Cassazione civile,sentenza 26 ottobre 2015, n. 21711

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 26 ottobre 2015, n. 21711

 

(…omissis…)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione, notificato in data 14-10-2005, (OMISSIS) conveniva davanti al Tribunale di Orvieto Banca (OMISSIS) S.p.A. chiedendo dichiararsi la nullita’, annullabilita’ o risoluzione per inadempimento del contratto quadro e degli ordini di acquisto di azioni argentine effettuate tra il 1998 e il 2000, con condanne alle restituzioni e al risarcimento dei danni. Lamentava gravi violazioni di legge da parte della banca, in particolare collegate alla mancanza o insufficienza di informazioni.

Costituitosi il contraddittorio, la banca chiedeva rigettarsi ogni domanda contro di lei proposta e instava per la chiamata in causa di (OMISSIS), essendo le azioni a lui cointestate.

Si costituiva il terzo chiamato, (OMISSIS), nipote dell’attore, e aderiva in sostanza alle domande dell’attore stesso.

Il Tribunale di Orvieto, con sentenza in data 3-12-2007, accoglieva le domande.

Proponeva appello Banca (OMISSIS). Si costituivano entrambe le parti appellate, chiedendone il rigetto.

La Corte d’Appello di Perugia, con sentenza in data 6/7/2011, in accoglimento dell’appello e in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava le domande delle parti appellate.

Ricorre per cassazione (OMISSIS).

Propone ricorso incidentale (OMISSIS).

Resiste al ricorso principale e a quello incidentale, con due controricorsi, (OMISSIS) S.p.A., successore di Banca (OMISSIS).

Il ricorrente principale deposita memoria difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente principale lamenta violazione dell’articolo 1218, 1453 e 2697 c.c., sull’onere della prova, in ordine alla risoluzione per inadempimento contrattuale.

Con il secondo, violazione dell’articolo 112 c.p.c. circa le domande di risoluzione contrattuale e condanna alle restituzioni, in violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Con il terzo, vizio di motivazione in relazione, ancora, alle domande di risoluzione contrattuale. Con il quarto, violazione dell’articolo 345 c.p.c., con riguardo, al preteso nesso causale tra la violazione ex articolo 21 T.U.F., articoli 28 e 29 Reg. Consob 11522/98 e il danno lamentato (novita’ della domanda proposta).

Con il quinto, vizio di motivazione circa l’insussistenza del nesso causale fra l’omessa informazione di inadeguatezza al cliente e il danno subito.

Con il sesto, violazione dell’articolo 21 T.U.F., articoli 28 e 29 predetto Regolamento Consob, la’ dove il Giudice a quo ha ritenuto che l’odierno ricorrente fosse stato adeguatamente informato, chiedendo comunque di procedere all’investimento.

Con il settimo, vizio di motivazione circa vari punti decisivi della controversia, sull’inadeguatezza dell’informazione, sul consenso del cliente, anche con riferimento alla circostanza della falsita’ di firma di alcuni ordini.

Con l’ottavo, violazione dell’articolo 21 T.U.F. e dell’articolo 27 predetto Regolamento, in ordine alla raccolta di informazioni sullo stato del cliente.

Con il nono, vizio di motivazioni con riferimento al conflitto di interessi della banca, che aveva alienato al (OMISSIS) titoli di sua proprieta’.

Con il decimo, violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione alla domanda di nullita’ degli ordini di acquisto, gia’ formulata in primo grado, su cui vi era stata omessa pronuncia.

Il ricorso incidentale presenta ampie analogie rispetto a quello principale.

Con il primo motivo, il ricorrente incidentale lamenta violazione degli articoli 1218, 1453 e 2697 c.c., con riferimento alla domanda di risoluzione contrattuale.

Con il secondo, violazione dell’articolo 112 c.p.c., circa il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Con il terzo,vizio di motivazione in relazione alla domanda di risoluzione contrattuale.

Con il quarto, vizio di motivazione circa l’insussistenza del nesso causale tra l’omessa informazione al cliente e il danno subito.

Con il quinto, violazione dell’articolo 21 T.U.F., articoli 28 e 29 Regolamento Consob 11522/98, con riguardo all’affermazione del Giudice a quo per cui (OMISSIS) era stato adeguatamente informato, chiedendo comunque di procedere all’investimento.

Con il sesto, vizio di motivazione circa vari fatti decisivi della controversia, sull’inadeguatezza dell’informazione, sul consenso del cliente, anche con riferimento alla circostanza della falsita’ di firma di alcuni ordini.

Con il settimo, vizio di motivazione, con riferimento al conflitto di interessi della banca, che aveva alienato titoli di sua proprieta’.

Preliminarmente, va precisato che i rapporti in questione si sono svolti sotto l’impero del Decreto Legislativo n. 58 del 1998 (Testo UnicoF.) e del Regolamento Consob 11522 del 1998.

Per giurisprudenza ampiamente consolidata (tra le altre, Cass. n. 3773 del 2009), in materia di contratti di intermediazione finanziaria, ove risulti accertata la responsabilita’ contrattuale per danni subiti dall’investitore, va acclarato se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni del contratto di negoziazione, nonche’ a tutte le obbligazioni poste a suo carico dai predetti testi normativi, cosi’ disciplinando il riparto dell’onere della prova: l’investitore deve allegare l’inadempimento delle obbligazioni, nonche’ fornire la prova del danno e del nesso di causalita’ tra esso e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte e, sotto il profilo soggettivo, di aver agito con la specifica diligenza richiesta.

Non puo’ parlarsi di inammissibilita’ dei ricorsi, come afferma la controricorrente: i documenti su cui essi si fondano sono indicati ed ampiamente richiamati, e talora (cosi’ nel ricorso principale, in un caso) addirittura riprodotti integralmente.

Possono trattarsi congiuntamente, per gran parte, i motivi proposti nei due ricorsi, frequentemente coincidenti.

I primi tre motivi del ricorso principale e di quello incidentale, vanno rigettati in quanto infondati, pur presentando alcuni profili di inammissibilita’.

Com’e’ noto, per giurisprudenza consolidata (per tutte, Cass. S.U. n. 26794 del 2007; Cass. n. 8462 del 2014), la violazione dei doveri di informazione e di corretta esecuzione delle operazioni poste dalla legge a carico degli intermediari, non produce nullita’, ma da luogo a responsabilita’, precontrattuale in ordine al contratto – quadro, ovvero responsabilita’ contrattuale per i successivi ordini di acquisto, con eventuale risoluzione e/o risarcimento del danno. Risoluzione, la cui azione l’altro, ha presupposti differenti rispetto alla mera azione di risarcimento dei danni (primo, tra tutti, quello dell’importanza dell’inadempimento cui i ricorrenti non fanno specifico riferimento); del resto non sempre e comunque alla risoluzione consegue una totale restituzione, come sembrano invece ritenere i ricorrenti stessi.

I motivi (in particolare il secondo e terzo) sono, come si diceva, almeno in parte non autosufficienti: i ricorrenti censurano il mancato esame della domanda di risoluzione, lamentando violazione dell’articolo 112 c.p.c., e carenza di motivazione, senza indicare le argomentazioni in fatto e diritto eventualmente sviluppate al riguardo.

Come si vedra’, nella maggior parte dei motivi che seguono i ricorrenti sembrano “dimenticare” la domanda di risoluzione (e restituzione), soffermandosi invece sugli inadempimenti, sul danno, sul nesso eziologico e sull’onere della prova.

Appare infondato il quarto motivo del ricorso principale.

La controricorrente, al riguardo, precisa che, fin dal primo grado, essa aveva affermato l’insussistenza del nesso eziologico tra inadempimento e danno, e, in omaggio al principio di autosufficienza, indica le pagine della memoria di replica e comparsa conclusionale in primo grado. In effetti dall’esame di tali documenti, che questa Corte puo’ effettuare, trattandosi di questione processuale, emerge che, nel primo si fa esplicito riferimento al predetto profilo, sviluppato poi nel secondo.

Quanto al decimo motivo del ricorso principale, da trattarsi a questo punto, per ragioni sistematiche, non si ravvisa il lamentato vizio di omessa pronuncia: il ricorrente principale richiama le proprie conclusioni in sede di appello incidentale, con la domanda di nullita’ del contratto quadro e dei singoli ordini di acquisto, ma riguardo alle violazioni di legge, e non con riferimento alla violazione di una clausola contrattuale. Nella comparsa di risposta, con appello incidentale, si fa bensi’ un limitato accenno alla forma contrattuale ma senza riferimento alcuno a clausole contrattuali. Pertanto il giudice a quo non poteva pronunciarsi su quanto non era stato specificamente indicato.

Gli altri motivi dei due ricorsi appaiono fondati.

I ricorrenti, come si diceva, sembrano a questo punto riferirsi ad un’azione di risarcimento del danno per inadempimento, richiamando correttamente le specificita’ della fattispecie e la normativa di riferimento, gia’ sopra indicata, incidente, all’evidenza, e come gia’ si precisato, anche sull’onere della prova.

La Corte territoriale si riferiva esattamente alle indicazioni di questa Corte gia’ sopra indicate, in ordine all’inadempimento, al danno, al nesso di causalita’ e relativo onere della prova, ma non ne traeva le necessarie conseguenze in ordine alla fattispecie dedotta.

Pare opportuno evidenziare il contesto di fatto, pacifico tra le parti: nove ordini di acquisto, di cui sette a firma apocrifa, due soltanto a doppia firma del ricorrente principale circa l’ordine di effettuare investimento e l’inadeguatezza delle obbligazioni, uno non prodotto dalla banca. Si ravvisano gravi violazioni di legge e altrettanti vizi di motivazione.

Non poteva la Corte d’Appello ritenere insussistente il nesso causale tra l’informativa di inadeguatezza al cliente e il danno da lui subito, nella considerazione del tutto illogica che egli, avendo preso consapevolezza dell’inadeguatezza dell’operazione, con riferimento agli ultimi due ordini, e comunque preferito investire ancora, piuttosto che disinvestire gli ordini precedenti, avrebbe manifestato la volonta’ di perseguire alti interessi, pure a rischio di subire la perdita del capitale. Ovviamente il disinvestimento non prova nulla, potendo tale scelta essere influenzata da molteplici fattori; ne’ potrebbe escludersi che l’investitore, non avendo ricevuto adeguata informativa, sia stato indotto a sottoscrivere anche gli ultimi due ordini, confidando nella bonta’ dell’investimento. Del resto, appare pacifico che l’attore provenisse da forme di investimento sicure e senza rischio, per cui il suo profilo appariva piu’ volto alla conservazione del capitale che alla speculazione, come precisato dai ricorrenti.

Com’e’ noto, l’articolo 21 Testo UnicoF., in materia di prestazione di servizi di investimento, detta una serie di criteri generali cui l’intermediario deve uniformarsi nei rapporti con il cliente: egli deve acquisire le informazioni necessarie dal cliente stesso ed operare in modo che questi sia adeguatamente informato: tali obblighi sono specificati dagli articoli 28 e 29 Reg. Consob, per cui l’intermediario deve avere informazioni dal cliente stesso sulla sua tipologia di investitore, sulla situazione finanziaria, sugli obiettivi di investimento e sulla sua propensione al rischio; in caso di operazione ritenuta inadeguata, egli deve informare specificamente il cliente delle ragioni, per cui non e’ opportuno procedere e, ove questi, intenda comunque dar corso all’operazione, eseguirla soltanto su ordine scritto. Tali obblighi, per l’intermediario, si collocano sia al momento della stipulazione del contratto, sia all’atto di effettuare i singoli investimenti. Egli deve pertanto disporre di informazioni aggiornate, in relazione ad ogni singolo investimento da effettuare.

La Corte di merito ha accertato l’inadeguatezza degli investimenti, ma ha sostanzialmente ritenuto legittimi anche gli ordini apocrifi e quello non prodotto dalla banca, pure in assenza del consenso scritto del cliente, con riferimento al quale risultava all’evidenza accertato l’inadempimento della banca stessa.

Il Giudice a quo ha erroneamente ritenuto completa l’informazione data al cliente sugli ultimi due ordini, sulla base di una crocetta apposta su modulo prestampato e unico per tutte le tipologie di clientela, ove si indicava unitariamente l’inadeguatezza dell’operazione: il modulo viene riportato, in omaggio al principio di autosufficienza, nel ricorso principale. E’ appena il caso di precisare che l’informazione resa ad un cliente dotato di conoscenza e di esperienza degli strumenti finanziari, non puo’ avere eguale efficacia rispetto ad un altro di modesta cultura ed esperienza.

Anche in ordine alla raccolta di informazioni sullo status del cliente, va precisato che, a differenza di quanto afferma la Corte d’Appello, l’obbligo della raccolta di informazioni non poteva esaurirsi nei limiti della situazione finanziaria del cliente all’atto della stipula del contratto quadro, ma sussisteva obbligo di continuo aggiornamento all’atto dell’effettuazione degli investimenti (e cio’ pur con riferimento alla normativa in vigore all’epoca) (al riguardo, tra le altre, Cass. n. 26724 del 2007).

Quanto al conflitto di interessi, l’argomentazione del giudice a quo appare del tutto inadeguata, la’ dove afferma che negli ordini era indicato il limite di prezzo con riferimento ai prezzi praticati nelle transazioni, e da cio’ fa derivare la proprieta’ dei titoli in capo alla banca, null’altro aggiungendo.

Accolti i motivi suindicati, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Firenze, territorialmente prossima a quella di Perugia, per nuova valutazione degli inadempimenti e del danno, precisando che questo, ovviamente, puo’ considerarsi oltre che attraverso prove specifiche pure con riguardo a presunzioni o ad eventuali ammissioni della controparte.

Il giudice a quo si pronuncera’ anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla corte di Appello di Firenze.