Oggetto del contratto di appalto è il risultato di un facere (anche se comprensivo di un dare) che può concretarsi sia nel compimento di un’opera che di un servizio che l’appaltatore assume verso il committente dietro corrispettivo, mentre oggetto del contratto di vendita è il trasferimento di un bene a cui può essere connessa un’obbligazione di fare, cioè, l’obbligazione di mettere in opera il bene venduto.

Nel contratto di appalto vi è un fare che può essere comprensivo di un dare, mentre nel contratto di compravendita vi è un dare che può comportare anche un fare. Pertanto, sono sempre da considerarsi contratti di vendita (e non di appalto) i contratti concernenti la fornitura ed eventualmente anche la posa in opera qualora l’assuntore dei lavori sia lo stesso fabbricante o chi fa abituale commercio dei prodotti e dei materiali di che trattasi, salvo, ovviamente, che le clausole contrattuali obbligano l’assuntore degli indicati lavori a realizzare un quid novi rispetto alla normale serie produttiva, perché in questo caso dovrebbe ritenersi prevalente l’obbligazione di facere, in quanto si configurano elementi peculiari del contratto di appalto e, precisamente, l’intuitus personae e l’assunzione del rischio economico da parte dell’appaltatore. Qualora, invece, l’assuntore dei lavori non è né il fabbricatore, né il rivenditore del bene da installare o mettere in opera, l’attività di installazione di un bene svolta dal prestatore, risultando autonoma rispetto a quella di produzione e vendita, identifica o rinvia ad un contratto di appalto, dato che la materia viene in considerazione quale strumento per la realizzazione di un’opera o per la prestazione di un servizio. ( Cassazione civile sentenza N. 872/2014)