cassazione civile sentenza 12 febbraio 2015 n 2741

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 12 febbraio 2015, n. 2741

(…omissis…)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 2/12/2010 la Corte d’Appello di Lecce, in accoglimento del gravame interposto dal sig. (OMISSIS) e in conseguente riforma della sentenza Trib. Lecce n. 1768/06, ha accolto la domanda dal medesimo proposta nei confronti della Asl Le/(OMISSIS) di Maglie, che ha chiamato in causa il Comune di Maglie il quale ha a sua volta chiamato in garanzia la (OMISSIS) s.p.a., di risarcimento dei danni lamentati a seguito del sinistro avvenuto il (OMISSIS), allorquando mentre percorreva la locale via (OMISSIS) alla guida del proprio ciclomotore Vespa 50 “impattava con un cane di dimensioni medie e di colore chiaro, che appariva incustodito e randagio, investendolo e cadendo… al suolo per effetto della collisione”, riportando “lesioni personali prontamente riscontrate dai sanitari dell’Ospedale di (OMISSIS)”.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la societa’ (OMISSIS) s.p.a. (gia’ (OMISSIS) s.p.a.) propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.

Resiste con controricorso l’ (OMISSIS).

Gli altri intimati non hanno svolto attivita’ difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1 motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 e 2697 c.c., Legge n. 281 del 1991, articolo 3, Legge Regionale Puglia n. 12 del 1995, articolo 6, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che, in difetto di prova all’uopo fornita da controparte che vi era onerata, la corte di merito abbia erroneamente fondato la ravvisata sua responsabilita’ in ragione della violazione dell’obbligo di prevenzione del randagismo, che la Legge Quadro n. 281 del 1991 e la legge della Regione Puglia pongono in capo non gia’ alla ASL bensi’ alla Regione.

Lamenta che la corte di merito ha erroneamente addossato alla ASL “l’onere di dimostrare l’inesistenza o l’inefficacia dei fatti costitutivi del diritto azionato da parte attrice”.

Con il 2 motivo denunzia “insufficiente e contraddittoria motivazione” su punto decisivo della controversia, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente valutato le emergenze processuali, ed erroneamente ascritto alla “Asl Le/(OMISSIS) di Maglie l’omesso recupero di animali randagi in difetto di specifiche segnalazioni della presenza degli stessi animali nel territorio di Maglie”.

Lamenta che la corte di merito ha erroneamente argomentato in via presuntiva, giacche’ “il fatto ignoto (la natura di randagio del cane che ha attraversato la strada all’ (OMISSIS))” non puo’ “in alcun modo configurarsi come una conseguenza probabile dei fatti noti (la circostanza, appunto, che un cane abbia attraversato la strada all’ (OMISSIS)), ma tutt’al piu’ come una mera possibilita’”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che come questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare il ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’articolo 360 c.p.c. – e’ proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (v. in particolare Cass., 19/8/2009, n. 18421).

Risponde altresi’ a massima consolidata nella giurisprudenza di legittimita’ che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificita’, della completezza, e della riferibilita’ alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito (cfr., da ultimo, Cass., 2/4/2014, n. 7692).

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a se’ stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, per soddisfare la prescrizione di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3, e’ tuttavia indispensabile che il ricorso offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonche’ delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessita’ di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioe’ indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v. Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierna ricorrente.

Va anzitutto posto in rilievo che come da questa Corte – anche a Sezioni Unite – ripetutamente affermato, il requisito – a pena di inammissibilita’ richiesto all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3 – della sommaria esposizione dei fatti di causa non risulta invero soddisfatto (neanche) allorquando come nella specie vengano nel ricorso pedissequamente riprodotti (in tutto o in parte) gli atti e i documenti del giudizio di merito (nel caso, in particolare l’impugnata sentenza), in contrasto con lo scopo della disposizione di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, in immediato coordinamento con i motivi di censura (v. Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), essendo necessario che vengano riportati nel ricorso gli specifici punti di interesse nel giudizio di legittimita’ (cfr. Cass., 8/5/2012, n. 6909), con eliminazione del “troppo e del vano”, non potendo gravarsi questa Corte del compito, che non le appartiene, di ricercare negli atti del giudizio di merito cio’ che possa servire al fine di utilizzarlo per pervenire alla decisione da adottare (v. Cass., 25/09/2012, n. 16254; Cass., 16/2/2012, n. 2223; Cass., 12/9/2011, n. 18646; Cass., 22/10/2010, n. 21779; Cass., 23/6/2010, n. 15180; Cass., 18/9/2009, n. 20093; Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), sicche’ il ricorrente e’ al riguardo tenuto a rappresentare e interpretare i fatti giuridici in ordine ai quali richiede l’intervento di nomofilachia o di critica logica da parte della Corte Suprema (v. Cass., Sez. Un., 11/4/2012, n. 5698), il che distingue il ricorso di legittimita’ dalle impugnazioni di merito (v. Cass., 23/6/2010, n. 15180).

Un tanto anche con riferimento al requisito a pena di inammissibilita’ richiesto all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che la ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all’”atto di citazione avanti il Tribunale di Lecce”, alla sentenza del giudice di prime cure, all’atto di appello) senza che gli stessi risultino debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodotti nel ricorso ne’ puntualmente ed esaustivamente indicati i dati necessari al relativo reperimento in atti (v. Cass., Sez. Un., 3/11/2011, n. 22726; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279), con riferimento (anche) alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimita’ (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 19/9/2011, n. 19069; Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279. E da ultimo, Cass., 3/11/2011, n. 22726; Cass., 6/11/2012, n. 19157).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimita’ in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Deve quindi porsi in rilievo che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 non consiste invero nella difformita’ dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimita’ non gia’ il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi’ la mera facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass., 27/4/2005, n. 8718).

Va al riguardo d’altro canto ribadito che il vizio di motivazione non puo’ essere invero utilizzato per far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, non valendo esso a proporre in particolare un pretesamente migliore e piu’ appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalita’ di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice (cfr. Cass., 9/5/2003, n. 7058).

Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti a risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalita’ del giudizio di legittimita’.

Senza sottacersi che la ricorrente non ha invero formulato denunzia di violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Quanto al merito, avuto in particolare riguardo al 1 motivo va ulteriormente sottolineato che, come questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare, in base al principio del neminem laedere la P.A. e’ responsabile dei danni riconducibili all’omissione dei comportamenti dovuti, i quali costituiscono il limite esterno alla sua attivita’ discrezionale e integrano la norma primaria del neminem laedere di cui all’articolo 2043 c.c. (cfr., con riferimento a diversa ipotesi, Cass., 27/4/2011, n. 9404).

In presenza di obblighi normativi la discrezionalita’ amministrativa invero si arresta, e non puo’ essere invocata per giustificare le scelte operate nel peculiare settore in considerazione.

Va altresi’ posto in rilievo che il modello di condotta cui la P.A. e’ tenuta postula l’osservanza di un comportamento informato a diligenza particolarmente qualificata, specificamente in relazione all’impiego delle misure e degli accorgimenti idonei ai fini del relativo assolvimento, essendo essa tenuta ad evitare o ridurre i rischi connessi all’attivita’ di attuazione della funzione attribuitale.

Comportamento cui la P.A. e’ d’altro canto tenuta gia’ in base all’obbligo di buona fede o correttezza, quale generale principio di solidarieta’ sociale – che trova applicazione anche in tema di responsabilita’ extracontrattuale – in base al quale il soggetto e’ tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso nonche’ volto alla salvaguardia dell’utilita’ altrui – nei limiti dell’apprezzabile sacrificio -, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilita’ in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi (cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651; Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass., 15/2/2007, n. 3462; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 30/10/2007, n. 22860; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056. Da ultimo cfr. Cass., 27/4/2011, n. 9404).

Condotta che, ove tardiva, carente o comunque inidonea, viene a provocare (o a non impedire) la lesione proprio di quei diritti ed interessi la cui tutela e’ rimessa al corretto e tempestivo esercizio dei poteri alla P.A. attribuiti per l’assolvimento della funzione (cfr. Cass., 25/2/2009, n. 4587. V. anche Cass., Sez. Un., 27/7/1998, n. 7339).

A tale stregua, in caso di concretizzazione del rischio che la norma violata tende a prevenire, la considerazione del comportamento dovuto e della condotta mantenuta assume allora decisivo rilievo, e il nesso di causalita’ che i danni conseguenti a quest’ultima astringe rimane invero presuntivamente provato (cfr. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 584; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 582. E, da ultimo, Cass., 27/4/2011, n. 9404).

Ne consegue che il Comune deve rispondere dei danni patiti da un ciclomotorista aggredito da un cane randagio durante la marcia del mezzo, atteso che l’ente territoriale – ai sensi della legge-quadro 14 agosto 1991, n. 281 e delle leggi regionali in tema di animali di affezione e prevenzione del randagismo (nella specie legge reg….) – e’ tenuto, in correlazione con gli altri soggetti indicati dalla legge, al rispetto del dovere di prevenzione e controllo del randagismo sul territorio di competenza (v. Cass., 23/8/2011, n. 17528).

In ordine al 2 motivo va per altro verso posto altresi’ in rilievo che, oltre a non tener conto di quanto dalla corte di merito in realta’ nell’impugnata sentenza affermato (in particolare la’ dove risulta sottolineato come sia rimasto nella specie accertato che si trattava di un cane “di colore chiaro”), nella parte in cui lamenta che “il fatto ignoto (la natura di randagio del cane che ha attraversato la strada all’ (OMISSIS))” non puo’ “in alcun modo configurarsi come una conseguenza probabile dei fatti noti (la circostanza, appunto, che un cane abbia attraversato la strada all’ (OMISSIS)) ma tutt’al piu’ come una mera possibilita’”, la ricorrente in realta’ inammissibilmente si duole non gia’ del denunziato vizio di motivazione bensi’ del diverso vizio di violazione di norme di diritto, censurabile ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Emerge dunque evidente come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili le deduzioni della ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, si risolvono in realta’ nella mera doglianza circa l’asseritamente erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso dal medesimo operata (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’articolo 360 c.p.c., in realta’ sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimita’, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimita’ non e’ un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto gia’ considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento degli stessi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilita’ e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente (OMISSIS), seguono la soccombenza.

Non e’ viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attivita’ difensiva.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore del controricorrente (OMISSIS).