cassazione civile sentenza 2 aprile 2014 n 7694

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SENTENZA 2 APRILE 2014, N. 7694
Svolgimento del processo

Il presente giudizio ha ad oggetto la pretesa illegittimità di un’espropriazione immobiliare in quanto volta al soddisfacimento di un credito derivante da obbligazione naturale.
C.S. , con ricorso del 23 settembre 2000, adì il Tribunale di Ragusa opponendosi all’esecuzione promossa nei suoi confronti da N.G. , in forza di assegno bancario da lui emesso in favore di un casinò e pervenuto all’esecutante tramite girata.
Espose l’opponente che nel mese di maggio del 1999 aveva partecipato, insieme ad altri amici, a un viaggio in (OMISSIS) organizzato dal N. ; che durante il soggiorno aveva contratto un debito di gioco di L. 25.000.000 nei confronti di un casinò, a saldo del quale aveva consegnato al N. due assegni, uno di L. 6.000.000, negoziato a XXXXX, e uno di L. 19.000.000, negoziato a XXXXXX dal N. ; che, su sua richiesta, questi aveva richiamato il titolo, ricevendo in cambio un acconto di L. 5.000.000; che rimasto impagato il residuo importo di L. 14.000.000, il N. aveva agito esecutivamente in suo danno.
Sulla base di tali premesse sostenne l’opponente che nessuna somma era da lui dovuta, posto che il credito azionato riguardava una obbligazione naturale.
Resistette l’opposto, segnatamente deducendo che egli era del tutto estraneo al debito di gioco, avendo ricevuto l’assegno, a titolo di rimborso di quanto da lui anticipato per spese di viaggio e soggiorno dei clienti, dall’addetto al casinò, al quale il C. lo aveva consegnato per l’acquisto delle fiches.
Con sentenza del 20 gennaio 2003 il giudice adito rigettò l’opposizione.
Proposto dal soccombente gravame, la Corte d’appello di Catania, in data 17 gennaio 2008, l’ha invece accolta.
Avverso detta decisione ricorre per cassazione N.G. , formulando cinque motivi, illustrati anche da memoria.
Resiste con controricorso C.S. .

Motivi della decisione

1 Il giudice di merito, considerato pacifico in causa: a) che il N. fosse un operatore turistico che organizzava gite all’estero presso casinò internazionali i quali ospitavano gratuitamente i clienti, richiedendo in cambio soltanto che gli stessi partecipassero ai giochi; b) che l’assegno era stato girato a titolo di rimborso per trasferte aeree e costi di alberghi anticipati dall’esecutante, ha ritenuto, che l’opposto non fosse estraneo né ai giochi d’azzardo ai quali aveva partecipato il C. , né ai conseguenti indebitamenti. In particolare, secondo il decidente, la circostanza che le spese anticipate dall’organizzatore del viaggio venissero rimborsate dal casinò mediante girata degli assegni ricevuti dai clienti in pagamento delle somme dovute per le perdite subite, denotava la sostanziale unitarietà del rapporto tra traente, prenditore e giratario, con conseguente opponibilità al N. , da parte del C. , del carattere naturale dell’obbligazione da lui contratta.
2.1 Di tale decisione si duole quindi l’impugnante che, con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art. 1933 cod. civ., ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., critica la ritenuta estensibilità, al credito azionato, della disciplina dei debiti di giuoco, benché egli fosse rimasto estraneo allo stesso e avesse ricevuto il titolo per diversa causale.
Ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio, l’estensione della disciplina dell’art. 1933 cod. civ. ai mutui contratti dai giocatori è possibile solo quando essi costituiscano mezzi funzionalmente connessi all’attuazione del giuoco o della scommessa e siano tali da realizzarne le stesse finalità pratiche, sussistendo in tal caso un diretto interesse del mutuante a favorire la partecipazione al gioco del mutuatario, ha evidenziato l’esponente l’erroneità della scelta decisoria della Corte d’appello di Catania, considerato che l’assegno del C. venne a lui girato a gioco ormai ultimato e per una finalità del tutto diversa, e cioè a titolo di rimborso per spese di viaggio, vitto e alloggio dei partecipanti alla trasferta. In sostanza, secondo l’esponente, non avrebbe il decidente considerato che il titolo di credito era stato usato per due distinte e diverse causali: e cioè come mezzo di pagamento delle perdite, nel rapporto tra il C. e il casinò; e come mezzo di pagamento dei rimborsi, nel rapporto il casinò e il N. .
2.2 Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta contraddittorietà e illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta commisurazione quantitativa della remunerazione del N. alle perdite dei giocatori. Le critiche hanno, in particolare, ad oggetto, la pretesa contraddittorietà tra la mancata ammissione della prova orale articolata dall’opponente e la ritenuta, dimostrata non estraneità del N. all’interesse del casinò a che il C. partecipasse al gioco, così indebitandosi.
2.3 Con il terzo motivo l’impugnante deduce nullità della sentenza, ex art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per travisamento dei fatti e degli atti di causa. La Corte d’appello avrebbe invero del tutto arbitrariamente attribuito all’assunto del N. di essere stato rimborsato delle spese sostenute, con la girata di uno degli assegni rilasciati dal C. , il significato di ammissione della sua non estraneità agli interessi perseguiti dalla casa di gioco e quindi allo stesso indebitamento dell’opponente, laddove l’unicità dell’interesse alle perdite dei giocatori era la frettolosa conclusione tratta dal decidente da una premessa male interpretata.
2.4 Con il quarto mezzo l’esponente prospetta vizi motivazionali con riferimento alla rinuncia del C. a far valere l’incoercibilità della obbligazione naturale, considerato che lo stesso, prima di sollevare l’eccezione, non soltanto aveva iniziato l’adempimento, con il versamento spontaneo di L. 5.000.000, ma aveva espressamente chiesto di rinnovare l’assegno, emettendo in sua sostituzione dei pagherò cambiari.
2.5 Con il quinto motivo il ricorrente lamenta vizi motivazionali per avere il decidente del tutto omesso di valutare che nessuna conseguenza economica sarebbe al N. derivata dalla mancata partecipazione al gioco delle persone che egli aveva accompagnato al casinò, posto che, ove una tale evenienza si fosse verificata, ne sarebbe conseguito soltanto che i gitanti erano obbligati a sostenere in proprio le spese di viaggio e di soggiorno, senza alcuna inferenza nella sua sfera giuridica.
3 Conviene sgombrare subito il campo dal secondo e dal quarto motivo di ricorso.
Il secondo mette capo al seguente quesito: la mancata correlazione, secondo un diverso e consequenziale nesso logico-deduttivo tra premesse, quali correttamente evincibili da corretto riscontro obbiettivo delle ammissioni delle parti, e le conclusioni per altro verso adottate in sentenza, sulla base di immotivati e diversi riscontri, costituisce vizio e comporta nullità della decisione, che rimane distorta e fuorviata dal non corretto procedimento interpretativo e deduttivo seguito?.
La doglianza è manifestamente inammissibile per inosservanza del disposto dell’art. 366 bis cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis.
E invero, il c.d. quesito di fatto che, in base al capoverso di tale articolo, il ricorrente che denunci un vizio di motivazione della sentenza impugnata è tenuto a formulare, consiste nella indicazione chiara, sintetica, evidente e autonoma del fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, così come delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Ora, tali requisiti non sono certamente presenti nel formulato quesito, considerato che il disposto della norma processuale richiamata neppure può ritenersi rispettato allorquando solo la completa lettura della illustrazione del motivo – all’esito di una interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto e il significato delle censure, con palese travisamento della ratio della disposizione, volta a deflazionare e a filtrare l’accesso alla Suprema Corte.
4 A ciò aggiungasi che il motivo ruota intorno all’assunto che, in conseguenza della mancata ammissione della prova orale, le circostanze capitolate dovevano considerarsi non provate, assunto errato, perché in realtà la prova è stata ritenuta, per quanto qui interessa, irrilevante, proprio in ragione delle inferenze probatorie evincibili da fatti pacifici in causa.
Ne deriva che le censure sono anche eccentriche rispetto alle ragioni della decisione, basate sulla assoluta ininfluenza dei mezzi istruttori articolati.
5 Pure inammissibile è il quarto motivo in ragione, a tacer d’altro, della novità della questione con esso posta. La pretesa, implicita rinuncia dell’opponente a far valere il carattere naturale della sua obbligazione è invero questione non trattata affatto nella sentenza impugnata e quindi nuova. Si ricorda allora che, secondo il costante insegnamento di questo giudice di legittimità, qualora una determinata questione giudica – che implichi un accertamento di fatto – sia stata del tutto ignorata dal giudice di merito, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, n. 18440). E invero i motivi del ricorso per cassazione devono investire a pena di inammissibilità questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, di modo che è preclusa la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi o introducano, comunque, piste ricostruttive fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli allegati nelle precedenti fasi processuali (confr. Cass. civ., sez. 1, 13 aprile 2004, n. 6989).
Non a caso, del resto, in memoria il ricorrente ha dichiarato di rinunciare alle relative censure.
6 Si prestano a essere esaminati congiuntamente, per la loro evidente connessione, il primo, il terzo e il quinto motivo di ricorso.
Essi sono infondati per le ragioni che seguono.
L’art. 1933 cod. civ. nega, com’è noto, la possibilità di agire per il pagamento di debiti derivanti da un giuoco o da una scommessa, solo attribuendo al creditore, una volta che adempimento vi sia stato, la soluti retentio.
Chiamata ad occuparsi della sorte di obbligazioni in vario modo connesse al giuoco o alla scommessa, questa Corte ha ripetutamente statuito che l’estensione della disciplina codicistica testé richiamata a fattispecie quali dazioni di denaro, di fiches, promesse di mutuo, riconoscimenti di debito, è possibile unicamente allorché tali atti risultino funzionalmente collegati all’attuazione del giuoco o della scommessa, di talché possa ritenersi sussistente un diretto interesse del mutuante a favorire la partecipazione al gioco del mutuatario; con la reciproca e speculare conseguenza che, ove siffatto interesse manchi, per essere il mutuante del tutto estraneo all’uso che il mutuatario fa delle somme erogategli, le cause dei due negozi non hanno tra loro, quel collegamento che solo giustifica la sottoposizione dell’uno alla disciplina dell’altro.
È bene precisare che i presupposti per la contaminazione della natura del mutuo e la tracimazione del relativo obbligo di restituzione nell’ambito delle obbligazioni naturali è stata negata anche in presenza di accertata consapevolezza del mutuante che la somma sarebbe stata impiegata dall’accipiens nel gioco, non integrando ciò, si è detto, un motivo illecito determinante e comune ad entrambi i contraenti (confr. Cass. civ. 31 gennaio 2008, n. 2386; Cass. civ. 2 settembre 2004, n. 17689; Cass. civ. 17 novembre 1999, n. 12752; Cass. civ. 6 aprile 1992, n. 4209; Cass. civ. 16 giugno 1986, n. 4001).
7 Ora, di tali principi, ai quali il collegio intende dare continuità, il giudice di merito non ha fatto il malgoverno lamentato dall’impugnante.
Proprio all’opposto di quanto si denuncia in ricorso, la Corte territoriale ha maturato il suo convincimento sulla base di una corretta esegesi del disposto dell’art. 1933 cod. civ. e dell’area fattuale coperta dalla relativa disciplina; per altro verso, compiutamente delineata la fattispecie ipotetica rilevante ai fini della decisione, il giudice d’appello ha ricostruito la fattispecie concreta dedotta in giudizio all’esito di un puntuale esame dei rapporti, in concreto, intercorsi tra le parti e della volontà negoziale enucleatale dall’intreccio delle loro condotte: intreccio ritenuto non implausibilmente indice inequivocabile di un interesse diretto del N. – organizzatore delle trasferte a costo zero, sol che i gitanti prendessero poi parte al gioco – a che tale partecipazione si realizzasse effettivamente.
La non rispondenza di siffatta valutazione alle tesi difensive del ricorrente non deriva dunque da un error in iudicando in cui sia incorso il decidente, né è frutto di malgoverno delle risultanze istruttorie.
In particolare, non può essere considerato vizio logico della motivazione il negativo scrutinio della pretesa neutralità del N. agli incassi della casa di gioco, in ragione della non incidenza degli stessi sul suo lavoro e sui suoi redditi, perché proprio quella ininfluenza è stata negata dal giudice d’appello con motivazione esente da aporie e da contrasti disarticolanti con il contesto di riferimento. E invero, l’avere considerato il meccanismo dei rimborsi indicativo di un coinvolgimento anche economico del giratario nell’organizzazione del giuoco, in quanto tale idoneo a fondare, sul piano giuridico, l’applicazione nei suoi confronti del disposto dell’art. 1933 cod. civ., è apprezzamento, di stretto merito, congruamente motivato, come tale incensurabile in sede di legittimità.
In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato.
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per legge.