Cassazione civile, Ordinanza 4 maggio 2023 n. 11627

Cassazione civile, Ordinanza 4 maggio 2023 n. 11627

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FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) adivano il Tribunale di Tivoli al fine di sentir dichiarare la decadenza di (OMISSIS) dal diritto di usufrutto sulla quota di 3-4 di un loro immobile in Subiaco, lamentando gravi inadempimenti del convenuto, consistiti nel mutamento della destinazione d’uso del bene e nell’illegittima occupazione della quota di 1-4 di essi attori.

2. L’ (OMISSIS), nel resistere, domandava in via riconvenzionale l’accertamento dell’intervenuta usucapione della proprieta’ della quota di 1-4 dell’immobile su cui aveva esteso il possesso, nonche’ la condanna degli attori al rimborso di spese sostenute per la straordinaria manutenzione del bene.

3. Il Tribunale di Tivoli, espletata l’istruzione probatoria, con sentenza non definitiva accertava l’inadempimento del convenuto e dichiarava cessato l’usufrutto; rigettava le domande riconvenzionali di usucapione e rimborso spese; condannava (OMISSIS) al rilascio dell’immobile; rimetteva la causa sul ruolo istruttorio per la quantificazione dell’indennita’ di occupazione.

4. (OMISSIS) interponeva gravame avverso tale decisione, cui resistevano gli originari attori. Il giudizio di appello veniva interrotto per la morte di (OMISSIS) e (OMISSIS); riassunta la causa, si costituivano gli eredi di quest’ultimo, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

5. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 990-2022, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermata nel resto, rigettava la domanda di decadenza del convenuto dal diritto di usufrutto, escludendo che gli interventi effettuati sul bene da parte dell’ (OMISSIS) (trasformazione di un vano garage di 32 mq in un locale abitativo) fossero di gravita’ tale da comportare la cessazione del diritto reale, a fronte della superficie complessiva pari a 335 mq del fabbricato, del quale non si era prodotto alcuno stato di perimento, risultando comunque la modificazione del vano suscettibile di ripristino con una spesa di modesta entita’ (riduzione in pristino per la quale, peraltro, osservava il giudice di seconde cure, gli attori erano gia’ muniti di titolo esecutivo ottenuto all’esito di un precedente giudizio).

6. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza, affidandosi a tre motivi.

7. (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

8. I ricorrenti, con memoria depositata in prossimita’ dell’adunanza, hanno insistito nelle proprie richieste.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: “Violazione, errata interpretazione ed applicazione degli articoli 981, 1001, 1015 c.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3). Violazione dell’articolo 112 c.p.c., per avere la Corte deciso su questioni ed eccezioni non sollevate dalla parte (articolo 360 c.p.c., n. 3)”. I ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello non avrebbe considerato il complessivo comportamento abusivo dell’usufruttuario, avendo valutato il solo aspetto, marginale, dell’estensione dell’area trasformata, messa peraltro erroneamente in rapporto con l’intera superficie del fabbricato, anziche’ con i 3-4 dell’immobile oggetto del diritto di usufrutto. I ricorrenti denunciano, ancora, la violazione dell’articolo 112 c.p.c., per aver il giudice di merito deciso su un’eccezione non sollevata dalla controparte, relativa alla titolarita’ in capo ai (OMISSIS) di un titolo esecutivo per la riduzione in pristino del vano, senza peraltro tenere conto che l’accertamento del Tribunale circa l’inadempimento dell’ (OMISSIS) all’ordine di ripristino non era stato impugnato, e dunque era coperto da giudicato.

2. Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano “omesso esame di fatti fondamentali della vicenda, sui quali vi e’ stato regolare esame e contraddittorio (articolo 360 c.p.c., n. 5)”. I (OMISSIS) lamentano la mancata considerazione, da parte del giudice di merito, di vari elementi a loro dire rappresentativi dell’abuso dell’usufruttuario, quali: l’estensione dell’usufrutto ad una porzione in piena proprieta’ degli attori; il mutamento della destinazione economica del bene; l’omessa ottemperanza all’ordine di ripristino; la protrazione nel tempo del comportamento illecito dell’ (OMISSIS).

3. Il terzo motivo e’ cosi’ rubricato: “Contraddittorieta’ nella motivazione; contrasto tra le premesse della motivazione e la decisione. Contraddittorieta’ in relazione ai principi consolidati dalla Suprema Corte, peraltro espressamente richiamati in sentenza (articolo 360, n. 3 e n. 5); ulteriore violazione dell’articolo 1015 c.c. (articolo 360 n. 3)”. I ricorrenti deducono la mancata valorizzazione da parte del giudice di merito di tutti gli elementi rappresentativi della gravita’ dell’abuso dell’usufruttuario, nonche’ la contraddittorieta’ della motivazione nella parte in cui la Corte d’Appello ha dato rilievo alla titolarita’ in capo agli attori di un titolo esecutivo per il ripristino, senza considerare che l’ordine in esso contenuto, rivolto all’ (OMISSIS), era rimasto inadempiuto.

4. Le censure, suscettibili di esame congiunto, sono in parte inammissibili in parte infondate.

4.1. La Corte territoriale ha escluso la sussistenza delle condizioni ex articolo 1015 c.c. per la pronuncia di cessazione dell’usufrutto, in ragione della modesta consistenza delle modificazioni apportate all’immobile, che hanno interessato un solo vano di 32 mq a fronte di una superficie complessiva di 335 mq, ritenendole inidonee a determinare uno stato di perimento o di deterioramento irreversibile del bene, essendo peraltro suscettibili di riduzione in pristino con un intervento di lieve entita’ in rapporto al valore complessivo del cespite. Sul punto, il giudice di merito si e’ attenuto al principio secondo cui “L’articolo 1015 c.c., conformemente all’articolo 516 c.c. del 1865, prevede tre distinte ipotesi in presenza delle quali l’usufruttuario puo’ essere dichiarato decaduto dall’usufrutto, che ricorrono quando l’usufruttuario alieni i beni o li deteriori o li lasci andare in perimento per mancanza di ordinarie riparazioni. La decadenza, peraltro, non puo’ che riguardare i casi piu’ gravi, in quanto per gli abusi di minore gravita’ la stessa legge prevede, nel comma 2 dell’articolo 1015 c.c., rimedi meno rigorosi di carattere non repressivo e sanzionatorio, ma semplicemente cautelari, a tutela preventiva del diritto del nudo proprietario” (cfr. Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 7031 del 03/03/2022, Rv. 664187).

4.2. Le censure mosse nel ricorso, relative alla mancata considerazione di tutti gli elementi attestanti la condotta abusiva dell’usufruttuario, oltre che generiche, mirano a contrapporre alla valutazione in fatto della Corte d’Appello una valutazione alternativa dei ricorrenti (secondo cui avrebbero dovuto rilevare, ai fini della gravita’ dell’abuso, il perdurante inadempimento all’ordine di ripristino del locale trasformato, o, ancora, l’estensione del diritto di usufrutto sulla parte di bene che non ne era gravata), e finiscono quindi per sollecitare un inammissibile nuovo sindacato di merito, non tenendo peraltro conto che l’apprezzamento dell’entita’ dei mutamenti operati dall’usufruttuario al bene che forma oggetto del suo diritto, onde valutarne la rilevanza ai fini del decidere, spetta unicamente al giudice di merito, ed e’ insuscettibile di sindacato di legittimita’ ove, come nella specie, congruamente motivato alla luce degli elementi probatori raccolti (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1878 del 18/06/1971, Rv. 352434; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1878 del 18/06/1971, Rv. 352435; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1671 del 21/07/1965, Rv. 313186).

4.3. Quanto alla deduzione secondo cui la Corte territoriale avrebbe giudicato ultra petita, per essersi pronunciata su un’eccezione mai formulata dall’ (OMISSIS), e in particolare per aver rilevato che i ricorrenti gia’ avevano la disponibilita’ di un titolo per la riduzione in pristino dell’immobile, la censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte territoriale, infatti, ha motivato l’accoglimento dell’appello sul punto in questione, non in ragione della disponibilita’ da parte dei ricorrenti di un titolo giudiziale per il ripristino del locale trasformato, ma sul presupposto che il mutamento non comportava una condizione di perimento o deterioramento irreversibile del bene: il giudice di seconde cure si e’ quindi pronunciato nei limiti della domanda, posto che, come risulta dalla lettura della sentenza (cfr. pag. 4) e del ricorso (cfr. pag. 4), l’ (OMISSIS) aveva appunto lamentato in sede di gravame l’insussistenza delle condizioni ex articolo 1015 c.c. per addivenire a declaratoria di decadenza dal diritto di usufrutto.

4.4. Ne’ la mancata impugnazione della statuizione di prime cure, che aveva accertato l’inadempimento da parte dell’ (OMISSIS) dell’obbligo di ridurre in pristino il locale, avrebbe potuto comportare la formazione del giudicato in ordine alla gravita’ degli abusi lamentati. Infatti, e’ principio consolidato che il giudicato interno non si determina sul fatto, ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicche’ l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, cosi’ espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (cfr. Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 10760 del 17/04/2019, Rv. 653408). Nel caso che ci occupa, manca la suddetta sequenza, poiche’ all’accertamento del fatto (inadempimento dell’ordine di ripristino) non consegue ineluttabilmente l’effetto giuridico della cessazione dell’usufrutto, dipendendo questo dalla valutazione della gravita’ dell’abuso, che con i propri motivi di gravame l’ (OMISSIS) aveva devoluto alla cognizione del giudice d’appello.

4.5. Quanto al dedotto vizio di motivazione, la censura e’ inammissibile perche’, oltre che ripetitiva delle doglianze relative alla mancata considerazione del complessivo comportamento dell’usufruttuario, non si confronta con il principio secondo cui “La riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Orbene, non si riscontrano nella fattispecie le suddette anomalie, risultando la motivazione del provvedimento impugnato ampiamente rispettosa del c.d. “minimo costituzionale”.

5. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido tra loro al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 4000 piu’ 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore dell’avvocato (OMISSIS), antistatario;

ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.