Cassazione Civile, Ordinanza 24 ottobre 2023 n. 29447 

Cassazione Civile, Ordinanza 24 ottobre 2023 n. 29447 

( …Omissis…)

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 5 novembre 2015, in accoglimento delle domande proposte da (OMISSIS) contro (OMISSIS), il Tribunale di Agrigento dichiarava “risolto per prescrizione” il contratto preliminare di compravendita stipulato inter partes il (OMISSIS), avente ad oggetto un appartamento di proprieta’ dell’attore sito nel Comune di (OMISSIS), condannando il convenuto al rilascio del bene e alla rifusione delle spese di lite.

L’appello successivamente spiegato avverso tale decisione da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita’ di eredi del defunto (OMISSIS), veniva respinto dalla Corte distrettuale di Palermo con sentenza n. 1561/2019 del 23 luglio 2019, che condannava gli impugnanti alle ulteriori spese del grado.

Il giudice del gravame, per quanto in questa sede ancora interessa, riteneva infondata l’”eccezione di difetto di legittimazione passiva” formulata in prime cure dal de cuius, il quale assumeva di aver usucapito la proprieta’ dell’immobile oggetto di causa; escludeva la necessita’ della partecipazione al presente giudizio della moglie del (OMISSIS), (OMISSIS); dichiarava inammissibili o irrilevanti i capitoli di prova testimoniale articolati in primo grado dall’originario convenuto.

Contro la sentenza d’appello le sunnominate (OMISSIS) e (OMISSIS), la prima anche nella qualita’ di procuratrice generale del proprio figlio (OMISSIS), hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, resistiti con controricorso dal (OMISSIS).

La trattazione del ricorso e’ stata fissata in camera di consiglio.

Non sono state depositate memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso sono denunciate la violazione e la falsa applicazione del Decreto Legge n. 179 del 2012, convertito dalla L. n. 221 del 2012, e dell’articolo 347 c.p.c., nonche’ la nullita’ della sentenza e del procedimento.

Si contesta alla Corte d’Appello di Palermo di aver a torto respinto il motivo di gravame con il quale gli odierni ricorrenti avevano denunciato la nullita’ della sentenza di primo grado derivata dalla mancata interruzione del processo a causa della sopravvenuta morte del convenuto (OMISSIS), dichiarata dal suo procuratore costituito nella comparsa conclusionale depositata telematicamente il 9 settembre 2015.

L’errore commesso dal collegio panormita sarebbe consistito nell’aver imputato agli appellanti le conseguenze del mancato rinvenimento di copia della predetta comparsa all’interno del fascicolo d’ufficio di primo grado, trasmesso in formato cartaceo dalla cancelleria del Tribunale di Agrigento, la qual cosa rendeva impossibile verificare se effettivamente il decesso del (OMISSIS) fosse stato dichiarato dal suo difensore e, nell’ipotesi affermativa, se tale evento fosse stato comunicato al fine precipuo di provocare l’interruzione del processo o invece a mero scopo informativo.

La Corte distrettuale non avrebbe considerato che, a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 16-bis, comma 1, convertito dalla L. n. 221 del 2012, il deposito degli atti processuali, e quindi anche della comparsa conclusionale di cui si discorre, poteva avere luogo esclusivamente con modalita’ telematiche.

In un siffatto contesto normativo, una volta constatato che la cancelleria del Tribunale non si era premurata di inserire nel fascicolo cartaceo trasmesso ex articolo 347 c.p.c., u.c. copia analogica degli atti endoprocessuali depositati telematicamente dalle parti, confluiti nel diverso fascicolo tenuto in modalita’ informatica, o quantomeno una stampa del registro storico del processo riportante i vari depositi avvenuti in corso di causa -secondo le indicazioni contenute nella circolare del Ministero della Giustizia del 23 ottobre 2015-, il giudice d’appello avrebbe dovuto previamente acquisire informazioni dalla predetta cancelleria o altrimenti invitare gli impugnanti a produrre copia della comparsa non rinvenuta, anziche’ limitarsi a emettere una decisione allo stato degli atti.

Con il secondo motivo vengono lamentate la violazione e la falsa applicazione degli articoli 299 e 300 c.p.c..

Si rimprovera alla Corte territoriale di aver erroneamente affermato, in contrasto con la giurisprudenza di legittimita’ formatasi sotto la vigenza della novella introdotta dalla L. n. 353 del 1990, che la dichiarazione di uno degli eventi previsti dall’articolo 299 c.p.c. e’ inidonea a determinare l’interruzione del processo se effettuata nella comparsa conclusionale.

Nel caso di specie, peraltro, doveva escludersi che in quell’atto la dichiarazione della morte del (OMISSIS) fosse stata resa dal suo difensore a scopo meramente informativo, essendo stata accompagnata dall’espressa richiesta di interruzione del giudizio.

Con il terzo motivo, rubricato “disintegrita’ del contraddittorio, violazione degli articoli 177, 184, 189 c.c., articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4”, si assume che avrebbe sbagliato la Corte siciliana nel disattendere le doglianze sollevate dagli odierni ricorrenti in ordine al difetto di integrita’ del contraddittorio, incentrate sul rilievo che l’immobile promesso in vendita al defunto (OMISSIS) era stato indicato nel contratto preliminare del (OMISSIS) come appartenente pro quota a tale (OMISSIS), mentre dalla visura catastale acquisita agli atti di causa risultava appartenere in comproprieta’ allo stesso (OMISSIS) e alla di lui moglie (OMISSIS).

Sulla scorta delle emergenze documentali, andava, infatti, ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti del prefato (OMISSIS) o, in alternativa, della moglie dell’attore.

Con il quarto motivo sono allegate la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1362 e ss., 2932, 2934, 2935 e 2946 c.c. e delle norme in materia di contratto preliminare, nonche’ dell’articolo 115 c.p.c..

Avrebbe errato la Corte d’Appello nel ritenere maturata la prescrizione dei diritti nascenti in favore del promissario acquirente (e ora dei suoi eredi) dal contratto preliminare di cui trattasi.

Ad essa, infatti, sarebbe sfuggito che la prescrizione non poteva farsi decorrere dalla data del preliminare, in quanto l’immobile promesso in vendita risultava gravato da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, ostative alla stipula dell’atto pubblico di trasferimento del bene.

Inoltre, il giudice distrettuale non avrebbe tenuto conto degli atti di riconoscimento del diritto compiuti dal promittente venditore, i quali avevano interrotto il corso della prescrizione ex articolo 2944 c.c.. Con il quinto motivo si prospettano la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c., nonche’ degli articoli 1140, 1144, 2697 e 2704 c.c..

Si sostiene che, nell’escludere la sussistenza in capo a (OMISSIS) dell’elemento soggettivo dell’”animus possidendi”, necessario ai fini dell’acquisto per usucapione della proprieta’ dell’immobile promessogli in vendita dal (OMISSIS), il collegio panormita avrebbe: a)omesso di valutare la rilevanza della prova orale dedotta in primo grado dal convenuto, inizialmente ammessa e poi immotivatamente revocata dal Tribunale, tendente a dimostrare che egli aveva “ricevuto il possesso dell’appartamento in data successiva alla stipula della scrittura privata denominata formalmente atto preliminare di vendita, che lo aveva abitato da oltre venti anni, lo aveva ristrutturato integralmente, lo aveva ammobiliato, aveva provveduto a munirlo di una cisterna per l’approvvigionamento idrico, ne aveva pagato le imposte”; b)trascurato di considerare che, “a seguito di detta interversione nel possesso, dopo la morte del (OMISSIS), la moglie e i figli avevano inserito detto immobile nella denuncia di successione ed avevano goduto dell’appartamento animo domini”; c)mancato di esaminare “la scrittura privata stipulata inter partes”, onde “stabilire se la stessa costituisse contratto di compravendita vero e proprio, con conseguente effetto traslativo immediato e acquisto del possesso da parte dell’acquirente, ovvero se fosse mero contratto preliminare di compravendita, con conseguente effetto meramente obbligatorio tra le parti e acquisto della sola detenzione da parte del promissario acquirente”.

I primi due mezzi, che vanno scrutinati insieme per la loro intima connessione, non possono trovare ingresso, dovendo nel caso di specie farsi applicazione del principio di diritto, costantemente enunciato da questa Corte, secondo cui e’ inammissibile per difetto di interesse il motivo di ricorso per cassazione con cui si denunci genericamente la mancata interruzione del processo di primo grado, ove il ricorrente non abbia prospettato quali lesioni ne siano in concreto derivate ai suoi diritti e alle sue facolta’ processuali.

Trattandosi, infatti, di violazione non rientrante tra i casi tassativi di rimessione della causa al primo giudice (ex articoli 353 e 354 c.p.c.) e convertendosi l’eventuale nullita’ della sentenza in motivo di gravame, secondo la regola generale stabilita dall’articolo 161 c.p.c., comma 1, l’impugnante deve indicare specificamente, a pena di inammissibilita’, quale sia stato il pregiudizio arrecato alle proprie attivita’ difensive dall’invocato vizio processuale (cfr. Cass. n. 16280/2018, Cass. n. 20480/2015, Cass. n. 3712/2012, Cass. n. 8159/2011, Cass. n. 2493/1996).

L’onere anzidetto non e’ stato, tuttavia, assolto dagli eredi (OMISSIS), i quali si sono limitati “sic et simpliciter” a denunciare l’”error in procedendo” asseritamente commesso dal Tribunale nel non aver dichiarato interrotto il giudizio a seguito della comunicazione della sopravvenuta morte del de cuius resa dal suo procuratore costituito.

Il terzo motivo e’ infondato e in parte inammissibile.

Va in primo luogo notato che il mancato deposito in appello del contratto preliminare di compravendita -di cui si da’ atto a pag. 7 della sentenza qui impugnata- ha impedito alla Corte palermitana di “comprendere l’impegno contrattualmente assunto dal (OMISSIS)”.

A fronte del surriferito rilievo svolto dal giudice a quo, il motivo in esame si appalesa anzitutto carente di specificita’ e autosufficienza, nella misura in cui non chiarisce -riportando almeno in sintesi, per la parte che interessa, il contenuto del contratto- se il (OMISSIS) avesse promesso in vendita al (OMISSIS) l’intero appartamento in questione o esclusivamente la quota di sua pertinenza, soltanto nella prima ipotesi ponendosi il problema di valutare l’eventuale necessita’ di coinvolgere nel giudizio il comproprietario non contraente.

Fermo quanto precede, la censura si rivela inconsistente laddove lamenta l’omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS), avendo la Corte distrettuale appurato -con accertamento in fatto condiviso dagli stessi ricorrenti- che l’immobile promesso in vendita risultava appartenere a (OMISSIS) e ad (OMISSIS), coniugi in regime di comunione legale dei beni.

Riguardo, poi, alla predetta (OMISSIS), va escluso che la sua partecipazione al presente processo fosse indispensabile.

E’ stato, infatti, chiarito da questa Corte che, qualora uno dei coniugi in regime di comunione legale abbia da solo acquistato o venduto un bene immobile da ritenersi oggetto di comunione, il coniuge rimasto estraneo alla formazione dell’atto e’ litisconsorte necessario in tutte le controversie in cui si chieda al giudice una pronuncia che incida direttamente e immediatamente sul diritto dominicale, ma non anche in quelle finalizzate al conseguimento di una decisione destinata a incidere direttamente e immediatamente sulla validita’ ed efficacia del contratto (cfr. Cass. n. 10975/2021, Cass. n. 24950/2020, Cass. n. 11033/2018, Cass. n. 8468/2016, Cass. n. 6091/2015, Cass. n. 26168/2014, Cass. n. 16559/2013, Cass. Sez. Un. 9660/2009).

Nella fattispecie in esame, la domanda proposta dal (OMISSIS) era volta a sentir dichiarare l’intervenuta estinzione per prescrizione dei diritti nascenti in favore del promissario acquirente dal contratto preliminare per cui e’ causa, e quindi ad ottenere l’emissione di una sentenza incidente in modo diretto e immediato su quel contratto.

Tale essendo l’oggetto del contendere, deve allora ritenersi che la (OMISSIS) non rivestisse la qualita’ di parte necessaria del giudizio.

Il quarto motivo e’ inammissibile per la sua novita’, in quanto prospetta una questione non trattata nella sentenza d’appello e che i ricorrenti non deducono di aver sottoposto al giudice a quo, indicando l’atto processuale in cui l’avrebbero sollevata.

Ne’ detta questione, postulante indagini e accertamenti in fatto non compiuti dal giudice di merito, puo’ essere per la prima volta posta in sede di legittimita’, sol perche’ astrattamente rilevabile d’ufficio in qualunque stato e grado del processo (cfr. Cass. n. 24698/2020, Cass. n. 13592/2019, Cass. n. 14477/2018, Cass. n. 2443/2016, Cass. n. 14621/2012).

Il quinto motivo e’ infondato e in parte inammissibile.

Non ricorre l’allegata violazione di legge, avendo la Corte siciliana correttamente affermato, in linea con la giurisprudenza di legittimita’, che “il promissario acquirente di un bene immobile il quale, in virtu’ di un contratto preliminare di compravendita, da un lato, anticipi in tutto o in parte il pagamento del prezzo e, dall’altro, ottenga l’immediata immissione nel godimento del bene per effetto dell’esecuzione anticipata della consegna della res da parte del promittente venditore, non puo’ essere qualificato come possessore in grado di acquisirne la proprieta’ a titolo di usucapione, non avendo egli l’animus possidendi che, essendo uno stato di fatto, non puo’ essere trasferito” (cfr., in tal senso, Cass. Sez. Un. 7930/2008).

Giova aggiungere che la consegna del bene e l’anticipato pagamento del prezzo non sono indici della natura definitiva della compravendita, in quanto -quale che ne sia la giustificazione causale (clausola atipica introduttiva di un’obbligazione aggiuntiva o collegamento negoziale)- e’ sempre e solo il contratto definitivo a produrre l’effetto traslativo reale; conseguentemente, la disponibilita’ del bene ottenuta dal promissario acquirente, in quanto esercitata non nel proprio interesse ma “alieno nomine”, in assenza dell’”animus possidendi”, ha natura di detenzione qualificata e non di possesso utile “ad usucapionem”, salva la dimostrazione di una sopraggiunta “interversio possessionis” nei modi previsti dall’articolo 1141 c.c., comma 2 (cfr. Cass. n. 4863/2010).

Sul tema, il collegio distrettuale ha sottolineato che “il mancato deposito in appello del contratto preliminare preclude(va) ogni possibilita’ di rivisitare la qualificazione giuridica del negozio prospettata dal primo giudice” in termini di mero “pactum de contrahendo”, precisando che dovevano farsi ricadere sugli appellanti le conseguenze di tale omesso deposito.

La surriportata affermazione non e’ stata specificamente contestata in questa sede dagli eredi (OMISSIS), i quali, oltretutto, cadono in un’evidente contraddizione laddove, per un verso, prospettano la natura definitiva del contratto di compravendita di cui trattasi, per altro verso, parlano di “intervenuta interversione del possesso”, in tal modo riconoscendo al de cuius l’originaria qualita’ di mero detentore “nomine alieno” in virtu’ di un preliminare a effetti anticipati.

Quanto, infine, alla prova testimoniale articolata in prime cure dal loro dante causa allo scopo di dimostrare la dedotta “interversio possessionis”, la Corte d’Appello ha ampiamente illustrato le ragioni per le quali essa andava ritenuta inammissibile o irrilevante (pagg. 11-13 della sentenza), con motivazione che si pone ben al di sopra del c.d. “minimo costituzionale” garantito dall’articolo 111, comma 6 della Carta fondamentale, la cui inosservanza, per giunta, nemmeno e’ stata puntualmente denunciata dai ricorrenti.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va respinto.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

In ragione dell’esito dell’esperita impugnazione, deve essere resa nei confronti dei ricorrenti l’attestazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, a rifondere alla controparte le spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in complessivi 5.200 Euro (di cui 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art., comma 1 bis se dovuto.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.