Cassazione Civile, Sentenza 22.06.2023 n. 17878. 

(…omissis…)

FATTI DI CAUSA

1. Come si legge nella sentenza impugnata, con atto di citazione (OMISSIS), premesso che, in data 6 Dicembre 2007, aveva stipulato con (OMISSIS) un contratto preliminare di compravendita immobiliare e pattuito, con atto separato in pari data, la vendita del mobilio, ossia due camere da letto al prezzo di Euro 7.000,00, da corrispondere alla stipula del rogito notarile di vendita, fissato per il 20 giugno 2008, che il rogito era stato regolarmente stipulato, con immissione nel possesso dell’acquirente sia del bene immobile, sia dei beni mobili, e che quest’ultima non aveva, tuttavia, provveduto al saldo del corrispettivo del mobilio, convenne in giudizio (OMISSIS) davanti al Tribunale di Perugia, onde ottenerne la condanna al pagamento della somma di Euro 7.000,00, quale corrispettivo della citata vendita, oltre a interessi e rivalutazione monetaria, ovvero, in subordine, la risoluzione del contratto per grave inadempimento della convenuta ex articoli 1454 e 1455 c.c. e per l’effetto la sua condanna al risarcimento del danno subito nella misura di Euro 7.000,00 o nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione.

Costituitasi in giudizio, (OMISSIS) evidenzio’ di aver esattamente adempiuto agli obblighi derivanti dal contratto preliminare e di non aver pagato la somma di Euro 7.000,00 in ragione dell’assenza del mobilio al momento del trasferimento, eccependo che l’oggetto del contratto non era identificato e che sarebbe stato onere dal venditore dimostrare il proprio adempimento, chiedendo il rigetto della domanda e proponendo domanda riconvenzionale volta ad ottenere la risoluzione del contratto per fatto e colpa dell’attore.

Con sentenza n. 1464/2015, pubblicata il 25 settembre 2015, il Tribunale di Perugia accolse parzialmente la domanda principale, condannando la convenuta al pagamento della somma di Euro 4.000,00, oltre interessi, rigetto’ la domanda riconvenzionale della convenuta e compenso’ per 1/3 le spese di lite, condannando quest’ultima al pagamento della restante parte.

Il giudizio d’appello, incardinato da (OMISSIS) e nel quale si costitui’ (OMISSIS), si concluse con la sentenza n. 608/2017, pubblicata il 23 agosto 2017, con la quale la Corte d’Appello di Perugia rigetto’ il gravame, condannando l’appellante al rimborso delle spese processuali del grado.

2. Avverso questa sentenza, (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a sette motivi, illustrati anche con memoria. (OMISSIS) si e’ difeso con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o errata applicazione degli articoli 112 e 99 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perche’ il giudice di primo grado, con sentenza confermata dalla Corte d’Appello, aveva pronunciato la condanna alla riduzione del prezzo, peraltro incompatibile con la richiesta di risoluzione del contratto, benche’ l’attore avesse chiesto l’adempimento del pagamento della somma di Euro 7.000,00, oppure, in subordine, la risoluzione del contratto per inadempimento della convenuta e quest’ultima il rigetto e la risoluzione per inadempimento dell’attore. In particolare, la ricorrente ha dedotto che la domanda di pagamento, formulata dall’attore in primo grado, era collegata a quella di inadempimento della convenuta, mai pronunciato dai giudici, che non era stata avanzata alcuna domanda volta ad ottenere il pagamento degli armadi, ne’ quella di riduzione del prezzo, che quest’ultima era incompatibile con la richiesta di risoluzione del contratto e che, pertanto, la pronuncia non corrispondeva alla domanda.

2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione e/o errata applicazione dell’articolo 1460 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’Appello ritenuto possibile l’adempimento parziale quando siano oggetto dell’obbligazione beni dotati di una loro distinta e propria individualita’ e affermato, in ipotesi di adempimento parziale, il rigetto dell’eccezione di cui all’articolo 1460 c.c., benche’, proprio ai sensi della citata norma, sarebbe stato onere dall’attore, che aveva agito per il pagamento, provare di avere esattamente adempiuto alla propria prestazione, mentre nella specie era rimasto provato che questi aveva asportato tutti i mobili della casa, lasciandovi soltanto gli armadi a muro.

3. Col terzo motivo, si lamenta la manifesta contraddittorieta’ della motivazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perche’ i giudici di merito, pur richiamando la sentenza delle Sezioni unite della Corte di legittimita’ n. 13533/2001, secondo cui il creditore agente ha l’onere di dimostrare il proprio adempimento, avevano concluso per la condanna al pagamento per adempimento parziale, in assenza di prova dell’esatto e integrale adempimento.

4. Col quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e/o errata applicazione dell’articolo 1181, c.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 5, c.p.c., perche’ la Corte territoriale aveva accertato la legittimita’ dell’adempimento parziale, benche’ essa, quale creditrice, non lo avesse mai accettato.

5. Col quinto motivo, si lamenta la violazione e/o errata applicazione dell’articolo 1455 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Corte d’Appello affermato che non era possibile provvedere alla risoluzione del contratto, benche’ richiesta da entrambe le parti, in quanto l’inadempimento era reciproco e la condotta della (OMISSIS) era incompatibile con la volonta’ di risolverlo, avendo continuato a risiedere nell’immobile e ad utilizzare, senza offrire o prospettare la restituzione degli armadi, dovendo il giudice valutare il comportamento delle parti e non essendo connotata da gravita’ la mancata consegna di letti e comodini. Ad avviso della ricorrente, la mancata riconsegna dei mobili presenti in casa non implicava rinuncia all’azione, l’adempimento o meno avrebbe dovuto essere valutato in base alle rispettive obbligazioni e non alla restituzione o meno dei beni, il giudizio di “scarsa importanza” dell’inadempimento del (OMISSIS) era privo di motivazione. Peraltro, la Corte aveva omesso di formulare un giudizio di comparazione tra i rispettivi inadempimenti onde verificare quale delle due parti avesse violato il sinallagma contrattuale e rigettato le domande di risoluzione senza analizzare il quadro probatorio sul punto.

6. Col sesto motivo, si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti in relazione agli articoli 1226 c.c. e 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per avere la Corte di merito ridotto il prezzo senza che vi fosse alcuna prova in merito alla sua quantificazione, sicche’ aveva fatto ricorso al criterio equitativo in assenza di prova impossibile o particolarmente difficile, ma solo in presenza di mancato assolvimento dell’onere della prova.

7. Col settimo motivo, si lamenta la violazione e/o errata applicazione dell’articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice di primo grado affermato che non sussistevano elementi da cui trarre il prezzo degli armadi e avere cosi’ fatto ricorso al criterio equitativo, come recepito anche dai giudici di secondo grado, sebbene in difetto di prova avrebbe dovuto rigettare la domanda.

8.1 Il primo motivo e’ infondato.

Va innanzitutto osservato come i principi della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex articolo 112 c.p.c. e del tantum devolutum quantum appellatum, lamentati dalla ricorrente, implichino il divieto, per il giudice, di attribuire alla parte un bene della vita diverso da quello richiesto (petitum mediato) oppure di emettere qualsiasi pronuncia su domanda nuova, quanto a causa petendi, ma non gli impediscano di rendere la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, o in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi e, in genere, all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante (Cass., Sez. L, 12/5/2006, n. 11039; Cass., Sez. L, 11/7/2007, n. 15496; Cass., Sez. 6-L, 11/1/2019, n. 513), o in base a ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, attraverso l’evidenziazione, nella motivazione, di elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice, purche’ si resti nell’ambito del petitum e della causa petendi (Cass., Sez. 6-L, 11/1/2019, n. 513; Cass., Sez. 3, 25/9/2009, n. 20652).

Il vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’articolo 112 c.p.c. riguarda, infatti, soltanto l’ambito oggettivo della pronuncia, e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (Cass. Sez. 2, 26/1/2021, n. 1616), atteso che il potere del giudice di pronunciare entro i confini delle domande proposte dalle parti si rapporta ai soli elementi essenziali delle stesse, rappresentati dalla causa petendi e dal petitum (Cass., Sez. 2, 17/5/2022, n. 15734).

8.2 Nella specie, i giudici del gravame, nel rigettare l’appello e nel confermare, in tal modo, la pronuncia dei giudici di primo grado che, a fronte della domanda di adempimento o, in subordine, di risoluzione del contratto, formulata dal venditore, e di rigetto e, in riconvenzione, di risoluzione del contratto formulata dall’acquirente, avevano condannato la convenuta al pagamento di una minor somma, rispetto a quella richiesta, a titolo di corrispettivo della parziale prestazione eseguita dall’attore, non hanno affatto operato oltre i limiti delle domande proposte.

8.3 Se e’ vero, infatti, che risoluzione del contratto e riduzione del prezzo sono azioni che, pur convergendo con riferimento alla causa petendi, in quanto fondate sull’inadempimento di uno dei contraenti, sono tese a ottenere un risultato tutt’affatto differente ossia, rispettivamente, la caducazione del contratto e la sua conservazione (vedi per il diverso caso dell’azione ex articolo 1489 c.c., Cass., Sez. 2, 22/2/2010, n. 4248), e’ altrettanto vero che la domanda proposta dall’attore in via principale era quella di adempimento all’obbligo di pagamento integrale del prezzo pattuito nella misura di Euro 7.000,00 e che questa e’ stata riconosciuta parzialmente fondata dai giudici di merito, che hanno percio’ sostanzialmente risolto il contratto, alla stregua della relativa domanda riconvenzionale avanzata dalla convenuta, nella parte rimasta inadempiuta.

La riduzione del prezzo e’ stata, dunque, conseguenza del parziale accoglimento della domanda attorea di esatto adempimento del contratto, implicante in se’ la condanna della controparte alla sua esecuzione e non necessitante, percio’, di ulteriore domanda, e non della risoluzione parziale del contratto, stante anche il principio secondo cui l’accettazione, da parte del creditore, dell’adempimento parziale – che, a norma dell’articolo 1181 c.c., egli avrebbe potuto rifiutare – non estingue il debito, ma semplicemente lo riduce (Cass., Sez. 1, 08/01/1987, n. 20), sicche’ non opera, nella specie, il principio secondo cui la condanna alla restituzione del bene o del prezzo, quale conseguenza dell’inesatto adempimento di un contratto a prestazioni corrispettive, presuppone l’espressa domanda di parte, non essendo l’effetto restitutorio implicito nella domanda di risoluzione, ne’ potendosi tale istanza ricondurre, in via interpretativa, alla domanda di riduzione del prezzo che, peraltro, non rappresenta una conseguenza della domanda di risoluzione (Cass., Sez. 2, 26/4/2021, n. 10917), con la conseguenza che la domanda di restituzione proposta per la prima volta in grado d’appello e’ inammissibile, in quanto domanda nuova (Cass., Sez. 2, 4/10/2022, n. 28722).

Ne consegue l’infondatezza della censura.

9. Il secondo motivo e’ infondato.

Secondo quanto gia’ affermato da questa Corte, la risoluzione parziale del contratto, esplicitamente prevista dall’articolo 1458 c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o periodica, e’ possibile anche per il contratto ad esecuzione istantanea, quando il relativo oggetto sia rappresentato – secondo la valutazione del giudice di merito, censurabile in sede di legittimita’ solo per violazione di legge o vizi logici – non da un’unica cosa infrazionabile, ma da piu’ cose aventi propria individualita’, quando, cioe’, ciascuna di queste, separata dal tutto, mantenga un’autonomia economico funzionale, che la renda definibile come bene a se’, suscettibile di diritti o di negoziazione distinti (Cass., Sez. 2, 2/7/2013, n. 16556; Cass., Sez. 3, 16/11/2020, n. 25845 non massimata; Cass., Sez. 3, 16/12/1982, n. 6935; Cass., Sez. 2, 3/6/1991, n. 6244; Cass., Sez. 2, 15/4/2002, n. 5435).

Infatti, la congiunzione, tra le res che possono, ovvero non possono, separarsi sul piano fisico, scaturisce sempre dalla loro destinazione e dal loro collegamento funzionale tra esse sicche’ l’autonomia puo’ riconoscersi ogni volta che il distacco di una cosa, sia pure collegata al tutto, possa avvenire senza un deterioramento grave o una perdita ovvero l’alterazione di funzionalita’ dell’insieme e con il contemporaneo ottenimento di una ulteriore individualita’ separata, che abbia non solo, e non tanto, una propria autonomia fisica rispetto all’aggregato, ma conservi anche, pur nella conformazione solitaria, una concreta funzione economico-giuridica ed abbia un attitudine tale che, avuto riguardo alla funzione ed all’utilizzazione di essa, la renda definibile come un bene a se’ stante e come possibile oggetto di diritti e di autonoma negoziazione ai sensi dell’articolo 810 c.c. (in questi termini, Cass., Sez. 2, 21/12/2004, n. 23657).

Peraltro, il giudizio sulla frazionabilita’ dell’oggetto complessivo del contratto e sull’autonomia della singola frazione costituisce valutazione di merito e non puo’ formare oggetto di una questione dedotta per la prima volta in sede di legittimita’ (Cass., Sez. 2, 20/5/2005, n. 10700), pur essendo il giudice di merito tenuto ad accertare, in ragione del rispetto del sinallagma contrattuale e della unicita’ del rapporto negoziale normalmente voluto dalle parti (Cass., Sez. 3, 16/12/1982, n. 6935), se l’inadempimento parziale soddisfi l’interesse creditorio rapportato al complessivo regolamento contrattuale, non precludendo esso al creditore di azionare la risoluzione del contratto, ne’ al giudice di dichiararla, ove la parte residuale del credito rimasta scoperta sia tale da comportare ugualmente la gravita’ dell’inadempimento (Cass., Sez. 1, 08/01/1987, n. 20).

Orbene, ai fini della risoluzione del contratto nel caso di parziale o inesatto adempimento della prestazione, l’indagine circa la gravita’ della inadempienza non puo’ essere affidata alla sola rilevata entita’ della prestazione inadempiuta, rispetto al valore complessivo della prestazione, costituendo questa uno soltanto degli elementi di valutazione (Cass., Sez. 2, 21/2/2006, n. 3742), ma deve tenere conto del valore, determinabile mediante il criterio di proporzionalita’, della parte dell’obbligazione non adempiuta rispetto al tutto, nonche’ considerare se, per effetto dell’inadempimento, si sia verificata, ai danni della controparte, una sensibile alterazione dell’equilibrio contrattuale (Cass., Sez. 2, 11/6/2018, n. 15052; Cass., Sez. 2, 7/6/1993, n. 6367).

Infatti, se e’ vero che il compratore puo’ sollevare l’eccezione di inadempimento, ai sensi dell’articolo 1460 c.c., sia quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte, sia quando dall’inesatto adempimento del venditore derivi l’inidoneita’ della cosa venduta all’uso cui e’ destinata, e’ altrettanto vero che il rifiuto di pagamento del prezzo deve risultare giustificato dall’oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, riguardato con riferimento al complessivo equilibrio sinallagmatico del contratto ed all’obbligo di comportarsi secondo buona fede (Cass., Sez. 2, 28/5/2021, n. 14986).

Sui criteri di valutazione, Cass., Sez. 2, 10/2/1984, n. 1021, ha ulteriormente chiarito come in relazione alla ratio della normativa della risoluzione del contratto per inadempimento (o per eccessiva onerosita’ sopravvenuta), diretta alla tutela dell’equilibrio sinallagmatico nei contratti a prestazioni corrispettive, l’obiettiva esiguita’ della parte di prestazione non eseguita (o tardivamente eseguita) in relazione alla economia complessiva della convenzione, comportando la corrispondente minima lesione dell’interesse dell’altro contraente, deve trovare esclusiva e prevalente rilevanza nel giudizio sull’importanza o meno dell’inadempimento (o della non gravosita’ della controprestazione nella onerosita’ sopravvenuta).

Nella specie, i giudici di merito hanno, al riguardo, valorizzato il fatto che l’acquirente, nel ricevere l’armadiatura a muro, realizzata su misura in un appartamento mansardato, e nel trattenerla senza offrirla in restituzione alla parte venditrice, avesse manifestato l’inequivoca volonta’ di dare esecuzione al contratto e che la mancata consegna del letto e dei comodini non integrasse gli estremi del grave inadempimento, tale da legittimare la risoluzione del contratto, evidenziando in proposito come il giudice fosse tenuto a considerare il comportamento di entrambe le parti, nel quadro generale dell’esecuzione del contratto e dell’interesse che la parte ha all’esatto adempimento dell’obbligo contrattuale.

Pertanto, pur costituendo principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui gli articoli 1181 e 1455 c.c. si riferiscono a due distinte sfere di applicabilita’, attenendo il primo alla facolta’ del creditore di rifiutare la prestazione parziale e di agire, quindi, per il conseguimento dell’intero, donde la legittimita’ del rifiuto di un adempimento inesatto, e riguardando il secondo il potere del contraente di risolvere il contratto a prestazioni corrispettive nel caso d’inadempimento di non lieve entita’ dell’altra parte (Cass., Sez. 2, 25/1/2022, n. 2223), va evidenziato come sia altrettanto da ribadire il principio secondo cui, in tema di risoluzione per inadempimento, il giudice, per valutarne la gravita’, deve tener conto di un criterio oggettivo, avuto riguardo all’interesse del creditore all’adempimento della prestazione attraverso la verifica che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entita’, e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), si’ da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, nonche’ di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra), che possano, in relazione alla particolarita’ del caso, attenuarne l’intensita’ (in tal senso, Cass., Sez. 3, 22/10/2014, n. 22346; Cass., Sez. 2, 5/3/2019, n. 6364).

Entrambi gli aspetti sono stati, invero, analizzati dai giudici di merito, sia pure con motivazione succinta, cosi’ come e’ stato accertato l’adempimento di una parte della prestazione pattuita da parte dell’attore, sicche’ la censura non soltanto non e’ fondata, ma non attinge, sotto quest’ultimo profilo, neppure la ratio decidendi.

10. Il terzo, quarto e quinto motivo sono inammissibili.

Le doglianze proposte dalla ricorrente risultano, all’evidenza, inammissibili in quanto, per un verso, volte ad un nuovo apprezzamento della prova per accreditare innanzi a questa Corte di legittimita’ un nuovo e rinnovato giudizio in relazione ai presupposti dell’azione e cio’ senza neanche articolare, sulle questioni sopra prospettate, il vizio di omesso esame di fatto decisivo, ai sensi del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, unico strumento attraverso il quale e’ possibile oggi sindacare, con ricorso per cassazione, il tessuto argomentativo di un provvedimento impugnato in sede di legittimita’, laddove quest’ultimo dovesse omettere l’esame di un “fatto storico”, oggetto di discussione tra le parti e decisivo ai fini dell’adozione della decisione giudiziale (Cass., Sez. 1, 12/5/2023, n. 13112).

Inoltre, ricorre l’ulteriore profilo d’inammissibilita’ per c.d. “doppia conforme” ex articolo 348 ter c.p.c., che limita il ricorso ai motivi di cui ai nn. 1), 2), 3), 4) del comma 1 del citato articolo 360. Infatti, ai sensi del comma 2 dell’articolo 54 del Decreto Sviluppo (Decreto Legge n. 83 del 2012), le regole sulla “doppia conforme” (introdotte dal comma 1, lettera a), si applicano “ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” (12 agosto 2012), ossia ai giudizi introdotti in grado di appello dal giorno 11 settembre 2012 in poi (v. Cass. n. 5528 del 2014, in motivazione), e, dunque, anche alla fattispecie in esame, essendo stato introdotto il giudizio in grado di appello, che ha originato la sentenza impugnata col ricorso in esame, nel 2016, come risulta dal numero di registro del procedimento (n. 29/2016).

Pertanto, non avendo il ricorrente adempiuto, nella specie, all’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994), ne consegue l’inammissibilita’ della censura.

10. Il sesto e settimo motivo, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione, sono altrettanto inammissibili.

L’inammissibilita’ deriva, quanto al sesto motivo, sussunto dal ricorrente nell’alveo della fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dagli stessi motivi evidenziati nel punto che precede, ricadendo la stessa nell’ambito del principio della c.d. doppia conforme, e, quanto al settimo motivo, dal fatto che la violazione del precetto di cui all’articolo 2697 c.c. si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere.

Pertanto, tendendo la censura a ottenere una nuova rivisitazione nel merito della valutazione, preclusa al giudice di legittimita’, la stessa deve ritenersi anche sotto questo profilo inammissibile.

11. In conclusione, dichiarata l’infondatezza dei primi due motivi e l’inammissibilita’ dei restanti, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere posti a carico della ricorrente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’articolo 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.