Cassazione Civile
Ordinanza 24 ottobre 2018, n. 26981
FATTO E DIRITTO
(….omissis…)
ritenuto che la Corte d’appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, in parziale accoglimento dell’appello proposto da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) e in parziale riforma della sentenza di primo grado dichiaro’ l’appellante comproprietario di tutti i beni mobili esistenti nella casa coniugale, nonche’ comproprietario dell’immobile sito in (OMISSIS), riconoscendo il “diritto di credito a favore di esso appellante del ricavato della vendita effettuata dalla comunista (OMISSIS), in difetto delle condizioni di legge”; ritenuto che (OMISSIS) propone ricorso avverso la sentenza d’appello di cui sopra sulla base di unitaria censura e che (OMISSIS) resiste con controricorso; ritenuto opportuno, al fine di una migliore comprensione della vicenda ricordare che la Corte d’appello aveva statuito come sopra sulla base, in sintesi, del seguente ragionamento: – il Giudice dell’appello, richiamata giurisprudenza di legittimita’ sopravvenuta, conferma la decisione di primo grado (la riforma attiene esclusivamente ai beni mobili, che qui non rilevano), precisando che la circostanza che il coniuge non acquirente renda la dichiarazione di cui all’articolo 179 c.c., comma 2, lettera f), presuppone l’effettiva natura personale del bene, con la conseguenza che, ove non sussista nessuna delle cause di esclusione dalla comunione, cio’ potra’ essere conclamato in una successiva causa di accertamento negativo; – nel caso di specie la (OMISSIS) con l’espressione raccolta nell’atto pubblico (“i denari occorsi per (l’acquisto) provengono dal proprio (dell’ (OMISSIS)) patrimonio personale”) non aveva fatto puntuale riferimento al fatto costitutivo del preteso diritto esclusivo dell’ (OMISSIS) sul denaro utilizzato per il pagamento: e cioe’ ad una delle tipologie di beni personali descritte nelle lettera a), b), c), d) ed e) – testualmente richiamate nella fattispecie di cui all’articolo 179 c.c., lettera f), pertinente al caso in esame – dalla cui vendita permuta abbia tratto origine la provvista utilizzata per l’acquisto esclusivo”; ritenuto che il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 179 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche’ “omessa od insufficiente motivazione su punto decisivo della causa”, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, assumendo che: – la sentenza n. 22755/2009 di questa Corte assegna alla dichiarazione del coniuge non acquirente la natura di atto ricognitivo o confessorio, privo di natura negoziale, con efficacia “iuris et de iure di esclusione della contitolarita’ dell’acquisto e, quindi, rimovibile solo per errore di fatto o violenza”; – viene operata netta distinzione “tra l’acquisto di beni da destinare a uso personale o professionale di cui all’articolo 179 c.c., comma 2, lettera c) e d), dall’ipotesi prevista dalla lettera f) e solo in questa ultima ipotesi (…) la dichiarazione assume portata confessoria in quanto descrittiva di una situazione di fatto” e proprio a tal ultimo proposito la sentenza d’appello era incorsa in errore; – inoltre, il denaro, in quanto tale, che si rovi nella disponibilita’ del coniuge da prima del matrimonio, deve considerarsi bene personale agli affetti di cui all’articolo 179 c.c., lettera f); – la Cassazione con la sentenza n. 10885/2010 aveva affermato la non necessita’ della dichiarazione del coniuge non acquirente, ove risulti obiettivamente “certa la personalita’ di quanto trasferito a titolo di corrispettivo”; considerato che la esposta censura non e’ condivisa dal Collegio per le ragioni di cui appresso: a) le S.U. con la sentenza n. 22755 del 28/10/2009, che il Collegio pienamente condivide, afferma, in particolare: “Dalla stessa lettera dell’articolo 179 c.c., comma 2 risulta peraltro che l’intervento adesivo del coniuge non acquirente non e’ di per se’ sufficiente a escludere dalla comunione il bene che non sia effettivamente personale. La norma prevede infatti che i beni acquistati risultano esclusi dalla comunione “ai sensi delle lettera e), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge”. Sicche’ dall’atto deve risultare alcuna delle cause di esclusione della comunione tassativamente indicate nello stesso articolo 179 c.c., comma 1; e l’effetto limitativo della comunione si produce solo ai sensi delle lettera e), d) ed f) del precedente comma”, vale a dire solo se i beni sono effettivamente personali. L’intervento adesivo del coniuge non acquirente puo’ dunque rilevare solo come prova dei presupposti di tale effetto limitativo, quando, come s’e’ detto, assuma il significato di un’attestazione di fatti. Ma non rileva come atto negoziale di rinuncia alla comunione. E quando la natura personale del bene che viene acquistato sia dichiarata solo in ragione di una sua futura destinazione, sara’ l’effettivita’ di tale destinazione a determinarne l’esclusione dalla comunione, non certo la pur condivisa dichiarazione di intenti dei coniugi sulla sua futura destinazione. Secondo il sistema definito dall’articolo 177 c.c. e dall’articolo 179 c.c., comma 1 infatti, l’inclusione nella comunione legale e’ un effetto automatico dell’acquisto di un bene non personale da parte di alcuno dei coniugi in costanza di matrimonio. Ed e’ solo la natura effettivamente personale del bene a poterne determinare l’esclusione dalla comunione. Se il legislatore avesse voluto riconoscere ai coniugi la facolta’ di escludere ad libitum determinati beni dalla comunione, lo avrebbe fatto prescindendo dal riferimento alla natura personale dei beni, che condiziona invece gli effetti previsti dall’articolo 179 c.c., comma 2. Certo, potrebbe anche ritenersi che una tale facolta’ debba essere riconosciuta ai coniugi per ragioni sistematiche, indipendentemente da un’espressa previsione legislativa. Come potrebbe ritenersi che, dopo C. cost., n. 91/1973, non possa negarsi a e ciascun coniuge il diritto di donare anche indirettamente all’altro la proprieta’ esclusiva di beni non personali. Tuttavia tali facolta’ non potrebbero affatto desumersi dall’articolo 179 c.c., comma 2 che condiziona comunque l’effetto limitativo della comunione alla natura realmente personale del bene; e attribuisce all’intervento adesivo del coniuge non acquirente la sola funzione di riconoscimento dei presupposti di quella limitazione, ove effettivamente gia’ esistenti. Deve nondimeno ritenersi che l’intervento adesivo del coniuge non acquirente sia condizione necessaria dell’esclusione dalla comunione del bene acquistato dall’altro coniuge. L’articolo 179 c.c., comma 2 prevede infatti che l’esclusione della comunione ai sensi dell’articolo 179 c.c., comma, lettera e) d) e f) si abbia solo se la natura personale del bene sia dichiarata dall’acquirente con l’adesione dell’altro coniuge. Sicche’ nei caso indicati la natura personale del bene non e’ sufficiente a escludere di per se’ l’esclusione dalla comunione, se non risulti concordemente riconosciuta dai coniugi. E tuttavia l’intervento adesivo del coniuge non acquirente e’ richiesto solo in funzione di necessaria documentazione della natura personale del bene, unico presupposto sostanziale della sua esclusione dalla comunione. Sicche’ l’eventuale inesistenza di quel presupposto potra’ essere comunque oggetto di una successiva azione di accertamento, pur nei limiti dell’efficacia probatoria che l’intervento adesivo avra’ in concreto assunto. (…) pertanto, il coniuge non acquirente puo’ successivamente proporre domanda di accertamento della comunione legale anche rispetto a beni che siano stati acquistati come personali dall’altro coniuge, non risultando precluso tale accertamento dal fatto che il coniuge non acquirente fosse intervenuto nel contratto per aderirvi. Tuttavia, se l’intervento adesivo ex articolo 179 c.c., comma 2 assunse il significato di riconoscimento dei gia’ esistenti presupposti di fatto dell’esclusione del bene dalla comunione, l’azione di accertamento presupporra’ la revoca di quella confessione stragiudiziale, nei limiti in cui e’ ammessa dall’articolo 2732 c.c. Se invece, come nel caso in esame, l’intervento adesivo ex articolo 179 c.c., comma 2 assunse il significato di mera manifestazione dei comuni intenti dei coniugi circa la destinazione del bene, occorrera’ accertare quale destinazione il bene ebbe effettivamente, indipendentemente da ogni indagine sulla sincerita’ degli intenti cosi’ manifestati (…)”; – ove la dichiarazione del coniuge non acquirente confermi un fatto riscontrabile (ad es. utilizzo di denaro proveniente dalla vendita di determinati beni personali) alla stessa potrebbe assegnarsi natura confessoria, ma ove, come nel caso in esame, si tratti di un mero generico asserto qualificatorio (il denaro utilizzato era personale) si e’ al di fuori della dichiarazione a scopo confessorio, difatti “definire sic et simpliciter personale il denaro con cui si e’ adempiuta l’obbligazione del prezzo non identifica un fatto, bensi’ esprime una qualificazione giuridica: come tale, insuscettibile di confessione, oltre che non vincolante per l’interprete, potendo anche discendere da un errore di diritto del dichiarante” (Sez. 1, n. 18114, 4/8/2010); b) deve inoltre affermarsi il seguente principio: l’articolo 179, comma 2, lettera f) attribuisce la natura di beni personali ai “beni acquistati con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio”: il riferimento ai “beni sopraelencati”, cioe’ quelli specificati alle lettera a)-e), non consente di annoverare fra gli stessi il denaro contante, che si trovi nella disponibilita’ del coniuge acquirente, senza che dello stesso possa tracciarsene la provenienza, la quale deve essere, per legge, dipendente dalla vendita o permuta (significativo, infatti, che la norma parli di “scambio”, non potendosi ipotizzare un tal fenomeno per il possesso del denaro tout court) di uno dei beni di cui alle lettere da a) a e), diversamente, infatti, lo scopo della norma (impedire elusioni del regime della comunione, assicurando, ad un tempo, l’esclusivita’ dei beni che siano effettivamente personali, nel rispetto della griglia di ipotesi di cui alle lettera a) – c) del comma 2 dell’articolo in esame) resterebbe irrimediabilmente frustrato; considerato che spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualita’ della causa, nonche’ delle attivita’ espletate; considerato che, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.