Cassazione civile, Ordinanza 27 novembre 2023 n. 32821

(…omissis…)

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso articolato in otto motivi avverso la sentenza n. 3305/2019 della Corte d’appello di Roma, depositata il 16 maggio 2019.

Resiste con controricorso (OMISSIS).

2. La trattazione del ricorso e’ stata fissata in camera di consiglio, a norma degli articolo 375 c.p.c., comma 2, 4-quater, e articolo 380 bis.1 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis Decreto Legislativo n. 149 del 2022, ex articolo 35.

3. Il giudizio ebbe inizio con citazione notificata da (OMISSIS) (del quale e’ stata poi dichiarata la carenza di legittimazione e che pertanto risulta estromesso dal processo) e da (OMISSIS), i quali convennero dinanzi al Tribunale di Roma (OMISSIS) e (OMISSIS). Gli attori esposero di aver stipulato con i convenuti nelle vesti di promittenti venditori un contratto preliminare di compravendita di un immobile sito in (OMISSIS), al prezzo di Euro 174.000,00; di aver presentato domanda di condono, a seguito della notizia relativa all’avvenuta trascrizione di una domanda giudiziale nei confronti della loro dante causa e della impugnazione dinanzi al TAR della concessione edilizia; di aver percio’ i promissari acquirenti richiesto la riduzione del prezzo, che aveva portato in data (OMISSIS) alla stipula di un nuovo preliminare, il quale prevedeva il prezzo di Euro 97.000,00, con obbligo dei medesimi promissari acquirenti di farsi carico delle necessarie pratiche edilizie e urbanistiche e di stipulare il contratto definitivo una volta ottenuta dal comune di Fonte Nuova la sanatoria degli effetti pregiudizievoli della sentenza del TAR e comunque non oltre il 10 marzo 2009; che decorso inutilmente tale termine e nonostante le missive inviate, i promissari acquirenti, immessi nel possesso dell’immobile dal (OMISSIS), non avevano provveduto a stipulare il contratto definitivo, sicche’ i promittenti venditori avevano comunicato il proprio recesso dal contratto e il trattenimento della caparra ai sensi dell’articolo 3 del secondo contratto preliminare.

I convenuti promissari acquirenti avevano eccepito l’assenza di loro colpa, per la impossibilita’ di ottenere la sanatoria.

Il Tribunale di Roma dichiaro’ legittimo il recesso della promittente venditrice ed accerto’ il suo diritto a trattenere la caparra confirmatoria di Euro 87.000,00, rilevando che i promissari acquirenti, a fronte della riduzione del prezzo di vendita, si erano fatti carico di ogni effetto pregiudizievole derivante dalle azioni civili e amministrative intentate da terzi e si erano obbligati ad attivare le procedure di regolarizzazione, restando in uno stato di colposa inerzia nonostante i solleciti inviati dall’attrice fino al (OMISSIS).

L’appello in nove motivi proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS) e’ stato accolto dalla Corte d’appello di Roma limitatamente al settimo motivo, relativo alla condanna dei promittenti venditori alla restituzione della somma di Euro 8.000,00, costituente acconto sul prezzo versato in occasione del preliminare.

4. Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce la nullita’, invalidita’, illiceita’, illegittimita’ della sentenza per violazione degli articolo 132 c.p.c., articolo 118 disp. att. c.p.c., articolo 111 Cost., articolo 1418 c.c., della L. n. 10 del 1977, articolo 15, comma 7, della L. n. 47 del 1985, articoli 17 e 40 errores in iudicando in tema di travisamento ed erronea interpretazione degli obblighi a carico dei promittenti venditori. Si precisa che il motivo “viene formulato avverso la sentenza di merito (pag. 3, 4, punto 1.1.) nella parte in cui assume che la nullita’ prevista dalla L. n- 47 del 1985, articolo 40 trova applicazione ai soli contratti con effetti traslativi e non anche a quelli con efficacia obbligatoria. Inoltre, nella parte in cui assume (pag. 3, 4, punto 1.1.) che il rilascio della concessione in sanatoria poteva avvenire successivamente alla stipula del contratto preliminare. I giudici di merito sono incorsi in evidenti errores in iudicando costituiti dall’aver omesso la doverosa valutazione che nel contratto de quo i ricorrenti avevano versato l’intero prezzo ed erano stati immessi nel pieno possesso del bene, effetti anticipatori tipici del contratto di compravendita; dall’aver inoltre equiparato la fattispecie in esame alle ipotesi di compravendita di immobili in corso di regolarizzazione, con domanda di condono presentata e in attesa di sanatoria, mentre la controversia in esame, invece, attiene a ipotesi in cui e’ stata definitivamente revocata dal TAR la concessione edilizia ed e’ stata pronunciata sentenza definitiva del giudice civile di demolizione di parte del fabbricato per acclarata violazione del disposto di cui all’articolo 907 c.c.”.

4.1. Il motivo non supera lo scrutino di ammissibilita’ di cui all’articolo 360 bis c.p.c., n. 1, avendo la sentenza impugnata deciso la questione di diritto in conformita’ all’orientamento di questa Corte secondo cui al contratto preliminare di compravendita di immobili stipulato dopo l’entrata in vigore della L. n. 47 del 1985 non e’ applicabile la sanzione della nullita’, prevista dalla L. n. 10 del 1977, articolo 15 in relazione agli atti giuridici aventi ad oggetto unita’ edilizie costruite in assenza di concessione, essendo stata detta disposizione interamente sostituita da quelle di cui al capo primo della citata L. n. 47, inerente ai soli contratti con effetti traslativi e non anche ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita (Cass. n. 10297 del 2017; n. 21942 del 2017; n. 6685 del 2019; n. 20132 del 2022).

4.2. Quanto alle dedotte violazioni dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’articolo 118 disp. att. c.p.c., deve al contrario affermarsi che la sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, consentendo un “effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicita’ del ragionamento del giudice” (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 8053 del 2014; n. 22232 del 2016; n. 2767 del 2023), come confermano le censure per violazione di norme di diritto contestualmente avanzate dai ricorrenti, censure che presuppongono che il giudice del merito non sia incorso in un difetto di attivita’, ed abbia, piuttosto, preso in esame la questione oggetto di doglianza, risolvendola tuttavia in modo giuridicamente non corretto.

4.3. La prospettazione che quello stipulato inter partes fosse in realta’ contratto con effetti traslativi e non ad efficacia obbligatoria e’ inammissibile, in quanto la questione non e’ esaminata nella sentenza impugnata e i ricorrenti non indicano, agli effetti dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, “come” e “quando” avessero utilmente sottoposto al contraddittorio tale piu’ ampio tema di indagine, ne’ potendosi al riguardo svolgere nuovi accertamenti di fatto nel giudizio di cassazione.

La tesi, peraltro, contraddice l’orientamento, anch’esso pacifico, secondo cui nella promessa di vendita, la consegna del bene (nella specie, immobile) e l’anticipato pagamento del prezzo, prima del perfezionamento del contratto definitivo, non sono indice della natura definitiva della compravendita, atteso che – quale che ne sia la giustificazione causale (clausola atipica introduttiva di un’obbligazione aggiuntiva o collegamento negoziale) – e’ sempre il contratto definitivo a produrre l’effetto traslativo reale (Cass. Sez. Unite n. 7930 del 2008).

4.4. I ricorrenti pongono in risalto che la controversia in esame “attiene a un’ipotesi in cui e’ stata REVOCATA in via definitiva dal TAR la concessione edilizia ed e’ stata pronunciata sentenza definitiva del giudice civile di demolizione di parte del fabbricato per acclarata violazione del disposto di cui all’articolo 907 c.c.”.

4.5. Sono gli stessi ricorrenti, peraltro, a specificare che l’articolo 4 del contratto preliminare del (OMISSIS) recava la seguente pattuizione: “parte promissaria acquirente dichiara di essere a perfetta conoscenza… della sentenza n. 29109/2003 con la quale il Tribunale di Roma ha condannato…. dante causa dei sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS) a demolire l’opera realizzata in sopraelevazione nell’immobile… nella misura di mc 39,62 eccedente la volumetria rimanente realizzabile; a posizionare la scale esterna per l’accesso al pian superiore….nel rispetto del disposto di cu all’articolo 907 c.c.; ad eliminare lo stillicidio sul fondo di proprieta’ degli attori realizzando le opportune canalizzazioni…; dichiara inoltre di essere a conoscenza della sentenza del TAR del Lazio n. 573 del 27/3/1996 la quale ha annullato la concessione edilizia n. 3091 del 20/2/2001”.

La controricorrente replica che nel preliminare del (OMISSIS) veniva espressamente indicato che era stata presentata istanza di condono per sanare l’irregolarita’ urbanistica.

4.6. E’ agevole allora considerare che la presenza di difformita’ edilizie, la pendenza dei connessi procedimenti di regolarizzazione, ovvero l’esistenza di violazioni delle limitazioni legali della proprieta’, afferenti all’immobile oggetto di preliminare, non determinano alcuna nullita’ del contratto, ma possono dar luogo a responsabilita’ del promittente venditore, a meno che il promissario acquirente non sia stato posto a conoscenza di tali problematiche per averne l’alienante – proprio come avvenuto nella specie – fatto menzione nell’atto (tra le tante, Cass. n. 6399 del 1984; n. 11218 del 1991; n. 1501 del 1999; n. 4786 del 2007; n. 3464 del 2012; n. 25357 del 2014; n. 11211 del 2021; n. 21441 del 2022).

5. Il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1454 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto l’inidoneita’ allo scopo della diffida ad adempiere intimata ai promissari acquirenti; ancora, violazione ed errata applicazione degli articoli 1362-1371 c.c.; avvenuta risoluzione di diritto del contratto preliminare allo scadere del termine per la stipula come intimato dalla (OMISSIS) nella missiva del (OMISSIS) ex articolo 1457 c.c.; illegittimita’ del recesso unilaterale in presenza di una previa avvenuta risoluzione del contratto preliminare; illegittimita’ del recesso in presenza di domanda risarcitoria di indennita’ di occupazione.

5.1. La Corte d’appello di Roma ha negato che avesse i requisiti della diffida ad adempiere ex articolo 1454 c.c. la lettera dalla signora (OMISSIS) che invitava i promissari acquirenti a procedere alla stipula entro e non oltre il termine di 15 giorni, affermando che la mittente sarebbe rimasta “in attesa di ricevere il nominativo del notaio da Voi scelto e l’indicazione della data per la stipula informandovi che non potro’ tollerare un ulteriore ritardo”.

5.2. Il motivo non supera lo scrutino di ammissibilita’ di cui all’articolo 360 bis c.p.c., n. 1, avendo la sentenza impugnata deciso la questione di diritto in conformita’ all’orientamento di questa Corte, che si sostanzia nel seguente principio:

la diffida ad adempiere di cui all’articolo 1454 c.c. esige la manifestazione univoca della volonta’ dell’intimante non solo di fissare un termine entro cui l’altra dovra’ adempiere alla propria prestazione, avvertendo la parte diffidata che l’intimante non e’ disposto a tollerare un ulteriore ritardo, ma anche di ritenere risolto ope legis il contratto in caso di mancato adempimento entro tale termine. Non e’ pertanto sufficiente per produrre l’effetto risolutivo del rapporto costituito fra le parti, previsto dalla norma richiamata, la manifestazione della generica intenzione, in seno alla diffida intimata alla controparte dal promittente venditore di un immobile, a procedere alla stipula entro e non oltre il termine di 15 giorni, e di restare in attesa dell’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo della stipula notarile del definitivo, senza specificare se si intendesse ottenere l’adempimento o la risoluzione del contratto (cfr. Cass. n. 3742 del 2006; n. 8910 del 1998; n. 4066 del 1990; n. 2089 del 1982).

Ne’, come sostengono i ricorrenti, risulta significativa ai fini indicati la condotta tenuta dalla (OMISSIS) “successivamente allo spirare del detto termine”, in quanto, agli effetti dell’articolo 1454 c.c., la manifestazione univoca della volonta’ dell’intimante di ritenere risolto il contratto in caso di mancato adempimento della controparte entro un certo termine deve emergere dalla diffida, e non puo’ sopraggiungere in un momento successivo ad essa.

5.3. Escluso che alla diffida inoltrata dalla (OMISSIS) il 19 maggio (OMISSIS) potesse ricondursi un effetto risolutivo del preliminare inter partes, al quale accedeva la prestazione di una caparra confirmatoria, non assume qui rilievo la questione della possibilita’ per la parte non inadempiente di esercitare il diritto di recesso dopo aver gia’ conseguito la risoluzione di diritto del contratto (su cui Cass. n. 18382 del 2022; n. 21971 del 2020; Cass. Sez. Unite n. 553 del 2009; ma anche Cass. n. 26206 del 2017 e n. 14014 del 2017).

5.4. Puo’ infine osservarsi che, in tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia agito in via principale per ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso con ritenzione della caparra, tale domanda non puo’ dirsi invalidata per il sol fatto che sia proposta in via subordinata domanda di risarcimento dei danni, stante l’incompatibilita’ strutturale e funzionale delle due azioni, ben potendo nello stesso giudizio essere proposte, in forma alternativa o subordinata, due diverse richieste tra loro incompatibili, senza che con cio’ venga meno l’onere della domanda ed il dovere di chiarezza che l’attore e’ tenuto ad osservare nelle proprie allegazioni.

6. Il terzo motivo del ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1373 c.c., nonche’ error in procedendo con riferimento all’articolo 345 c.p.c., rivendicando la natura di eccezione in senso lato del principio di esecuzione del contratto preliminare ostativo al recesso, con conseguente rilevabilita’ di ufficio in ogni stato e grado e proponibilita’ anche in sede di appello.

6.1. La Corte d’appello di Roma ha ritenuto inammissibile, giacche’ proposta per la prima volta in appello, l’eccezione per cui la promittente venditrice non poteva recedere dal contratto ex articolo 1373 c.c., in quanto vi era gia’ stato un principio di esecuzione da ravvisare nel compimento delle pratiche amministrative per ottenere la concessione in sanatoria.

6.2. Deve convenirsi che l’allegazione secondo cui secondo cui il recesso non puo’ essere esercitato, a norma dell’articolo 1373 c.c., comma 1, in quanto il contratto ha avuto un principio di esecuzione, costituisce oggetto di eccezione in senso lato, rilevabile, quindi, anche in appello, purche’ la prova dei fatti sui quali si fondi tale eccezione sia stata ritualmente acquisita al processo.

6.3. Tale error in procedendo appare, tuttavia, non rilevante ai fini della cassazione della sentenza, in quanto la questione di diritto ad esso sottostante risulta prima facie infondata e puo’ essere percio’ decisa in questa sede, non richiedendo ulteriori accertamenti in fatto. L’articolo 13 del preliminare inter partes stabiliva che, qualora alla scadenza del termine di cui alla clausola 12 i promissari acquirenti non avessero provveduto per loro colpa a presentare o integrare la domanda di condono, la promittente veditrice avrebbe potuto recedere dal contratto “trattenendo la caparra confirmatoria di cui alla clausola n. 11 lettera a)”.

L’infondatezza manifesta del terzo motivo di ricorso discende pertanto dal seguente principio:

la consegna di una caparra confirmatoria, nell’ambito di un contratto avente ad oggetto un preliminare di vendita immobiliare, implica, in caso d’inadempimento, il diritto di recesso secondo la disciplina dell’articolo 1385 c.c., comma 2, esercitabile dalla parte non inadempiente anche se vi sia stato un principio d’esecuzione, stante l’inapplicabilita’ a tale recesso del disposto dell’articolo 1373 c.c., comma 1, dettato in tema di recesso convenzionale (Cass. n. 1915 del 1980; n. 2268 del 1982; n. 10300 del 1994; n. 7762 del 2013).

7. Il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 c.c. e ss. e degli articoli 112 e 345 c.p.c., assumendosi la “doverosita’ da parte del giudice di merito… di effettuare il controllo sulla meritevolezza dell’interesse perseguito dalle parti, sulla legittimita’ e liceita’ del contratto e delle singole clausole e condizioni” ed ancora la “rilevabilita’ d’ufficio della condizione illegittima e della conseguente nullita’ parziale e/o totale del contratto”.

7.1. La Corte d’appello di Roma ha ritenuto inammissibile, giacche’ proposta per la prima volta in appello, l’eccezione di nullita’ della condizione pattuita dalle parti, che subordinava l’esecuzione del contratto al rilascio della concessione in sanatoria.

7.2. Anche qui, come per il terzo motivo di ricorso, deve convenirsi con i ricorrenti che il giudice di appello e’ tenuto a procedere al rilievo officioso di una nullita’ contrattuale nonostante sia mancata la rilevazione in primo grado e l’eccezione di nullita’ sia stata sollevata in sede di gravame, venendo in rilievo un’eccezione in senso lato.

7.3. Anche qui, come per il terzo motivo, tale error in procedendo appare, tuttavia, non rilevante ai fini della cassazione della sentenza, in quanto la questione di diritto ad esso sottostante risulta prima facie infondata e puo’ essere percio’ decisa in questa sede, non richiedendo ulteriori accertamenti in fatto.

Le clausole n. 9 e n. 13 del preliminare del (OMISSIS) oneravano i promissari acquirenti di presentare le domande di condono o sanatoria e riconnettevano l’effetto solutorio dell’impegno contrattuale non al mancato ottenimento entro una determinata scadenza temporale del provvedimento abilitativo, inteso come evento futuro ed incerto e, conseguentemente, qualificabile come condizione risolutiva negativa, quanto all’inadempimento imputabile ai medesimi contraenti (Cass. n. 17287 del 2013).

I ricorrenti, peraltro, non specificano, agli effetti dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, come e quando, prima del maturare delle preclusioni assertive ed istruttorie, avessero dedotto e provato nel giudizio di primo grado, cosi’ da consentire il rilievo anche in appello, che le difformita’ edilizie dell’immobile promesso in vendita non potevano essere sanate a seguito della presentazione della domanda di concessione in sanatoria.

8. Il quinto motivo del ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1385 c.c. e ss. e dell’articolo 112 c.p.c., “in relazione al ritenuto bilanciamento degli interessi contrattuali contrapposti” e “in riferimento alla applicata compensazione tra importo della caparra confirmatoria e godimento del bene a seguito di immissione nel possesso”.

8.1. La Corte d’appello di Roma ha affermato che “non si ravvisa uno sbilanciamento degli interessi contrattuali delle parti idoneo a determinare nullita’, poiche’ sebbene l’importo della caparra (Euro 87.000,00) fosse di poco inferiore al prezzo di vendita (Euro 97.000,00), tuttavia i promissari acquirenti hanno potuto godere dell’immobile fin dalla sottoscrizione del preliminare del (OMISSIS), per effetto del conferimento del possesso esclusivo del bene da parte della promittente venditrice; onde l’importo elevato della caparra puo’ dirsi compensato dal possesso esclusivo dell’immobile che si e’ protratto per un lungo periodo di tempo”.

8.2. Il quinto motivo del ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) e’ infondato.

La ragioni dell’infondatezza di tale censura si rinvengono nei principi enunciati nelle ordinanze della Corte costituzionale nn. 248 del 2013 e n. 77 del 2014, in rapporto anche a Cass. Sez. Unite n. 18128 del 2005 e n. 20106 del 2009.

L’elaborazione giurisprudenziale piu’ risalente evidenzia che l’articolo 1384 c.c., il quale prevede la possibilita’ del giudice di ridurre equamente l’ammontare della penale, ove risulti eccessivo, non trova applicazione con riguardo alla caparra confirmatoria, di cui all’articolo 1385 c.c., la cui congruita’ non sarebbe percio’ mai sindacabile dal giudice (ad esempio, Cass. n. 4856 del 1977; n. 6394 del 1979; n. 1143 del 1982; n. 5644 del 1995; n. 15391 del 2000; n. 14776 del 2014; n. 17715 del 2020). A fondamento di questa conclusione sta tuttora la considerazione che nel recesso disciplinato dall’articolo 1385 c.c. a venire in rilievo e’ comunque un inadempimento gravemente colpevole, cioe’ imputabile (ex articoli 1218 e 1256 c.c.) e di non scarsa importanza (ex articolo 1456 c.c.).

La Corte d’appello di Roma ha comunque indagato la portata dei patti conclusi nella specie dalle parti contrattuali, e, tenuto conto dei margini di intervento riconoscibili al giudice a fronte di una clausola negoziale che rifletta un regolamento degli opposti interessi, ha escluso che la determinazione dell’importo della caparra operato nel preliminare del (OMISSIS) fosse non equo e gravemente sbilanciato in danno dei promissari acquirenti, alla luce dell’articolo 2 Cost. e del canone della buona fede, essendo convenute altresi’ la anticipata consegna del bene e la previsione del termine per stipulare il contratto definitivo a distanza di circa quattro anni ((OMISSIS)). Si tratta di valutazione che coinvolge l’interesse che la promittente venditrice aveva all’adempimento, nonche’ la posizione reciproca delle parti individuata al momento in cui il rapporto obbligatorio e’ stato costituito, e dunque sottende un apprezzamento che spetta al giudice del merito e che non e’ sindacabile nel giudizio di cassazione per violazione di norme di diritto.

9. Il sesto motivo del ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 329, 342 e 112 c.p.c. “in relazione alla riliquidazione con incremento delle spese di lite del primo grado a carico dei ricorrenti, in mancanza di appello incidentale sul punto”.

9.1. L’appello in nove motivi proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS) e’ stato accolto dalla Corte d’appello di Roma limitatamente al settimo motivo, relativo alla condanna dei promittenti venditori alla restituzione della somma di Euro 8.000,00. Le spese processuali di entrambi i gradi sono state compensate per un quarto, condannandosi per la frazione residua i ricorrenti e liquidando gli importi per l’intero in Euro 13.430,00 per il primo grado ed in Euro 13.635,00 per l’appello.

9.2. Anche questo motivo non puo’ essere accolto.

I ricorrenti evidenziano che il Tribunale aveva liquidato le spese in Euro 10.343,00; la Corte d’appello ha poi compensato per un quarto l’intero importo di Euro 13.430,00 stabilito per il primo grado, ed ha condannato gli appellanti alla frazione residua, in realta’ ammontante ad Euro 10.072,00.

Il giudice d’appello ha comunque il potere di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata. La statuizione sulle spese del giudizio di primo grado, per il suo carattere dipendente ed accessorio, e’ infatti destinata ad essere travolta senza bisogno di specifica impugnazione nell’ipotesi in cui dal giudice del gravame venga riformata la correlativa statuizione principale.

10. Il settimo motivo del ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 342 e 345 c.p.c., in relazione alla ritenuta inammissibilita’ del motivo di appello relativo alla riproposizione delle istanze istruttorie rigettate dal primo giudice.

I ricorrenti riferiscono di aver “fatto specifica menzione alla memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 2, riportandosi al contenuto della stessa” e di aver “indicato lo scopo della riproposizione delle istanze istruttorie, che avrebbero precipuamente consentito, ove ammesse, di poter accertare giudiziariamente che il mancato espletamento delle pratiche urbanistiche e’ dipeso da fatto e colpa dei (OMISSIS)- (OMISSIS)”.

10.1. Il motivo di ricorso e’ inammissibile ai sensi dell’articolo 366, c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto non reca la specifica indicazione, mediante illustrazione del contenuto rilevante, del motivo d’appello formulato e delle istanze istruttorie dedotte in primo grado e richiamate per relationem nell’atto di gravame, non potendo richiedersi a questa Corte di sopperire con proprie indagini integrative alla individuazione delle parti decisive di tali atti.

11. L’ottavo motivo del ricorso di (OMISSIS) e (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 342 e 345 c.p.c. e dell’articolo 1373 c.c. “in relazione alla decorrenza degli interessi legali sulla somma di Euro 8,000.00 della quale la corte ha disposto la restituzione….

costituente acconto sul prezzo della compravendita… la cui decorrenza e’ fatta coincidere con la “domanda” vale a dire con la richiesta in tali sensi contenuta nella comparsa di costituzione in primo grado dei ricorrenti, datata 24/2/2012, invece che dalla data del preliminare”.

11.1. L’ottavo motivo e’ manifestamente infondato.

In ipotesi di ripetizione dell’indebito oggettivo, nella specie in relazione all’acconto sul prezzo versato in esecuzione di un preliminare immobiliare dichiarato risolto, ai fini del decorso degli interessi sulla somma oggetto di restituzione, opera l’articolo 2033 c.c.: si presume, quindi, la buona fede dell’accipiens, rilevante ai fini della decorrenza degli interessi dal giorno della domanda (da non intendersi esclusivamente come domanda giudiziale, comprendendo anche gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora ai sensi dell’articolo 1219 c.c.), mentre grava sul solvens, che intenda conseguire gli interessi dal giorno del pagamento, l’onere di dimostrare la malafede dell’accipiens all’atto della ricezione della somma non dovuta, quale consapevolezza della insussistenza di un suo diritto a conseguirla (si veda Cass. Sez. Unite n. 15895 del 2019).

12. Il ricorso va percio’ rigettato, con condanna in solido dei ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater-, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.