cassazione civile ordinanza 3 febbraio 2016 n 2132

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 3 febbraio 2016, n. 2132

(…omissis…)

PREMESSO IN FATTO

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“con la sentenza impugnata la Corte di Appello ha respinto l’appello

proposto dall’odierno ricorrente per la riforma della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Forli’ in un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, poiche’ non ha ritenuto gli elementi probatori dedotti dall’appellante idonei ad integrare una prova sufficiente a dimostrare che la (OMISSIS) fosse a conoscenza delle condizioni patrimoniali del garantito, al quale aveva concesso aperture di credito, ai fini dell’applicabilita’ della liberazione del fideiussore ( (OMISSIS)) per obbligazione futura (a norma dell’articolo 1956 c.c.);

il ricorso e’ proposto con due motivi;

l’intimata resiste con controricorso;

con il primo motivo di ricorso e’ dedotta violazione e falsa applicazione dell’articolo 1956 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poiche’ il ricorrente ritiene che il Giudice di gravame avrebbe errato nel rifiutare implicitamente l’applicabilita’ dell’articolo 1956 c.c., per il fatto di aver escluso la responsabilita’ dell’istituto bancario per concessione abusiva del credito in mancanza di prova idonea a fondare la conoscenza da parte della (OMISSIS) della situazione di decozione della societa’ garantita;

si ritiene che il primo motivo sia inammissibile, per quanto appresso;

questa Corte ha ripetutamente affermato che il fideiussore che chiede la liberazione della prestata garanzia, invocando l’applicazione dell’articolo 1956 c.c., ha l’onere di provare, ai sensi dell’articolo 2697 c.c., l’esistenza degli elementi richiesti a tal fine, e cioe’ che successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito al terzo pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche (cfr. tra le tante Cass. 7 febbraio 2006, n. 2524);

in particolare, si e’ affermato che, se nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente, si manifesta un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle conosciute al momento dell’apertura del rapporto, tali da mettere a repentaglio la solvibilita’ del debitore medesimo, la banca creditrice, la quale disponga di strumenti di autotutela che le consentano di porre termine al rapporto impedendo ulteriori atti di utilizzazione del credito che aggraverebbero l’esposizione debitoria, e’ tenuta ad avvalersi di quegli strumenti anche a tutela dell’interesse del fideiussore inconsapevole, alla stregua del principio cui si ispira l’articolo 1956 c.c., se non vuole perdere il beneficio della garanzia, in conformita’ ai doveri di correttezza e buona fede ed in attuazione del dovere di salvaguardia dell’altro contraente, a meno che il fideiussore manifesti la propria volonta’ di mantenere ugualmente ferma la propria obbligazione di garanzia (cfr. Cass. 22 ottobre 2010, n. 21730); la Corte di Appello ha interpretato l’articolo 1956 c.c., in conformita’ ai principi di diritto sopra richiamati, in quanto ha fatto gravare sull’appellante, odierno ricorrente, l’onere della prova dell’abusiva concessione del credito da parte della banca e quindi della consapevolezza da parte di quest’ultima della sopravvenuta insolvibilita’ del debitore principale;

dati per scontati i principi anzidetti, il giudice di merito ha ritenuto che le prove acquisite e quelle richieste dall’appellante non fossero sufficienti a soddisfare l’onere probatorio posto a suo carico;

il motivo e’ inammissibile perche’ lamenta che la Corte non abbia considerato che la consapevolezza della banca si sarebbe dovuta desumere dal fatto che soltanto dopo la prestazione della garanzia fideiussoria avrebbe consentito ad un ampliamento dell’esposizione della societa’ debitrice, nonche’ dal fatto che quest’ultima presentasse, nell’anno 2008, un considerevole passivo ed un’elevata perdita di esercizio; il ricorrente prospetta come errori di diritto (violazione dell’articolo 1956 c.c.) censure riconducibili, tutt’al piu’, al vizio di insufficiente motivazione (fatto salvo quanto appresso, sul secondo motivo di ricorso), poiche’ essenzialmente orientate a porre in discussione l’apprezzamento delle prove fornito dalla Corte di Appello, al fine di addivenire ad una ricostruzione dei fatti a se’ favorevole;

con il secondo motivo di ricorso e’ denunciata omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perche’ la motivazione risulterebbe insufficiente, avendo omesso di considerare la violazione da parte dell’istituto bancario di regole e precetti imposti dalla disciplina che regola il sistema creditizio, quale l’assolvimento dell’obbligo di istruttoria minima che imporrebbe, nelle situazioni di cui e’ causa, la richiesta di un bilancio provvisorio, di una situazione contabile aggiornata e di tutte le informazioni patrimoniali, necessarie a verificare la capacita’ di rimborso del credito; come osservato anche dal resistente, il ricorrente erroneamente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, cioe’ del vizio previsto nel testo dell’articolo 360, n. 5), cosi’ come formulato anteriormente alla recente riforma, di cui al Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito in Legge 7 agosto 2012, n. 134, ormai applicabile soltanto nei confronti di ricorsi proposti avverso sentenze depositate prima del giorno 11 settembre 2012;

posto che la sentenza impugnata e’ stata depositata il 4 giugno 2013, la doglianza e’ inammissibile poiche’ formulata sulla base di una disposizione non piu’ in vigore e, quindi, in contrasto con la natura a critica vincolata del giudizio di legittimita’;”.

La relazione e’ stata notificata come per legge.

Parte resistente ha depositato memoria.

RITENUTO IN DIRITTO

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione.

Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida, in favore della resistente, nell’importo complessivo di euro 7.400,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.