viene in proposito formulato il seguente que-sito di diritto:
“Dica l’Ecc.ma Corte se la Corte di appello, dichiarando l’intervenuta prescrizione dell’intero credito in accoglimento dell’eccezione di prescrizione e della corrispondente domanda proposta dall’appellante, in una situazione nella quale:
a) nel primo grado del giudizio la prescrizione era stata opposta limitatamente alle somme dovute per il mantenimento del figlio e non anche per il mantenimento della coniuge, e la pronuncia di rigetto dell’opposizione era stata emessa con specifico riferimento all’eccezione e alla domanda così come proposta;
b) con l’atto di appello era stata formulata dall’appellante domanda di accertamento e dichiarazione di “avvenuta estinzione per prescrizione” della totalità del credito vantato dalla coniuge “in proprio e per conto ” del figlio, eccependosi la prescrizione per la totalità del credito;
c) l’appellata aveva eccepito l’inammissibilità per novità dell’eccezione e della domanda relative alla quota del credito imputata alla coniuge, sia incorsa nella violazione dell’art. 345, 1 e 2 comma c.p.c. in relazione all’art. 2938 c.c., 99, 112 e 342 c.p.c., in applicazione dei quali avrebbe invece dovuto dichiarare l’inammissibilità per novità dell’eccezione per il mantenimento della coniuge e della relativa domanda.
2.2 – La censura è infondata, in quanto le premesse in base alle quali la doglianza, ed il relativo quesito di diritto, sono articolate, non corrispondono alla reale situazione processuale come correttamente interpretata dalla corte distrettuale. Risulta invero dall’esame degli atti processuali, consentito dalla natura processuale del vizio dedotto, che l’eccezione di prescrizione sollevata dall’opponente a precetto nel primo grado del giudizio riguardava l’intero credito vantato dall’odierna ricorrente.
Invero, evidentemente prefigurandosi il B. il rilievo inerente alla sospensione di cui all’art. 2941 c.c., aveva precisato che detta sospensione -per altro rilevabile anche d’ufficio – “in ogni caso” non era destinata ad operare per la quota di mantenimento del figlio: detta puntualizzazione acquista significato soltanto ove si acceda alla tesi, recepita dalla Corte di appello nel delimitare l’ambito di operatività dell’eccezione sollevata dall’opponente sin nel primo grado di giudizio, secondo cui la dedotta fattispecie estintiva riguardava l’intero credito vantato dalla V. . Nessuna violazione dell’art. 345 c.p.c. è pertanto ravvisabile nella mera riproposizione, in grado di appello, di un’eccezione ritualmente sollevata – con la medesima estensione qualitativa e quantitativa – già nel corso del primo grado del giudizio.
3 – Con il secondo motivo si sostiene che l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione del credito vantato dalla V. , in quanto moglie separata del debitore, sarebbe avvenuta in violazione dell’art. 2941, n. 1 c.c..
3.1 – Viene indicato il seguente quesito di diritto:
“Dica l’Ecc.ma Corte, vista la fattispecie, nella quale il coniuge separato ha spiegato opposizione all’azione esecutiva avviata dalla consorte per il pagamento di crediti per il contributo al mantenimento posto a suo carico con verbale di separazione consensuale, proponendo eccezione di prescrizione, e la creditrice ha controeccepito la sospensione della prescrizione ex art. 2941 n. 1 c.c., e nella quale la Corte di appello d Torino ha dichiarato prescritto il credito ritenendo inapplicabile l’art. 2941 n. 1 c.c., se costituisca violazione dell’art. 113 c.p.c. in relazione all’art. 2941, n. 1 c.c. l’assunto della Corte di appello secondo cui l’operatività della sospensione per i crediti per mantenimento sarebbe da escludere in caso di separazione, sostenuto dalle seguenti ragioni:
a) essere l’art. 2941 n. 1 c.c. preordinato alla tutela dell’unità familiare allo scopo di impedire l’acquisto per usucapione per conseguire il risultato vietato dall’art. 781 c.c. ormai non più in vigore;
b) essere i rapporti obbligatori derivanti dalla separazione equiparabili a quelli derivanti dal divorzio, e perciò non assistibili dall’art. 2941 n. 1 c.c., siccome originati dalla crisi familiare e dall’intervento giudiziale, contrastante, quest’ultimo, con le normali dinamiche famigliari;
c) essere contraddittorio ricondurre le obbligazioni derivanti dalla separazione, in quanto fonte di reciproche obbligazioni, a una disciplina (la sospensione della prescrizione) concepita invece a tutela dell’unita familiare, mentre, ad avviso della ricorrente, l’applicabilità dell’art. 2941 n. 1 avrebbe dovuto essere riconosciuta in applicazione del dettato normativo che prevede la sospensione della prescrizione tra coniugi senza fare eccezione per il caso di separazione”.
3.2 – La censura è infondata, ragion per cui deve rispondersi negativamente al proposto quesito di diritto.
3.3 – L’orientamento invocato dalla ricorrente risale alla nota pronuncia della Corte costituzionale n. 35 del 1976 e alla decisione di questa Corte del 23 agosto 1985, n. 4502, sostanzialmente fondate sul tenore letterale della norma di cui all’art. 2941 n. 1 c.c. e sul rilievo che il regime di separazione dei coniugi comporta una mera attenuazione e non l’elisione del vincolo scaturente dal matrimonio. In particolare, è stato posto in evidenza, da un lato, il dato formale, da interpretarsi in maniera rigorosa, dall’altro, il “favor matrimoni”, con il quale la sospensione della prescrizione ben si armonizzerebbe, consentendo ai coniugi “di attendere il raffreddamento delle tensioni, senza esasperarle co la proposizione di domande giudiziarie sotto la spada di Damocle della prescrizione”.
Per il vero, nella stessa decisione, pur relegandole in una prospettiva “de iure condendo”, si rilevava che le osservazioni della parte ricorrente, la quale sosteneva che la “ratio” della sospensione in parola fosse compatibile unicamente con la pienezza del vincolo coniugale, in qualche misura corrispondessero alle emergenze della realtà sociale, in base alle quali poteva affermarsi che la separazione fosse diventata “l’anticamera del divorzio più che un momento di riflessione e ripensamento prima di riprendere la vita di coppia”.
3.4 – A giudizio della Corte l’evoluzione del quadro normativo e della stessa coscienza sociale consentono di confermare la tesi sostenuta dalla Corte territoriale.
3.5 – Deve in primo luogo osservarsi che l’esistenza di una chiara formulazione grammaticale della norma non è sufficiente per limitare l’interpretazione all’elemento letterale, occorrendo altresì che il senso reso palese dal significato proprio delle parole, secondo la loro connessione, non si ponga in contrasto con argomentazioni logiche sull’intenzione del legislatore (Cass., 5 aprile 1979, n. 1549).
Deve anzi aggiungersi che, essendo da tempo divenuto del tutto desueto il noto canone “in claris non fit interpretatio”, l’art. 12 delle disp. prel. al cod. civ., laddove stabilisce che nell’applicare la legge non si può attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dall’intenzione del legislatore, non privilegia il criterio interpretativo letterale, poiché evidenzia, attraverso il riferimento “all’intenzione del legislatore” un essenziale riferimento alla coerenza della norma e del sistema.
Il dualismo, irrisolto dall’art. 12 delle citate disp. prel., tra lettera “significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” e spirito, o “ratio” “intenzione del legislatore” è stato invero sciolto dalla dottrina e dalla giurisprudenza dominanti attraverso la “svalutazione” del primo criterio, rilevandosi l’inadeguatezza della stessa idea di interpretazione puramente letterale. Sotto altro profilo, mette conto di richiamare come l’interpretazione della legge debba e possa avere anche una funzione evolutiva ed adeguatrice, nel cui ambito ben può realizzarsi un risultato di tipo restrittivo, nel senso di ritenere, con riferimento al caso in esame, che la norma contenuta nell’art. 2941, n. 1, c.c., si riferisca alla vincolo coniugale pienamente inteso, con esclusione del regime della separazione personale.
3.6 – Di tale esigenza adeguatrice questa Corte si è già resa interprete in due decisioni, opportunamente richiamate dalla Corte territoriale, nelle quali, pur non affrontandosi espressamente il tema della sospensione del termine prescrizionale, esplicitamente si afferma che “In tema di separazione dei coniugi e di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il diritto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento, in quanto avente ad oggetto più prestazioni autonome, distinte e periodiche, si prescrive non a decorrere da un unico termine rappresentato dalla data della pronuncia della sentenza di separazione o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, bensì dalle singole scadenze di pagamento, in relazione alle quali sorge, di volta in volta, l’interesse del creditore a ciascun adempimento” (Cass., 4 aprile 2005, n. 6975; Cass., 5 dicembre 1998, n. 12333).
3.7 – In effetti, il trattamento indifferenziato delle ipotesi concernenti la prescrizione di diritti di natura post-matrimoniale e di azioni esercitate fra coniugi separati trova la sua giustificazione nel fatto che in entrambi i casi i diritti e le azioni esercitate non solo scaturiscono dalla crisi coniugale, ma trovano di regola il loro fondamento in pronunce giurisdizionali conclusive di controversie già intercorse fra le stesse parti. Prescindendo dall’ormai superata ed anacronistica “ratio” concernente le azioni reali, e consistente nella finalità di evitare, attraverso l’usucapione, che fosse aggirato il divieto, ormai insussistente, di donazione fra coniugi, appare comunque contrad-dittorio rinvenire la stessa “ratio” nelle diverse ipotesi delle azioni esercitabili fra coniugi non separati e non, in quanto, mentre nel primo caso appare giustificata la riluttanza ad esperire azioni giudiziarie nei confronti del coniuge convivente, così turbando l’armonia familiare, nel secondo, non solo all’armonia – laddove si prescinda da una eventuale riconciliazione, in realtà abbastanza rara – è subentrata una situazione di crisi conclamata, ma, proprio nell’ambito di essa, sono state necessariamente esperite le azioni giudiziarie correlate alla crisi coniugale. Deve anzi porsi in evidenza come negli ultimi anni l’evoluzione del quadro normativo e l’elaborazione giurisprudenziale (si pensi alla responsabilità endo-familiare) abbiano favorito l’accrescersi delle azioni giudiziarie relative alla soluzione di controversie correlate alla crisi familiare, cui ha fatto riscontro, anche sotto il profilo procedurale, un significativo processo di unificazione dei termini e delle modalità di esperimento delle azioni relative alla separazione personale e allo scioglimento del matrimonio o alla cessazione dei suoi effetti civili.
3.8 – Laddove, poi, veniva richiamata la mera attenuazione, nel regime di separazione, del vincolo matrimoniale, non sembra che si sia considerato come, al tenue filo della speranza di una riconciliazione, siano da contrapporre effetti di natura giuridica che in realtà depongono nel senza di una sostanziale esautorazione dei principali effetti del vincolo stesso.
Non rileva, invero, soltanto il venir meno della convivenza, circostanza già di per sé non ostativa all’instaurazione fra coniugi separati di azioni giudiziarie, che di certo, come già rilevato, non possono determinare una crisi familiare già conclamata, quanto la sopravvenienza alla separazione di rilevanti conseguenze di natura giuridica, tali da consentire una sostanziale assimilazione alla situazione che caratterizza gli ex coniugi, come il venir meno della presunzione di paternità ove la nascita di un figlio intervenga dopo il decorso di trecento giorni, ovvero la sospensione degli obblighi della fedeltà (Cass., 17 luglio 1997, n. 6566) e di collaborazione.
In generale, deve rilevarsi che l’interpretazione che qui viene accolta della norma contenuta nell’art. 2941, n. 1, sia da inquadrarsi nel generale e progressivo fenomeno di valorizzazione delle posizioni individuali dei membri della famiglia rispetto al principio della conservazione dell’unità familiare che per lungo periodo si è imposta come elemento fondante dell’interpretazione delle norme e dell’individuazione dei principi posti a fondamento del diritto di famiglia.
4 – Al rigetto del ricorso non consegue alcuna statuizione in merito al regolamento delle spese processuali, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.