Cassazione civile sentenza 25 giugno 3 ottobre 2013 n 22632

Corte di Cassazione, sez. II Civile,
sentenza 25 giugno – 3 ottobre 2013, n. 22632
Presidente Bursese – Relatore Mazzacane

Svolgimento del processo

Con sentenza non definitiva dell’11-7-1987 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, decidendo sulle domande di reintegrazione nelle quote di legittima e di divisione proposte, con riferimento alla successione “mortis causa” di Lu..Ro. , dalle figlie R.L. e F..R. nei confronti della vedova E..M. , degli altri figli R.G. ed A..R. , del nipote “ex filio” Ro.Lu. , dichiarava la validità delle donazioni immobiliari del “de cuius” del 2-10-1963 e del 29-5-1969 in favore di G..R. , dichiarava inammissibile l’azione di riduzione proposta nei confronti di Lu..Ro. per non essere stata l’eredità accettata con beneficio di inventario dalle attrici, e dichiarava queste ultime tenute all’imputazione di donazioni di denaro che avevano ricevuto dal padre.
Con successiva sentenza non definitiva del 28-2-1997 il suddetto Tribunale condannava G..R. a pagare a R.F. e L..R. rispettivamente L. 57.675.667 e L. 57.475.667 con rivalutazione monetaria ed interessi, a reintegrazione delle loro quote di legittima (in denaro, come Ro.Lu. aveva disposto con testamento olografo pubblicato l’11-7-1987), dichiarava inefficaci nei confronti di E..M. – la quale in corso di causa aveva a sua volta proposto domanda di reintegrazione – sia la disposizione testamentaria del 14-9-1971 con cui Ro.Lu. aveva lasciato a G..R. i mobili della casa colonica a lui donati, sia la donazione del 5-7-1969 di due immobili del “de cuius” ad A..R. , sia la donazione del 29-5-1969 di un immobile in favore di G..R. limitatamente ad una porzione del valore di L. 56.000.000, da individuarsi in prosieguo di causa, attribuiva ad E..M. i beni mobili lasciati per testamento a G..R. e gli immobili donati ad R.A. , e condannava quest’ultimo a corrispondere ad M.E. gli interessi sulla somma di L. 78.000.000.
Durante la successiva fase istruttoria, deceduta M.E. , il giudice istruttore, previo sorteggio, assegnava ai suoi eredi una porzione dell’immobile oggetto della donazione del 1969 in favore di G..R. .
Con sentenza definitiva del 2-10-2003 il Tribunale provvedeva sulle spese di giudizio.
A seguito di impugnazione di questa sentenza e della seconda delle sopra menzionate sentenze non definitive da parte di R.G. , A..R. , L..R. e R.F. la Corte di Appello di Napoli con sentenza non definitiva dell’8-9-2006 ha revocato la condanna alla reintegrazione ed al pagamento dei frutti pronunciata in favore di M.E. , e per essa dei suoi eredi, revocava l’intero progetto di reintegra con le relative attribuzioni ed il sorteggio dichiarando privo di effetto il relativo verbale, ferme restando le valutazioni dei cespiti effettuate dal CTU e fatte proprie dal Tribunale con la sola esclusione dell’incidenza dell’usufrutto uxorio, e ferma restando la rivalutazione delle eventuali somme da determinare per la reintegrazione in favore di L..R. e R.F. , con la maggiorazione del 5% globale a titolo di frutti.
Con sentenza definitiva del 13-2-2009 la Corte di Appello di Napoli ha estromesso definitivamente dal giudizio Ro.Lu. , ha dichiarato lese le quote di riserva spettanti ad R.A. , a F..R. ed a L..R. , rispettivamente nella misura di lire 10.595.000, di lire 70.049.000 e di lire 69.849.000 per effetto della donazione del 29-5-1969 di Ro.Lu. in favore di G..R. , ha ridotto la donazione suddetta mediante distacco a carico di quest’ultimo ed a favore di R.A. della superficie di mq. 1.765,83 dalla maggiore estensione della particella 5002 del fondo oggetto della donazione medesima, ha attribuito a G..R. la scelta tra la restituzione della superficie distaccata del fondo oggetto della donazione suddetta, ed il pagamento di Euro 12.084,00 con gli interessi dalla decisione, ed ha ridotto la donazione del 29-5-1969 ponendo a carico di R.G. il pagamento di Euro 79.893,92 oltre ad Euro 3.994,00 a titolo di frutti ed interessi in favore di R.F. , e di Euro 79.665,81 oltre ad Euro 3.983,00 a titolo di frutti ed interessi in favore di L..R. .
Per la cassazione delle due sentenze della Corte di Appello di Napoli sopra menzionate G..R. ha proposto un ricorso articolato in tre motivi cui hanno resistito con separati controricorsi da un lato A..R. a dall’altro R.L. e F..R. che hanno introdotto altresì un ricorso incidentale basato su due motivi.
Questa Corte con ordinanza del 27-7-2012, ai fini della valutazione sull’ammissibilità del ricorso incidentale proposto contro la suddetta sentenza non definitiva della Corte territoriale, ha disposto a cura della cancelleria l’acquisizione presso la Corte di Appello di Napoli del fascicolo d’ufficio ed ha rinviato la causa a nuovo ruolo.

Motivi della decisione

Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che con il primo motivo G..R. , denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 564-554 e 553 co., assume che erroneamente la Corte territoriale, sulla premessa che l’azione di reintegrazione nei confronti di L..R. era stata dichiarata inammissibile per non avere L..R. e F..R. accettato l’eredità paterna con beneficio di inventario, cosicché non era stato possibile recuperare presso L..R. una parte della quota riservata ai legittimari, ha riconosciuto alle attrici ed al coerede A..R. l’intera quota di legittima, pari a lire 88.595.000 ciascuno, ed in fase di riduzione ha sottratto l’intera somma di lire 119.310.000 (non recuperabile nei confronti di Ro.Lu. ), esclusivamente all’esponente; invece le conseguenze sfavorevoli conseguenti all’applicazione dell’art. 564 c.c. avrebbero dovuto ricadere soltanto nei confronti di R.L. e F..R. che, non avendo accettato l’eredità con beneficio di inventario, avevano precluso la possibilità di ridurre la donazione di cui aveva beneficiato il nipote del “de cuius” L..R. .
La censura è fondata.
Premesso come dato pacifico in causa che R.L. e F..R. non avevano accettato con beneficio di inventario l’eredità del loro padre Lu..Ro. , cosicché era stata dichiarata inammissibile la domanda da esse proposta nei confronti del nipote del “de cuius” e non coerede Ro.Lu. di riduzione della donazione a suo tempo effettuata in favore di quest’ultimo, devono essere valutate le conseguenze di tale inammissibilità riguardo alla possibilità per le suddette parti di conseguire comunque la reintegra delle proprie quote di legittima.
La sentenza non definitiva della Corte di Appello di Napoli sopra richiamata, rilevato che il Tribunale aveva correttamente calcolato il coacervo teorico della reintegra in lire 300.720.000, ha disatteso l’assunto del giudice di primo grado, che aveva ridotto proporzionalmente la riserva di tutti i legittimari dimenticando che per ciascuno di essi la riserva di legge è intangibile, tanto più per quelli che non hanno colpa nella mancata accettazione beneficiata nei confronti di Lu. ; pertanto la detrazione dell’importo che si sarebbe potuto recuperare da Lu..Ro. in lire 140.000.000 doveva essere operato sulla disponibile, la quale era ridotta a lire 37.190.000, cosicché soltanto in tali limiti potevano essere soddisfatti i diritti di L..R. e R.F. ; in definitiva, quindi, la reintegra per R.F. , teoricamente spettante in lire 69.849.000, doveva essere determinata in lire 18.568.967, e la reintegra per R.L. , teoricamente spettante in lire 70.049.000, doveva essere determinata in lire 18.621.033; il giudice di appello ha quindi per tali ragioni ritenuto superato il progetto divisionale, ed ha disposto con separata ordinanza per il prosieguo del giudizio ai fini della formazione di un nuovo progetto divisionale.
La sentenza definitiva della Corte territoriale, poi, rilevato che l’ammontare utile della disponibile era stato fissato in lire 37.190.000 in relazione al relitto e senza tener conto delle assegnazioni fatte da Lu..Ro. in vita in favore di R.A. e G..R. , e che la sentenza non definitiva aveva mirato alla ricostruzione dell’intero patrimonio e delle partite in discussione, ha determinato in Euro 79.893,92 il valore delle reintegra in favore di F..R. ed in Euro 79.665,81 il valore della reintegra in favore di R.L. , così rivalutate le somme rispettivamente di lire 70.049.000 e di lire 69.849.000 calcolate con riferimento al 1985.
Tale convincimento non può essere condiviso.
Premesso che si verte in materia di riduzione delle donazioni con conseguente applicazione dell’art. 559 c.c., una volta dichiarata inammissibile per mancata accettazione dell’eredità paterna l’azione di riduzione della donazione effettuata da Lu..Ro. in favore dell’omonimo nipote proposta da F..R. e da L..R. , si pone il problema di stabilire se ed in quali limiti, ai fini della reintegrazione delle rispettive quote di legittima di costoro, possano essere ridotte le donazioni anteriori.
Al riguardo non è persuasiva la tesi che ritiene ammissibili ridurre dette donazioni fino alla completa reintegra delle quote di legittima non tenendo conto delle ragioni dell’inammissibilità dell’azione di riduzione nei confronti della donazioni più recente, atteso che in tal modo le conseguenze negative del mancato espletamento dell’onere di accettazione dell’eredità con beneficio di inventario per poter proporre tale azione nei confronti di un donatario non coerede ai sensi dell’art. 564 c.c. vengono ingiustificatamente fatte ricadere su dei soggetti estranei all’assolvimento di detto onere; pertanto si ritiene di dover aderire ad un orientamento già espresso da questa Corte secondo cui, qualora il legittimario non possa aggredire la donazione di data più recente effettuata a favore di un donatario non coerede per aver accettato l’eredità senza far ricorso al beneficio di inventario, egli non può più aggredire la donazione meno recente a favore del coerede, se non nei limiti in cui risulti dimostrata l’insufficienza della donazione più recente a reintegrare la quota di riserva (Cass. 22-10-1975 n. 3500); nella fattispecie, quindi, la reintegrazione delle quote di legittima di F..R. e di L..R. è possibile per l’eccedenza dalla disponibile, ma detratto il valore della donazione effettuata in favore di Ro.Lu. .
Con il secondo motivo il ricorrente principale, deducendo violazione a falsa applicazione dell’art. 726 c.c., assume che la sentenza definitiva della Corte territoriale ha ritenuto che a R.F. ed a L. fossero state assegnate rispettivamente lire 18.546.000 e ire 18.746.000 facendo riferimento al valore della nuda proprietà, dimenticando così che all’atto della sentenza l’usufrutto uxorio – pari al 30% – si era già da tempo consolidato alla nuda proprietà con la morte del coniuge superstite M.E. , avvenuta il 17-3-2000, come del resto rilevato dalla sentenza non definitiva della stessa Corte di Appello.
La censura è fondata.
Il giudice di appello con la sentenza definitiva ha affermato che a F..R. e L..R. erano state assegnate le somme suddette determinando la stima dei beni ad esse donati con riferimento al valore della nuda proprietà, nonostante che la sentenza non definitiva dell’8-9-2006 avesse rilevato che doveva escludersi dai valori dei cespiti donati a L..R. e F..R. la decurtazione del 30% dell’usufrutto uxorio non spettante e consolidatosi alla piena proprietà (vedi in tal senso a pag. 9), statuizione quest’ultima conforme al principio che il valore dei beni da dividere deve essere determinato con riferimento al tempo della divisione stessa, cosicché nella fattispecie si deve tener conto dell’estinzione del suddetto usufrutto per il sopravvenuto decesso nel corso del processo di M.E. , e quindi dell’acquisizione in piena proprietà dei suddetti immobili da parte di L..R. e di F..R. .
Con il terzo motivo G..R. , denunciando violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., rileva che la Corte territoriale ha disposto la reintegra della quota di legittima di R.A. senza che quest’ultimo avesse mai avanzato alcuna domanda in tal senso.
Il motivo è infondato.
Invero dall’esame diretto degli atti processuali (consentito a questa Corte dalla natura processuale del vizio denunciato) risulta che A..R. nella comparsa di costituzione del 25-3-1988 dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva richiesto l’integrazione della sua quota di legittima nell’ipotesi che il valore della seconda donazione del 5-7-1969 operata in suo favore da Lu..Ro. fosse inferiore al valore della quota stessa; pertanto non sussiste la denunciata violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Venendo ora all’esame del ricorso incidentale, premesso che esso è ammissibile in quanto risulta essere stata effettuata ritualmente riserva di ricorso per cassazione avverso la sentenza non definitiva della Corte di Appello di Napoli all’udienza del 28-9-2006, si rileva che con il primo motivo L..R. e F..R. , denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 277 secondo comma e 279 secondo comma c.p.c., assumono che erroneamente la sentenza non definitiva della Corte territoriale ha revocato la condanna alla reintegra in favore della M. sulla base dell’argomentazione della sentenza definitiva del Tribunale n. 2148/2003, che avrebbe riconosciuto abbandonata dagli eredi della M. tale domanda, e del fatto che questa affermazione non sarebbe stata impugnata da nessuna parte; invero il Tribunale non aveva trasfuso la suddetta statuizione nel dispositivo, e comunque il giudice di appello avrebbe dovuto rilevare anche d’ufficio l’insanabile contrasto tra la richiamata sentenza del Tribunale e la precedente sentenza dello stesso Tribunale n. 699/1997, che aveva rinviato al prosieguo del giudizio l’attribuzione delle sole rendite dovute alla M. dal figlio G. , ma non delle rendite dovute dal figlio Andrea, che invero erano state liquidate al punto 4 del dispositivo.
La censura è fondata.
La Corte territoriale con la sentenza dell’8-9-2006, avendo ritenuto che occorreva procedere ad un nuovo progetto divisionale che tenesse conto delle vicende sopravvenute relative al decesso della M. con accrescimento delle relative quote agli eredi e la rinuncia da parte di questi ultimi all’azione di riduzione proposta dalla loro madre, come affermato dal Tribunale senza impugnazione al riguardo, ha dichiarato caducata la condanna alla reintegra ed ai frutti in favore della M. e dei suoi eredi.
In effetti la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 2-10-2003, dopo aver dato atto che “La richiesta avanzata dalla difesa attorea di attribuzione agli eredi di M.E. della quota per la quale è stato operato il sorteggio appare superata dalla formale assegnazione operata dal G.I. all’esito delle operazioni di sorteggio e consacrata nel relativo verbale”, nondimeno ha ritenuto che la domanda della M. di reintegrazione della quota di legittima unitamente alle rendite maturate doveva ritenersi implicitamente abbandonata in quanto non reiterata dai suoi eredi, pur costituitisi in giudizio a seguito della dichiarazione di morte della M. ; orbene tale statuizione si pone in insanabile contrasto con la sentenza non definitiva dello stesso Tribunale del 28-2-1997 che aveva disposto, a reintegrazione della sua quota di legittima, l’attribuzione alla M. dei beni descritti nelle lettere a) e b) del dispositivo stesso, aveva condannato R.A. a corrispondere alla M. , a titolo di frutti, gli interessi legali maturati sulla somma di lire 78.000.000 dal 30-11-1989 alla data della sentenza, ed aveva disposto con separata ordinanza per il prosieguo del giudizio ai fini della concreta attribuzione alla M. della porzione di casamento di cui alla lettera e) necessaria per integrare la sua quota di legittima, nonché per l’attribuzione alla stessa dei frutti dovuti da R.G. ; orbene la statuizione sopra enunciata della sentenza definitiva del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere è erronea in quanto, in caso di sentenza non definitiva, il giudice si spoglia della “potestas iudicandi” relativa alle questioni decise, delle quali gli resta precluso il riesame – sia in ordine alle questioni decise che in ordine a quelle dipendenti – salvo che detta sentenza non venga riformata con pronuncia passata in giudicato, a seguito di impugnazione immediata; ne consegue che tale giudice non può risolvere le medesime questioni in senso diverso con la sentenza definitiva e, ove lo faccia, il giudice del gravame può rilevare d’ufficio la violazione del giudicato interno originante dalla sentenza non definitiva, a nulla rilevando che la violazione non abbia costituito oggetto di specifica impugnazione (Cass. 11-5-2006 n. 10889; Cass. 31-8-2009 n. 18898); pertanto nella fattispecie il giudice di appello avrebbe dovuto rilevare anche d’ufficio la violazione del giudicato interno derivante dalla sentenza non definitiva del 28-2-1997 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere da parte della sentenza definitiva dello stesso Tribunale, invece che dare seguito alla statuizione relativa alla asserita rinuncia da parte degli eredi della M. alla domanda di reintegrazione nella quota di legittima.
Con il secondo motivo le ricorrenti incidentali, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 467-523-674 e 677 c.c., nell’ipotesi di mancato accoglimento del primo motivo, lamentano la mancata applicazione dell’istituto della rappresentazione o, in mancanza, dell’accrescimento.
Tale motivo resta assorbito all’esito dell’accoglimento del primo motivo di ricorso.
In definitiva le sentenze impugnate devono essere cassate in relazione all’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale e del primo motivo del ricorso incidentale, e la causa deve essere rinviata per un nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale, rigetta il terzo motivo del ricorso principale e dichiara assorbito il secondo motivo del ricorso incidentale; cassa le sentenze impugnate in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.