Cassazione civile, Ordinanza 23.06.2023 n. 18059. 

Cassazione civile, Ordinanza 23.06.2023 n. 18059. 

(…omissis…)

RILEVATO

che:

con atto di citazione notificato in data 7 aprile 2003 (OMISSIS) Limited, premesso di essere proprietaria dell’immobile sito in (OMISSIS) per averlo acquistato con atto pubblico del 3 luglio 2002, convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma (OMISSIS) chiedendo, previo accertamento dell’occupazione senza titolo dell’immobile da parte della convenuta, la condanna al rilascio del medesimo ed al pagamento dell’indennita’ di occupazione. La convenuta propose domanda riconvenzionale di accertamento dell’acquisto della proprieta’ per usucapione e, nel caso di accoglimento della domanda attorea, di condanna al pagamento dell’importo dell’indennita’ per i miglioramenti di cui all’articolo 1150 c.c.. Il Tribunale adito rigetto’ sia la domanda che quella riconvenzionale di usucapione, accogliendo solo la domanda riconvenzionale proposta in via subordinata, con condanna dell’attrice al pagamento di Euro 11.714,50. Avverso detta sentenza propose appello (OMISSIS). Con sentenza di data 29 luglio 2020 la Corte d’appello di Roma accolse parzialmente l’appello, dichiarando inammissibile la domanda di condanna al pagamento dell’indennita’ per i miglioramenti.

Osservo’ la corte territoriale, premesso che spettava all’appellante che aveva agito in rivendica provare il titolo d’acquisto dell’immobile, che il solo atto di acquisto stipulato con (OMISSIS) s.p.a. (ove si affermava che “gli appartamenti…pervennero alla venditrice in forza di atto di fusione”) non era sufficiente ai fini della detta prova, perche’ nulla era stato depositato o allegato circa l’acquisto da parte del dante causa. Aggiunse che inammissibile era la condanna al pagamento dell’indennita’ per i miglioramenti in quanto subordinata all’accoglimento della domanda attorea di rilascio, domanda che era stata rigettata.

Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) sulla base di due motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’articolo 380 bis.1 c.p.c.. E’ stata presentata memoria.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello ha violato il principio di corrispondenza del chiesto al pronunciato, non avendo considerato che l’azione proposta non era un’azione reale di rivendica, ma un’azione personale di restituzione.

Il motivo e’ inammissibile. Come afferma Cass. Sez. U. n. 7305 del 2014, “unanimemente si riconosce che le azioni di rivendicazione e di restituzione sono accomunate dallo scopo pratico cui entrambe tendono – ottenere la disponibilita’ materiale di un bene, della quale si e’ privi – ma si distinguono nettamente per la natura, poiche’ all’analogia del petitum non corrisponde quella delle rispettive causae petendi: la proprieta’ per l’una, un rapporto obbligatorio per l’altra. La prima e’ connotata quindi da realta’ e assolutezza, la seconda da personalita’ e relativita’. Nella rivendicazione la ragione giuridica e l’oggetto del giudizio coincidono, identificandosi nel diritto di proprieta’, di cui l’attore deve dare la c.d. probatio diabolica, dimostrando un acquisto del bene avvenuto a titolo originario da parte sua o di uno dei propri danti causa a titolo derivativo (acquisto che per lo piu’ deriva dall’usucapione, maturata eventualmente mediante i meccanismi dell’accessione o dell’unione dei possessi). Nel caso dell’azione di restituzione si verte invece su una prestazione di dare, derivante da un rapporto di carattere obbligatorio”. Le difese di carattere petitorio opposte, in via di eccezione o con domande riconvenzionali, ad un’azione di rilascio o consegna non comportano una “mutatio” od “emendatio libelli”, ossia la trasformazione in reale della domanda proposta e mantenuta ferma dell’attore come personale per la restituzione del bene in precedenza volontariamente trasmesso al convenuto.

Cio’ premesso, il motivo non e’ scrutinabile perche’ la ricorrente, in violazione dell’onere processuale previsto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, ha omesso di indicare in modo specifico quale sia la causa petendi dell’azione proposta. Nel motivo si parla di un’azione personale di restituzione ma, a fronte della qualificazione operata dal giudice di appello, per denunciare la violazione dell’articolo 112 c.p.c., la ricorrente doveva indicare specificatamente quale fosse il fatto costitutivo della domanda. In sede di sommaria esposizione dei fatti di causa la ricorrente si e’ limitata ad indicare il petitum, ne’ il motivo, al di la’ della mera asserzione che l’azione proposta aveva natura personale, offre elementi per la valutazione della censura.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 948 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, anche assumendo la natura reale dell’azione proposta, il rigore dell’onere probatorio risulta attenuato dalla circostanza che l’acquisto opposto per usucapione risalirebbe al 2004, assumendo per ipotesi l’unione del possesso della (OMISSIS) con quello del dante causa del suo dante causa che sarebbe iniziato nel 1984, e dunque ad epoca successiva al titolo del rivendicante (2002).

Il motivo e’ fondato. Il principio secondo cui il rigore dell’onere probatorio in materia di rivendicazione si attenua quando il convenuto non contesti l’originaria appartenenza del bene rivendicato al comune autore o ad uno dei danti causa dell’attore, bastando in tal caso che il rivendicante dimostri che il bene medesimo abbia formato oggetto del proprio titolo di acquisto, non trova applicazione in caso di proposizione da parte del convenuto di una domanda riconvenzionale di usucapione, perche’ essendo quest’ultima un titolo d’acquisto originario, la sua invocazione non suppone alcun riconoscimento a favore della controparte, a meno che il convenuto stesso non opponga un acquisto per usucapione successivo al titolo del rivendicante ovvero avendo riconosciuto l’originaria appartenenza del bene ad uno dei danti causa dell’attore medesimo, deduca essersi verificata l’usucapione solo successivamente (Cass. n. 7329 del 2013, n. 7264 del 2003, n. 1250 del 2000, n. 43 del 2000, n. 8246 del 1997, n. 10815 del 1994, n. 28865 del 2021).

Nel motivo di ricorso si deduce che l’acquisto per usucapione opposto sarebbe successivo al titolo del rivendicante. Il giudice del merito, in applicazione del richiamato principio di diritto, deve accertare se, alla luce delle allegazioni della parte originariamente convenuta, debba intendersi che l’opposto acquisto per usucapione sia successivo al titolo del rivendicante e se alla luce pertanto delle dette allegazioni difensive sussistano le condizioni per l’attenuazione del rigore probatorio incombente sull’attore che ha agito in revindica. A quest’ultimo proposito va rammentato che il rigore probatorio in discorso rimane comunque attenuato quando il convenuto, nell’opporre l’usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l’appartenenza del bene al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all’epoca in cui assume di avere iniziato a possedere (Cass. n. 28865 del 2021).

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiarando inammissibile il primo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.