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FATTI DI CAUSA
- Con citazione del 3.9.1996 il Consorzio (OMISSIS) aveva citato dinanzi al Tribunale di Messina i signori (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo da loro ottenuto con il quale gli era stato ingiunto il pagamento della somma di Lire 828.079.000, oltre accessori e spese, a titolo di indennita’ di espropriazione dovuta ai ricorrenti, a seguito di intervenuto accordo, per la destinazione ad opera pubblica della loro azienda agricola sita in (OMISSIS).
Il Consorzio aveva sostenuto sotto vari profili l’inefficacia dell’accordo amichevole, non seguito dalla cessione volontaria o dalla pronuncia del decreto di espropriazione, e comunque l’erroneita’ dei calcoli.
I convenuti si erano costituiti, chiedendo il rigetto dell’opposizione e in subordine la condanna del Consorzio al risarcimento dei danni per occupazione usurpativa dell’area, per il decorso dei termini di dichiarazione di pubblica utilita’ e del decreto di occupazione, nonche’ al pagamento del valore della maggior quota di terreno occupata.
In corso di causa erano venuti a mancare sia le originarie attrici signore (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) alle quali era succeduto per eredita’ legittima o testamentaria e per donazione (OMISSIS), sia l’originario attore (OMISSIS), al quale erano succedute (OMISSIS), e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), eredi pure di (OMISSIS).
Con una prima sentenza, non definitiva, n. 2888 del 19.6.2001 il Tribunale di Messina aveva revocato il decreto ingiuntivo e disposto istruttoria relativamente alla domanda risarcitoria dei convenuti opposti, da espletarsi mediante chiarimenti peritali.
Con la sentenza definitiva n. 728 del 6.4.2009 il Tribunale aveva condannato il Consorzio ASI a pagare ai convenuti la somma di Euro 424.576,68, oltre rivalutazione, interessi e spese processuali. - Avverso la sentenza definitiva aveva proposto appello il Consorzio (OMISSIS) al quale avevano resistito (OMISSIS), anche quale procuratore della madre (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS), e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nelle predette vesti, proponendo appello incidentale.
Con sentenza del 15.10.2018 la Corte di appello di Messina ha accolto l’appello proposto dal Consorzio, rigettando perche’ inammissibile la domanda proposta dai convenuti opposti (OMISSIS) – (OMISSIS) e condannando gli appellati alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio.
A fondamento di tale decisione la Corte messinese ha sostenuto che gli attori sostanziali – convenuti opposti non potessero ampliare il thema decidendum prospettando una domanda subordinata diversa per causa petendi e petitum da quella originariamente proposta in sede di ricorso per decreto ingiuntivo volta ad ottenere il pagamento dell’indennizzo per espropriazione. - Avverso la predetta sentenza, notificata il 15.1.2019, ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), quale erede e avente causa di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), anch’essa nel frattempo deceduta, con atto notificato il 27.2.2019, svolgendo tre motivi, al quale ha resistito con controricorso notificato il 27.3.2019 il Consorzio (OMISSIS)ina in liquidazione, chiedendone l’inammissibilita’ o il rigetto.
Gli intimati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), citati anche quali eredi di (OMISSIS), non si sono costituiti in giudizio.
In seguito alla proposta di trattazione in Camera di consiglio non partecipata ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., il ricorrente illustrava con memoria ex articolo 380 bis c.p.c., comma 2, le proprie difese. - Con ordinanza interlocutoria dell’11.1.2021 la sesta sezione ha rimesso l’esame del ricorso alla pubblica udienza della prima sezione ritenendo che con riferimento al secondo motivo di ricorso non ricorressero le ipotesi previste dall’articolo 375 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5.
Il Procuratore generale ha concluso per la rimessione dell’esame del ricorso alle Sezioni Unite.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 2909 c.c. e articolo 327 c.p.c. e omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
5.1. Secondo il ricorrente, la Corte di appello aveva errato escludendo che si fosse formato il giudicato interno sulla ammissibilita’ della domanda risarcitoria proposta dalla parte convenuta opposta, per effetto della mancata impugnazione della sentenza non definitiva n. 2888/2001, come aveva invece ritenuto il Tribunale con la sentenza definitiva n. 728/2009, perche’ il giudicato si forma non solo sulle statuizioni finali ma anche sugli accertamenti di fatto e di diritto che ne costituiscono l’antecedente logico necessario e il presupposto della decisione.
Inoltre la riapertura dell’istruttoria per l’acquisizione di chiarimenti dal consulente tecnico costituiva implicita affermazione dell’ammissibilita’ della domanda risarcitoria alla cui istruzione gli accertamenti peritali erano preordinati.
5.2. Il motivo, per vero promiscuamente formulato con la concorrente deduzione di error in iudicando, error in procedendo e vizio motivazionale, deduce nella sostanza un errore di diritto (e per la precisione di falsa applicazione di legge e vizio di sussunzione) per non aver la Corte territoriale ravvisato il giudicato implicito sull’ammissibilita’ di una domanda riconvenzionale nel provvedimento di natura istruttoria che si era limitato a disporre l’integrazione delle attivita’ della consulenza tecnica d’ufficio con acquisizioni di chiarimenti e precisazioni da parte del consulente tecnico d’ufficio.
5.3. L’assunto e’ manifestamente infondato e quindi inammissibile ex articolo 360 bis c.p.c..
Secondo la giurisprudenza, del tutto consolidata, di questa Corte, il provvedimento che abbia deciso esclusivamente sulla non condivisibilita’ della consulenza tecnica d’ufficio gia’ esperita e sulla necessita’ di disporre una nuova indagine peritale, ancorche’ contenuto nella sentenza non definitiva, ha natura e funzione ordinatoria e, quindi, rimane revocabile e modificabile; di conseguenza. le censure avverso tale provvedimento non possono essere fatte valere con la sua impugnazione, ma solo con l’impugnazione della successiva sentenza definitiva, che abbia mantenuto fermo il provvedimento stesso ed utilizzato i risultati di quel mezzo d’indagine istruttoria (Sez. 1, n. 5214 del 27.2.2008, Rv. 602310 – 01; Sez. 1, n. 19639 del 7.10.2005, Rv. 583530 – 01; Sez. 1, n. 5456 del 8.4.2003, Rv. 561960 – 01; Sez. 1, n. 7772 del 8.6.2001, Rv. 547326 – 01).
5.4. Piu’ in generale, i provvedimenti pronunciati dal collegio per l’ulteriore istruzione della causa a norma dell’articolo 279 c.p.c., sono revocabili, non hanno contenuto decisorio (ancorche’ la loro motivazione sia contenuta nella sentenza non definitiva) e non sono sindacabili con ricorso per cassazione avverso la sentenza parziale coeva, ma solo con la sentenza definitiva, pronunciata all’esito della prosecuzione dell’istruttoria, sicche’ essi non hanno alcuna attitudine al giudicato (Sez. L, n. 27229 del 22.12.2014, Rv. 633737 – 01).
Infatti qualora in una sentenza non definitiva, oltre a statuizioni di carattere decisorio, siano contenute anche disposizioni meramente ordinatorie od istruttorie, esse non possono formare oggetto di gravame con la sentenza non definitiva, restando impregiudicata la futura decisione sulle domande e sulle questioni per le quali e’ stato disposto il prosieguo del giudizio, senza che sulle statuizioni a carattere istruttorio della sentenza non definitiva si formi un giudicato per mancata riserva di impugnazione (Sez. 2, n. 14714 del 30.8.2012, Rv. 624194 – 01).
5.5. La disposizione degli incombenti peritali, mero provvedimento istruttorio, non puo’ configurare alcun giudicato implicito sull’ammissibilita’ della domanda per cui erano stati disposti, alla luce del principio generale espresso dall’articolo 177 c.p.c., commi 1 e 2, secondo cui le ordinanze, comunque motivate, non possono mai pregiudicare la decisione della causa e salvo quanto disposto dal successivo comma 3, le ordinanze possono essere sempre modificate o revocate dal giudice che le ha pronunciate. - Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 2043 c.c. e omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su fatto decisivo.
6.1. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale aveva errato nel ritenere inammissibile la domanda riconvenzionale dei convenuti opposti, attori sostanziali, volta ad ottenere il risarcimento del danno per l’illegittima occupazione usurpativa, perche’ di contenuto differente per petitum e causa petendi rispetto all’originaria richiesta proposta in sede monitoria, volta ad ottenere il pagamento dell’indennizzo per espropriazione.
Il ricorrente osserva che in sede di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto opposto ben poteva proporre una domanda consequenziale (contro-riconvenzionale risarcitoria) alla domanda proposta dal (OMISSIS), attore opponente e convenuto sostanziale, che nel caso, oltre alla revoca del decreto ingiuntivo, aveva appunto richiesto in via riconvenzionale la riduzione del credito ingiunto perche’ era stata calcolata una eccessiva indennita’ di occupazione e non era stata operata la trattenuta del 20% della L. n. 413 del 1991, ex articolo 11, comma 7.
6.2. Giova premettere che il ricorrente, sia pur qualificando incongruamente il motivo, proposto ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, con riferimento alla violazione dell’articolo 2043 c.c. e a un vizio motivazionale, peraltro espresso in termini neppure aggiornati all’attuale formulazione normativa, in realta’ e nella sostanza lamenta inequivocabilmente l’errore processuale addebitato alla Corte territoriale per aver ritenuto inammissibile la domanda subordinata proposta in via riconvenzionale dai suoi danti causa, convenuti opposti.
6.3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’erronea indicazione della norma processuale violata nella rubrica del motivo non determina ex se l’inammissibilita’ di questo se la Corte puo’ agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma e’ solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Sez. 5, n. 12690 del 23.05.2018, Rv. 648743 – 01); infatti l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, ne’ determina l’inammissibilita’ del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Sez. 6 – 5, n. 26310 del 07.11.2017, Rv. 646419 – 01; Sez. 6 – 3, n. 4036 del 20.02.2014, Rv. 630239 – 01; Sez. 6 – 5, n. 26310 del 07.11.2017, Rv. 646419 – 01).
6.4. Secondo un risalente orientamento giurisprudenziale di questa Corte, l’opposizione a decreto ingiuntivo da’ luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre solo l’opponente, il quale assume la posizione sostanziale di convenuto e ha l’onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto, puo’ proporre domanda riconvenzionale (Sez. 2, n. 6091 del 4.3.2020, Rv. 657127 – 02; Sez. 3, n. 21245 del 29.9.2006, Rv. 593890 – 01; Sez. 2, n. 7571 del 30.3.2006, Rv. 588997 – 01).
Di conseguenza, il convenuto opposto, proprio perche’ riveste la posizione sostanziale di attore, non puo’ avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio; l’unica eccezione sussiste nel caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, egli si venga a trovare, a sua volta, nella posizione processuale di convenuto, al quale non puo’ essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o piu’ ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una reconventio reconventionis.
In questo caso, tuttavia, tale domanda deve dipendere dal titolo dedotto in causa o da quello che gia’ appartiene alla stessa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale (Sez. 2, n. 5415 del 25.2.2019, Rv. 652929 – 02; Sez. 1, n. 16564 del 22.6.2018, Rv. 649670 – 01; Sez. 3, n. 22754 del 4.10.2013, Rv. 629056 – 01; Sez. 3, n. 21245 del 29.9.2006, Rv. 593890 – 01).
6.5. Nella fattispecie il motivo assume in primo luogo la legittimita’ della reconventio reconventionis del convenuto opposto sulla base della richiesta, qualificata come domanda riconvenzionale, dell’opponente diretta ad ottenere un ridimensionamento quantitativo del credito oggetto di ingiunzione, mentre la domanda contro-riconvenzionale si basa su di una diversa causa petendi di natura extracontrattuale, sia pur riconducibile alla stessa vicenda sostanziale intercorsa fra le parti.
6.6. Questa prima linea di ragionamento non puo’ essere seguita.
E’ evidente che la richiesta dell’attore opponente volta a ridurre l’entita’ della somma ingiunta dovuta non integra affatto una domanda riconvenzionale e neppure una eccezione riconvenzionale, visto che mira soltanto a ridurre l’importo del dovuto, senza ampliare in alcun modo il thema decidendum.
6.7. Resta pero’ da valutare se la domanda potesse essere introdotta dai convenuti opposti e danti causa dell’attuale ricorrente in ragione dell’eccezione sollevata dal Consorzio opponente di inefficacia dell’accordo amichevole sulla base del quale il decreto ingiuntivo era stato emesso.
6.8. Al fine di rispondere a questo interrogativo occorre tener conto della significativa evoluzione riscontrabile nella giurisprudenza di questa Corte in tema di jus variandi endo-processuale nell’ultimo decennio, puntualmente richiamata dalla parte ricorrente nella sua memoria illustrativa (in particolare, in chiusura del p. 2 e nel p. 3, da pag. 7 a pag. 10).
Dalla ricostruzione tradizionale, espressa nella sentenza delle Sezioni Unite, n. 26128 del 27.12.2010, Rv. 615487 – 01, che era stata resa con riferimento all’introduzione successiva di una domanda di ingiustificato arricchimento in una causa volta a richiedere l’adempimento contrattuale inizialmente proposta con ricorso per decreto ingiuntivo, si e’ discostata la sentenza delle Sezioni Unite n. 12310 del 15.6.2015, Rv. 635536 – 01, che rappresenta un arresto fondamentale nell’evoluzione della giurisprudenza di legittimita’.
Secondo questo piu’ recente indirizzo, la modificazione della domanda ammessa ex articolo 183 c.p.c., puo’ riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda cosi’ modificata risulti comunque connessa alla “vicenda sostanziale dedotta in giudizio” e senza che, percio’ solo, si determini la compromissione delle potenzialita’ difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali. In quel caso si trattava di una modificazione dell’originaria domanda di pronuncia costitutiva ex articolo 2932 c.c., in pronuncia dichiarativa dell’avvenuto effetto traslativo della proprieta’.
Tali principi sono stati poi ribaditi dalla successiva sentenza delle Sezioni Unite, n. 22404 del 13.9.2018, Rv. 650451 – 01, con riferimento alla proposizione da parte dell’attore con la memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, n. 1), in via subordi’nata, di una domanda di indennizzo per arricchimento senza causa, in seguito all’eccezione sollevata dal convenuto della nullita’ del titolo contrattuale azionato in principalita’.
6.9. Il ricorrente ipotizza che il margine di manovra e adattamento delle proprie domande riconosciuto dall’indirizzo richiamato all’attore sostanziale e formale nel giudizio ordinario di cognizione all’udienza ex articolo 183 c.p.c., che si traduce in un elastico jus variandi, disancorato dal rigoroso rispetto dei criteri di identificazione della domanda e collegato piuttosto all’identita’ sostanziale della vicenda, possa essere esteso, anche in considerazione del suo ravvisato fondamento costituzionale, anche al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo a favore dell’attore sostanziale, convenuto formale, consentendogli di avvalersi nella comparsa di costituzione e risposta delle stesse facolta’ concesse all’attore sostanziale e formale all’udienza ex articolo 183 c.p.c..
6.10. L’alternativa e’ che tale completa equiparazione sia preclusa dalla specialita’ del procedimento monitorio e della conseguente fase di opposizione, improntati a regole particolari che determinano nello specifico ambiente processuale un complesso di vantaggi e svantaggi.
L’ultima pronuncia delle Sezioni Unite n. 22404 del 2018, se pur non risolve totalmente il dubbio, nel riflettere comparativamente sui principi affermati con le precedenti decisioni n. 26128 del 2010 e n. 12310 del 2015, ha attribuito alla seconda una portata ben piu’ ampia della prima, evidenziando, fra l’altro, che la prima pronuncia del 2010 si riferiva “ad un ambito ben specifico e, per cosi’ dire, settoriale” (sentenza 22404/2018, p. 7).
6.11. Secondo il Collegio la soluzione auspicata dal ricorrente appare in definitiva conforme alla logica del sistema processuale introdotto dalla Novella del 1990 e successive modifiche e integrazioni, come ricostruito dalle Sezioni Unite.
Tale sistema e’ si’ preordinato alla prioritaria cristallizzazione del thema decidendum con l’obiettivo pubblicistico di garantire un processo rapido e concentrato, esente da arresti e ritorni all’indietro, ma non puo’ trascurare l’interdipendenza delle attivita’ difensive dei contendenti anche al fine di prevenire situazioni di pregiudizialita’ rispetto ad altri giudizi successivamente introdotti che finirebbero con il ritardare e condizionare l’iter processuale, come avverrebbe se l’attore fosse costretto, anziche’ proporre la riconvenzionale consequenziale, a instaurare altro separato giudizio.
La chiave del sistema e’ offerta dal concetto fondamentale di “consequenzialita’” che abilita il giudice a valutare pragmaticamente la sussistenza del collegamento fra la domanda introdotta alla udienza di trattazione e l’esigenza difensiva tracciata dalle allegazioni contenute nella comparsa di risposta del convenuto per ravvisarvi quelle allegazioni di fatti idonei a radicare eccezioni anche in senso lato che potrebbero, ove non contrastate, condurre al rigetto della domanda.
Secondo le Sezioni Unite bisogna ritenere che il legislatore abbia scelto proprio questo momento per consentire, prima dell’inizio della trattazione della causa, correzioni di tiro e cambiamenti anche rilevanti (rispetto ai quali e’ addirittura previsto un triplo ordine di termini) al fine di massimizzare la portata dell’intervento giurisdizionale richiesto, cosi’ da risolvere in maniera tendenzialmente definitiva i problemi che hanno portato le parti dinanzi al giudice, evitando che esse tornino nuovamente in causa in relazione alla medesima vicenda sostanziale.
Diversamente opinando, si finirebbe per imprigionare la ratio che presiede alla organizzazione dell’articolo 183 c.p.c., nell’ambito di una logica deontica fine a se’ stessa, intesa ad inquadrare e regolamentare permessi, obblighi e divieti con l’unica preoccupazione che siano certi i confini tra quel che si puo’, quel che si deve e quel che e’ vietato fare, anche a discapito della funzionalita’ dell’intero processo e dei suoi valori fondanti.
Ed ancora – secondo le Sezioni Unite – i risultati ermeneutici in tal modo raggiunti circa la riconosciuta possibilita’ di modificare domande, eccezioni e conclusioni gia’ formulate, risultano in completa consonanza sia con l’esigenza – ripetutamente perseguita nel codice di rito talora anche attraverso modifiche della disciplina sulla competenza – di realizzare, al fine di una maggiore economia processuale ed una migliore giustizia sostanziale, la concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale, sia, piu’ in generale, con i valori funzionali del processo via via enucleati nel corso degli ultimi anni dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimita’.
L’interpretazione in questione risulta infatti maggiormente rispettosa dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, poiche’ non solo non incide negativamente sulla durata del processo nel quale la modificazione interviene, ma determina anzi una indubbia incidenza positiva piu’ in generale sui tempi della giustizia, in quanto idonea a favorire una soluzione della complessiva vicenda sostanziale ed esistenziale portata dinanzi al giudice in un unico contesto invece di determinare la potenziale proliferazione dei processi.
La concentrazione favorita da tale interpretazione rafforza infine la stabilita’ delle decisioni giudiziarie, anche in relazione alla limitazione del rischio di giudicati contrastanti, e l’effettivita’ della tutela assicurata, sempre messa in pericolo da pronunce meramente formalistiche.
6.12. L’ammissibilita’ della reconventio reconventionis non puo’ essere subordinata alla formulazione da parte del convenuto di una vera e propria domanda riconvenzionale, tenuto conto del contenuto letterale dell’articolo 183 c.p.c., comma 5, primo periodo.
E’ stato al proposito sostenuto – in via di interpretazione estensiva – che l’articolo 183 c.p.c., comma 4, nel testo anteriore alla riforma del 2006, cosi’ come l’attuale comma 5 della stessa norma, consentono che l’attore possa introdurre una nuova domanda, oltre che a seguito di eccezione o domanda riconvenzionale del convenuto, anche in dipendenza di una mera difesa in iure o in facto che alleghi l’infondatezza della domanda originaria, ferma restando la necessita’ che la nuova domanda assuma carattere consequenziale e, dunque, che la mera difesa svolga rispetto ad essa funzione di elemento costitutivo (Sez. 3, n. 17708 del 19.7.2013, Rv. 628941 – 01; Sez. 1, n. 29574 del 24.12.2020, in motivazione, sub p. 20.3, pag. 81).
6.13. Le Sezioni Unite, occupandosi dell’articolo 183 c.p.c., sia pur in diversa prospettiva, che atteneva propriamente ai limiti della cosiddetta emendatio libelli, hanno affermato che con riguardo alle domande nuove, pur in assenza di un espresso divieto come quello di cui all’articolo 345 c.p.c., questo poteva essere implicitamente desunto dal fatto che risultano specificamente ammesse per l’attore le domande e le eccezioni “che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto”; se ne poteva quindi desumere che sono (implicitamente) vietate tutte le domande nuove ad eccezione di quelle che per l’attore rappresentano una reazione alle opzioni difensive del convenuto, secondo una struttura in parte dissimile da quella riscontrabile nel piu’ volte citato articolo 345 c.p.c., dove il divieto di domande nuove risulta esplicitato (Sez. un. 15.6.2015 n. 12310).
6.14. Se quindi l’attivita’ posta in essere dai sig. (OMISSIS) nel giudizio di primo grado avrebbe dovuto essere considerata pienamente legittima in un giudizio di ordinaria cognizione in cui essi fossero stati attori sostanziali e formali, vien da chiedersi se la soluzione possa essere diversa in ragione della natura del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo e dei limiti frapposti allo ius variandi che compete all’attore sostanziale convenuto formale.
6.15. L’opinione maturata dal Collegio e’ che la soluzione non possa essere differente e che il convenuto opposto possa proporre una domanda riconvenzionale, legittima in quanto riconducibile alla stessa vicenda sostanziale, nel solco tracciato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite, anche quando l’attore opponente non abbia proposto una domanda riconvenzionale propriamente detta richiedendo una pronuncia ampliativa del thema decidendum ma si sia limitato a chiedere il rigetto della domanda accolta con il decreto opposto con la proposizione a tal fine di eccezioni in senso stretto.
L’approdo e’ confortato sia dal fondamento costituzionale posto ad architrave dell’evoluzione giurisprudenziale delle Sezioni Unite in relazione alle finalita’ di economia processuale e di ragionevole durata del processo, sia dall’assenza di una apprezzabile giustificazione di una differenziazione di disciplina dei poteri processuali delle parti, fra i giudizi ordinari e quelli scaturenti da opposizione a decreto ingiuntivo, che non si ancori a una classificazione formalistica priva di sostanza.
6.16. In questa logica si e’ mossa la pronuncia sopra ricordata n. 16564 del 2018. In quel caso la Corte ha rigettato il ricorso di una banca avverso la decisione di merito che, nel confermare la revoca di tre decreti ingiuntivi e nel disattendere la domanda di condanna della medesima banca per responsabilita’ contrattuale, l’aveva condannata, viceversa, a titolo di responsabilita’ ex articolo 2049 c.c., accogliendo la domanda proposta dal cliente, parte opposta, in via subordinata e riconvenzionale, a seguito dell’eccezione di irregolarita’ dei certificati di deposito, sollevata dall’istituto di credito in sede di opposizione contro i predetti provvedimenti monitori. Alteris verbis, e’ stata ritenuta ammissibile una domanda riconvenzionale del convenuto opposto a fondamento extracontrattuale a fronte di eccezioni dell’opponente volte ad ottenere il rigetto della domanda a fondamento contrattuale accolta in sede monitoria.
La sentenza della Sezione 3, n. 22754 del 4.10.2013, ragionando analogamente ha considerato tardiva la domanda riconvenzionale del convenuto opposto ex articolo 2041 c.c., sol perche’ non proposta con la comparsa di costituzione e risposta dell’opposto, atto equivalente alla comparsa di risposta del convenuto ai sensi dell’articolo 167 c.p.c., nell’ordinario giudizio di cognizione, ma solo successivamente nel corso del giudizio di primo grado.
Nella fattispecie non e’ invece controverso che la domanda de qua e’ stata proposta all’atto della stessa costituzione in giudizio delle parti convenute opposte, come ammette lo stesso Consorzio controricorrente (controricorso, pag. 10).
6.17. La giurisprudenza piu’ recente di questa Corte, raccogliendo il monito ispiratore delle ricordate pronunce delle Sezioni Unite, si e’ orientata ancor piu’ nettamente a riconoscere al convenuto opposto lo stesso jus variandi che compete all’attore formale.
La Sezione 3, con la sentenza 11.2.2021 n. 3571, ha ripreso adesivamente i principi espressi dall’ordinanza della Sezione 6-1 del 7.9.2020 n. 18546 in tema di “domanda complanare”, intesa come la domanda avente ad oggetto un diritto diverso da quello dedotto originariamente in giudizio, ma incompatibile o alternativo, si’ che le due domande non potrebbero essere entrambe accolte, e si e’ quindi pronunciata proprio con riferimento al tema dell’estensione dello jus variandi alla posizione processuale del convenuto opposto.
La questione e’ stata risolta alla luce dei principi delle sentenze del 2015 e del 2018 delle Sezioni unite sopra ricordate, con la precisazione che tale approdo doveva essere adattato alle peculiarita’ del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
E’ pur vero che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimita’, nell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto riveste la posizione sostanziale dell’attore: tuttavia deve ritenersi ormai superato il tradizionale orientamento restrittivo secondo cui l’opposto, proprio per tale sua posizione, non puo’ avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, egli si venga a trovare, a sua volta, nella posizione processuale di convenuto, al quale non puo’ essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o piu’ ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una reconventio reconventionis che deve, pero’, dipendere dal titolo dedotto in causa o da quello che gia’ appartiene alla stessa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale.
E’ stata infatti ritenuta ammissibile la domanda formulata in via subordinata dal convenuto opposto qualora essa si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso bene della vita, tendendo alla realizzazione, almeno in parte, salva la differenza tecnica di petitum mediato, della stessa utilita’ finale gia’ avuta di mira dalla parte con la sua iniziativa giudiziale, e sia comunque connessa per incompatibilita’ a quella originariamente proposta, giustificando cosi’ il ricorso al simultaneus processus.
6.18. A questi principi il Collegio ritiene debba essere assicurata continuita’ perche’ coerenti ai principi generali espressi dalle sentenze delle Sezioni Unite n. 12310 del 2015 e n. 22404 del 2018, che impongono il superamento del precedente orientamento restrittivo che consentiva al convenuto opposto la proposizione di una domanda diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo nel solo caso in cui l’opponente avesse proposto una domanda o un’eccezione riconvenzionale.
Il Collegio ritiene pertanto di dover enunciare il seguente principio di diritto ex articolo 384 c.p.c.: “In tema di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto opposto puo’ proporre con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l’opponente non abbia proposto una domanda o un’eccezione riconvenzionale e sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilita’ a quella originariamente proposta”. - Il secondo motivo di ricorso va pertanto accolto e con rinvio della causa dinanzi alla Corte di appello di Messina in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimita’, alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.