Cassazione civile, sentenza 8 settembre 2015, n. 17794

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 8 settembre 2015, n. 17794

 

(…omissis…)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) proposero domanda di risarcimento del danno mediante costituzione di parte civile nel processo penale contro gli amministratori della (OMISSIS) s.r.l., allegando la conclusione di contratti preliminari di vendita di immobili poi non realizzati, per i quali i promissari acquirenti avevano versato acconti, avendo la societa’ precedentemente falsificato il proprio bilancio.

Il Tribunale di Trieste condanno’ gli imputati per i reati di false comunicazioni sociali ex articolo 2621 c.c., e truffa aggravata ex articolo 640 c.p., cui segui’ l’assoluzione in appello.

La Quinta sezione penale della Corte di cassazione con decisione 5 novembre – 9 dicembre 2008, n. 45513, su ricorso delle parti civili, annullo’ la sentenza di assoluzione, quanto al reato di false comunicazioni sociali, per i vizi di illogicita’ della motivazione e inosservanza di norme giuridiche civilistiche di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), dichiarando invece inammissibile il ricorso delle medesime con riguardo al reato di truffa aggravata e rinviando al giudice civile in grado di appello.

La Corte d’appello di Trieste, quindi, con sentenza del 21 marzo 2011 ha condannato in solido (OMISSIS) e (OMISSIS), accertata la loro responsabilita’, al risarcimento del danno in favore dei promissari acquirenti, provvedendo alla relativa liquidazione.

La corte territoriale ha osservato come il bilancio della (OMISSIS) s.r.l. dell’esercizio chiuso al 31 dicembre 1993 e’ incontestatamente falso, recando un capitale sociale interamente versato di lire 600.000.000, laddove era stato versato il minore importo di lire 252.000.000 e per lire 348.000.000 i soci non avevano ancora operato alcun versamento.

Di tale falsita’ ha ritenuto responsabili anche gli odierni ricorrenti, in quanto soci ed amministratori della societa’, configurandosi il reato di false comunicazioni sociali di cui al precedente articolo 2621 c.c., realizzato non solo attraverso la falsa indicazione del capitale sociale nel bilancio predetto, ma anche mediante una serie di comportamenti generati da tale falsa indicazione e diretti a rappresentare negli attori una realta’ economica societaria piu’ florida di quella reale.

La corte del merito ha aggiunto che resta irrilevante l’ideazione da parte unicamente ad opera di altro amministratore (gia’ condannato in sede penale), dell’operazione di aumento del capitale non seguita dal versamento dei conferimenti, attesa la posizione di garanzia in forza dell’articolo 2392 c.c., comma 2, previgente, in capo a tutti gli amministratori e l’approvazione del bilancio da parte dell’assemblea, con il consenso unanime dei soci e la presenza di tutti gli amministratori. Avendo da tempo il collegio sindacale richiesto i documenti attestanti il versamento dei conferimenti, era dunque dovere degli amministratori procedere ad una verifica della congruenza della contabilita’.

Ha, infine, individuato il danno nella conclusione dei contratti preliminari di compravendita degli immobili edificandi, ma mai edificati, da parte della societa’ e nei versamenti dei relativi acconti, avvenuti avendo i promissari acquirenti confidato nella solidita’ finanziaria della (OMISSIS) s.r.l. – che sapevano sarebbe subentrata, quale societa’ costruttrice degli immobili, alla originaria promittente (OMISSIS) s.p.a. – proprio in considerazione del capitale sottoscritto e versato nella somma di lire 600.000.000. La corte ha quantificato il danno patrimoniale per ciascuno degli attori in relazione agli acconti versati, cui ha aggiunto il danno non patrimoniale.

Avverso tale sentenza viene proposto ricorso per cassazione dai soccombenti sulla base di cinque motivi.

Resistono con controricorso gli intimati, depositando altresi’ la memoria di cui all’articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 2621 c.c., oltre al vizio di motivazione sotto ogni profilo, avendo la sentenza impugnata affermato che il giudice penale avrebbe riscontrato, oltre al falso in bilancio integrante il reato di cui alla norma richiamata, anche “una serie di comportamenti… diretti sostanzialmente ad ingenerare nei terzi… una realta’ economica societaria piu’ florida di quella reale”, comportamenti non meglio individuati ed asseritamente posti in essere ai signori (OMISSIS) e (OMISSIS), invece coperti ormai dal giudicato assolutorio penale.

Con il secondo motivo, deducono la violazione e la falsa applicazione degli articolo 2395 e 2697 c.c., articolo 115 c.p.c., comma 2, perche’ l’entita’ del capitale sociale, di cui si discute, risultava dal bilancio al 31 dicembre 1993, approvato dall’assemblea del 30 giugno 1994 e depositato presso il registro delle imprese nel luglio di quell’anno. Ma i contratti preliminari sono stati conclusi da (OMISSIS) il 30 novembre 1993, da (OMISSIS) il 6 febbraio 1994 e da (OMISSIS) / (OMISSIS) il 12 novembre 1994: onde un bilancio, reso pubblico nel luglio 1994, non avrebbe potuto determinare, sul piano eziologico, la stipula dei preliminari conclusi prima. Inoltre, anche quanto all’unico contratto posteriore, l’efficacia causale di quel bilancio con riguardo alla conclusione dei preliminari non era stata ne’ allegata, ne’ provata dagli attori, perche’ la corte territoriale ha solo postulato, senza alcuna motivazione, che l’entita’ del capitale sociale versato, risultante dal bilancio 1993, sia stata causalmente decisiva nella determinazione a contrarre degli attori.

Con il terzo motivo, lamentano la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c., articolo 640 c.p., oltre al vizio di omessa motivazione, posto che la corte d’appello ha menzionato l’esistenza di “assicurazioni” che i medesimi avrebbero rivolto fra l’altro alla madre del (OMISSIS) circa la prossima consegna degli alloggi: ma il giudice penale aveva assolto, con forza di giudicato, i ricorrenti dal reato di truffa in merito a pretese condotte di artifici e raggiri, volte ad indurre le parti lese alla conclusione dei contratti preliminari: onde restava unicamente da valutare se a cio’ esse fossero state indotte dall’esposizione del predetto capitale versato nel bilancio 1993, unica condotta penalmente individuata come falsa comunicazione sociale.

Con il quarto motivo, deducono la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 2250 c.c., comma 2, articolo 2344 c.c., articolo 2424 c.c., lettera A), articoli 2435, 2621 e 2622 c.c., oltre al vizio di omessa o contraddittoria motivazione, in quanto la relazione degli amministratori al bilancio 1993 riferiva come ivi fossero indicati “crediti verso soci” per lire 348.000.000, proprio riguardanti i decimi non ancora richiamati, e che il richiamo era avvenuto nei primi mesi del 1994; inoltre, all’epoca il richiamo dei decimi mancanti era solo una facolta’ degli amministratori; il riferimento operato in sentenza al capitale ancora indicato in lire 600.000.000 in una visura camerale di agosto 1995 e’ frutto di evidente confusione tra capitale sottoscritto e capitale versato.

Con il quinto motivo, deducono la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1350, 1351, 1414 e 1417 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c., oltre all’omessa e contraddittoria motivazione, perche’ due dei tre attori avevano concluso i contratti preliminari con la (OMISSIS) s.p.a. e, quindi, certamente non furono indotti a stipulare con la (OMISSIS) s.r.l. in forza del bilancio di questa; il terzo contratto fu stipulato con la (OMISSIS) s.r.l. a novembre 1994, quando ormai era stato evidenziato in bilancio che il socio (OMISSIS) s.p.a. non aveva ancora versato il capitale sottoscritto. Ne’ vi era prova di alcuna simulazione soggettiva dei promittenti venditori.

2. – I motivi proposti, da trattare congiuntamente per la loro intima connessione, sono fondati.

2.1. – Ai sensi dell’articolo 622 c.p.p., in ipotesi di annullamento ai soli effetti civili e fermi gli effetti penali della sentenza, la Corte di cassazione, se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato, rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Il giudizio di rinvio avanti al giudice civile designato, quindi, si svolge in modo del tutto riconducibile alla comune disciplina ex articolo 392 c.p.c. e ss. (Cass. 9 agosto 2007, n. 17457).

Nella specie, il giudicato interno, formatosi a seguito dell’annullamento parziale della Corte di cassazione penale, impedisce di riconsiderare l’assoluzione per il reato di truffa aggravata, inizialmente contestato agli odierni ricorrenti e del quale, pertanto, essi non possono piu’ essere chiamati a rispondere ai fini civili (articolo 652 c.p.p.).

Cio’ che la corte d’appello, in sede di rinvio, era tenuta a valutare – tenuto conto della pronuncia della Cassazione penale circa l’esistenza del falso e dell’imputabilita’ della condotta anche agli odierni ricorrenti – era dunque se, in presenza della specifica falsita’ nel bilancio 1993 consistita nell’indicare il capitale come interamente versato, invece che per la minore somma oggetto dei decimi gia’ corrisposti, sussistesse il nesso causale tra tale falsita’ e il danno lamentato dagli attori ai sensi dell’articolo 2395 c.c..

2.2. – Questa Corte ha gia’ chiarito come l’azione concessa dall’articolo 2395 c.c., individualmente al terzo per il risarcimento dei danni ad esso derivanti come conseguenza di atti colposi o dolosi di amministratori di societa’ per azioni richiede la dimostrazione del nesso causale fra la violazione commessa ed il pregiudizio subito.

Quanto all’inadempimento contrattuale di una societa’ di capitali, esso non implica, di per se’, la responsabilita’ per danni dell’amministratore nei confronti dell’altro contraente (Cass. 5 agosto 2008, n. 21130), appunto perche’ il danno direttamente arrecato ai terzi ha una propria autonoma genesi, non derivando dal danno arrecato al patrimonio sociale (Cass. 1 aprile 1994, n. 3216).

In particolare, ove il terzo alleghi di essere stato indotto a contrattare con la societa’, che poi sia rimasta inadempiente, a cio’ indotto dal fatto che dai bilanci risultassero circostanze non rispondenti al vero che lo abbiano indotto a concludere il contratto, egli e’ tenuto a provare la specificita’ di tali circostanze, nonche’ l’idoneita’ di esse a trarlo in inganno (Cass. 2 giugno 1989, n. 2685, in caso di effettuazione di forniture di merci alla societa’) , importando il riferimento all’incidenza diretta del danno sul patrimonio del terzo danneggiato, quale tratto distintivo della responsabilita’ ex articolo 2395 c.c., un esame rigoroso del nesso causale (Cass. 5 agosto 2008, n. 21130, cit.), secondo un principio di causalita’ ancorato al criterio del “piu’ probabile che non” (cfr. Cass. 18 marzo 2015, n. 5450, in tema di operata conversione di obbligazioni).

In tali casi, puo’ configurarsi allora un concorso tra l’inadempimento della societa’ e l’illecito dell’amministratore (Cass. 3 dicembre 2002, n. 17110, che si occupa del diverso profilo dell’induzione della societa’ all’inadempimento per l’avvenuta distrazione di somme operata dall’amministratore).

Orbene, tali affermazioni il Collegio intende ora ribadire. Ben puo’ dunque il bilancio, se non veritiero, essere fonte di responsabilita’ sia verso i soci e sia verso i terzi in buona fede, tratti in inganno dai dati e dalle risultanze di esso, ove raffiguranti una falsa immagine della situazione economico-patrimoniale della societa’.

Mentre usualmente il socio non amministratore conosce il bilancio al momento del deposito presso la sede sociale (articoli 2429 e 2478 bis c.c.), il terzo non ha, di regola, altra possibilita’ di conoscere la suddetta situazione economico-patrimoniale della societa’ se non dal momento del deposito del bilancio presso il registro delle imprese (articolo 2435 e 2478 bis c.c.).

Ma chi si duole della falsita’ di tali dati e risultanze e’ tenuto ad allegare, e poi a dimostrare, anche l’idoneita’ dei medesimi a trarre in inganno la sua fiducia: onde e’ tenuto a fornire la dimostrazione del nesso causale fra l’illecito amministrativo-contabile degli amministratori ed il danno patito in modo diretto ed in conseguenza dell’illecito commesso.

Va, pertanto, affermato il principio di diritto secondo cui, a fronte dell’inadempimento contrattuale di una societa’ di capitali, la responsabilita’ risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente non deriva automaticamente da tale loro qualita’, ma implica, secondo la previsione dell’articolo 2395 c.c., la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente. In particolare, in ipotesi di bilancio contenente indicazioni inveritiere, che si assumano avere causato l’affidamento del terzo circa la solidita’ economico-finanziaria della societa’ e la decisione del medesimo di contrattare con essa, il terzo che agisca per il risarcimento del danno avverso l’amministratore che abbia concorso alla formazione del bilancio asseritamente falso e’ onerato di provare non soltanto tale falsita’, ma anche, mediante qualsiasi mezzo di prova, il nesso causale tra il dato falso e la propria determinazione di concludere il contratto, da cui sia derivato un danno in ragione dell’inadempimento della societa’ alle proprie obbligazioni.

2.3. – Nel caso di specie, la sentenza impugnata, da un lato, ha violato il giudicato assolutorio penale, e, dall’altro lato, non ha fatto applicazione dei principi esposti in tema di nesso di causalita’ ex articolo 2395 c.c..

Sotto il primo profilo, l’articolo 2621 c.c., nel testo all’epoca in vigore, individuava il reato di false comunicazioni sociali con riguardo all’esposizione di dati non veri tassativamente “nelle relazioni, nei bilanci o in altre comunicazioni sociali”. Ma, come risulta dall’esame della motivazione, la corte del merito ha considerato come fondanti il diritto al risarcimento del danno in capo ai promissari acquirenti anche comportamenti ulteriori rispetto al falso operato nel bilancio al 31 dicembre 1993, unica condotta per la quale il ricorso delle parti civili fu accolto: senza considerare, quindi, l’assoluzione passata in giudicato con riguardo alle altre condotte inquadrabili nel reato di truffa.

La sentenza impugnata risulta, altresi’, lacunosa in tema di nesso eziologico, laddove ha ravvisato il nesso causale tra l’attestazione del versamento integrale del capitale sociale nell’ambito del bilancio dell’esercizio sociale 1993 e l’induzione alla stipulazione, e cio’ in quanto:

a) non spiega come la pubblicita’-notizia dei dati relativi a detto bilancio, avvenuta nel luglio 1994, potesse avere determinato i promissari acquirenti a stipulare i preliminari conclusi il 30 novembre 1993 ed il 6 febbraio 1994, vale a dire vari mesi prima rispetto alla pubblicita’ stessa;

b) non tiene conto dell’elemento fattuale incontestato, secondo cui la relazione degli amministratori in qualche modo correggeva quell’indicazione ai fini eziologici dell’induzione dei terzi a stipulare i contratti preliminari, laddove essa precisava che il richiamo dei decimi mancanti era avvenuto dopo la chiusura dell’esercizio sociale e precisamente nei primi mesi del 1994;

c) non motiva adeguatamente come, dal momento che due delle tre parti promissarie acquirenti hanno contrattato con la (OMISSIS) s.p.a., e non con la (OMISSIS) s.r.l. del cui bilancio falso si tratta, sia possibile ravvisare nondimeno un nesso eziologico con il bilancio di questa;

d) opera un incongruo riferimento all’importo pretesamente falso del capitale di lire 600.000.000, risultante dal registro delle imprese nel mese di agosto 1995, laddove indubbiamente questo era l’effettivo importo del capitale sottoscritto;

e) piu’ radicalmente, non motiva adeguatamente il ritenuto rilievo eziologico decisivo tra l’indicazione del dato falso relativo alla percentuale di capitale sociale versato e la decisione di concludere i contratti preliminari, non potendo dirsi in re ipsa la prova predetta, come invece la sentenza impugnata sembra ritenere.

3. – Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio al giudice del merito, perche’ provveda alla rivalutazione del materiale istruttorio raccolto, sulla base dei su esposti principi; alla corte territoriale si demanda anche la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.