cassazione civile sentenza 19 febbraio 2014 n 3967

CORTE DI CASSAZIONE
SENTENZA 19 febbraio 2014, n.3967

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1669 cod. civ., nonché errata, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Il ricorrente osserva che la sentenza impugnata lo ha ritenuto solidalmente responsabile in quanto committente i lavori di costruzione della recinzione del piazzale adiacente la Parrocchia di Santa Maria Goretti di Crispiano. Tale riconoscimento di responsabilità sarebbe errato, in quanto il Comune aveva indetto una regolare gara per l’aggiudicazione dei lavori; l’impresa INCA, che era risultata vincitrice, era soggetto «sicuramente dotato di autonomia organizzativa», tale da consentirle di eseguire i lavori in piena autonomia e non come semplice esecutore materiale di istruzioni impartite dal committente.

Tanto avrebbe dovuto condurre la Corte d’appello a riconoscere la completa esenzione di responsabilità in favore del Comune di Crispiano.

1.1. Il motivo è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha affermato in più occasioni che in tema di appalto è di regola l’appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi ed eventualmente anche dell’inosservanza della legge penale durante l’esecuzione del contratto, attesa l’autonomia con cui egli svolge la sua attività nell’esecuzione dell’opera o del servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari, curandone le modalità ed obbligandosi a fornire alla controparte l’opera o il servizio cui si era obbligato, mentre il controllo e la sorveglianza del committente si limitano all’accertamento e alla verifica della corrispondenza dell’opera o del servizio affidato all’appaltatore con quanto costituisce l’oggetto del contratto. In tale contesto, pertanto, una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso (sentenze 23 marzo 1999, n. 2745, e 2 marzo 2005, n. 4361), oppure quando sia configurabile in capo al committente una culpa in eligendo per aver affidato il lavoro ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche, ovvero in base al generale principio del neminem laedere di cui all’art. 2043 cod. civ. (sentenze 6 agosto 2004, n. 15185, e 27 maggio 2011, n. 11757).

Tali principi hanno trovato conferma in riferimento agli appalti pubblici, a proposito dei quali si è detto che l’appaltatore conserva, anche se generalmente in misura minore rispetto all’appalto privato, i necessari margini di autonomia, sicché egli è da considerare, di regola, unico responsabile dei danni cagionati ai terzi nel corso dei lavori, potendosi riconoscere anche la responsabilità dell’amministrazione solo se il fatto dannoso si è determinato in esecuzione del progetto o di direttive impartite dall’amministrazione committente, poiché in questo caso l’appaltatore agisce quale nudus minister (sentenze 31 luglio 2002, n. 11356, 22 ottobre 2002, n. 14905, e 20 settembre 2011, n. 19132).

1.2. La Corte d’appello non ha fatto buon governo di tali principi.

La sentenza impugnata, infatti, pur avendo riconosciuto che, nel caso in esame, la cattiva esecuzione dell’opera appaltata era da ricondurre a responsabilità dell’impresa costruttrice piuttosto che alla impropria progettazione da parte del Comune appaltante, ha tuttavia concluso che l’ente pubblico era comunque responsabile in solido per l’accaduto, in quanto tenuto alla «vigilanza in corso d’opera» ed all’esecuzione del «conveniente controllo dell’equilibrio statico della recinzione e dei pilastri». E la sussistenza di siffatti obblighi è stata ritenuta nonostante l’obiettiva modestia dell’appalto in questione, per il quale la normativa dell’epoca consentiva la sostituzione del collaudo col certificato di regolare esecuzione dell’opera. Non risultando, invece, alcun diretto coinvolgimento del Comune di Crispiano nello svolgimento dei lavori, né che il medesimo avesse in qualche modo vincolato con precise direttive l’operato dall’impresa appaltatrice, è chiaro che il Comune doveva essere esentato da ogni responsabilità per quanto accaduto.

2. L’accoglimento del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento del secondo.

3. Il ricorso, pertanto, è accolto e la sentenza impugnata è cassata nei limiti della censura accolta.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., dovendo essere rigettata la domanda di risarcimento dei danni proposta da O. e L.L. nei confronti del Comune di Crispiano.

In considerazione, tuttavia, della delicatezza della questione e della complessità dei problemi giuridici in esame, la Corte stima equo procedere all’integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio tra il Comune di Crispiano e tutte le altre parti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta nei confronti del Comune di Crispiano e compensa integralmente le spese dell’intero giudizio tra il Comune di Crispiano e tutte le altre parti.