Corte di Cassazione Civile, Sentenza 26 gennaio 2018, n.2043

CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
SENTENZA 26 gennaio 2018, n. 2043

( …omissis…)

Motivi della decisione

Va preliminarmente osservato che il P.G. ha chiesto la rimessione della causa alle sezioni unite di questa Corte, ai sensi dell’art. 374 comma terzo c.p.c., per cui se la sezione semplice ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette ad esse, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso. Tale richiesta viene giustificata, in relazione ad alcune pronunce fortemente innovative della prima sezione civile, in materia di assegno di divorzio, recentemente assunte.

Ritiene la Corte di non accogliere l’istanza.
La predetta norma, introdotta dal DLgs. N. 40 del 2006, va considerata disposizione di natura ordinamentale più che processuale, nonostante sia contenuta nel codice di rito civile, in quanto disciplina i rapporti interni tra sezioni nell’ambito del medesimo organo giudiziario. Ma proprio tale natura, a parere del Collegio, rende operativa la disposizione solo per i principi affermati dalle Sezioni Unite, dopo la sua entrata in vigore, e non per quelli, come nella specie, enunciati anteriormente, per i quali permane il profilo di grande autorevolezza dell’insegnamento delle Sezioni Unite, il punto più alto nella interpretazione e nella nomofilachia, ma non vincolante per le sezioni semplici.
Né si potrebbe affermare che l’art. 374, comma terzo c.p.c., si applichi se, come nel caso che ci occupa, il principio affermato dalle Sezioni Unite (sentenze nn. 11490 e 11492 del 1990), in materia di assegno di divorzio, sia stato da allora seguito costantemente nella successiva giurisprudenza delle sezioni semplici. La predetta norma si riferisce solo al pronunciamento delle Sezioni Unite, essendo del tutto ininfluente che il principio sia stato o meno seguito nel prosieguo.
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 5 e 9 L. n. 898 del 1970 e successive modifiche, nonché dell’art. 2697, secondo comma, c.c. e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., sui presupposti della modifica della condizione di divorzio, con riferimento all’ammissibilità dell’assegno e alla sua quantificazione, alla luce del peggioramento delle sue condizioni economiche, con il passaggio al trattamento di quiescenza, e del miglioramento di quelle della moglie, a seguito di accettazione di eredità.
Con il secondo, violazione degli artt. 112 c.p.c. e vizio di motivazione della sentenza impugnata, con riguardo alla richiesta del ricorrente di blocco della rivalutazione ISTAT sull’importo dell’assegno dovuto, correlata al blocco ex lege della rivalutazione della sua pensione per gli anni 2012 e 2013.
Il C. chiede conclusivamente l’esclusione totale dell’assegno o in subordine un’ulteriore riduzione.
Considerando il primo motivo del ricorso, va precisato che, ai sensi dell’art. 9 L. 898 del 1970, possono modificarsi le statuizioni assunte in sede di divorzio per il coniuge e per i figli, qualora sopravvengano giustificati motivi, che l’interpretazione giurisprudenziale ha sempre individuato in circostanze di fatto verificatesi dopo la pronuncia (nella specie, trattandosi di assegno, circostanze tali da alterare l’assetto dei rapporti economici, disposto dal giudice del divorzio) (per tutte. Cass. n. 22505 del 2010; 14.143 del 2014, 7887 de12017). In assenza di tali circostanze nuove, la sentenza di divorzio (anche riguardo all’assegno a favore del coniuge) fa stato tra le parti, con il passaggio in giudicato (basti pensare all’orientamento consolidato, per cui la successiva delibazione di sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio non incide sulla determinazione delle statuizioni economiche assunte in sede di divorzio: tra le altre Cass. n. 3345 del 1997; 12982 del 2008).
Questa Corte, con un indirizzo fortemente innovativo e ormai ampiamente consolidato (al riguardo, tra le altre, Cass. n. 11504 del 2017; 11538 del 2017), ha ritenuto non corretto, ai fini dell’ammissibilità dell’assegno di divorzio, il riferimento al tenore di vita pregresso, sostituendolo con quello dell’indipendenza (o meglio autosufficienza) economica del richiedente.
Questo Collegio condivide e fa proprie argomentazioni e giustificazioni del nuovo orientamento, che individua, altresì, l’autosufficienza economica in alcuni specifici parametri cui dovrebbe richiamarsi la giurisprudenza di merito, adeguandoli alla concreta fattispecie dedotta: il possesso di redditi di qualsiasi specie, di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri imposti e del costo della vita nel luogo di residenza: le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale; la stabile disponibilità di una casa di abitazione, salvo ovviamente altri elementi che potranno rilevare nelle singole fattispecie.

Come si vede, le variabili sono molte numerose per un adeguamento il più possibile efficace alla situazione concreta. In tal senso, si potrebbe fin d’ora escludere pericolosi automatismi (ad es. multipli della pensione sociale o simili) che renderebbero autosufficienza o non autosufficienza identiche sempre a se stesse ed uguali per tutti. Il coniuge richiedente l’assegno non può riguardarsi come una entità astratta, ma deve considerarsi come singola persona nella sua specifica individualità. Per di più, una volta superato il vaglio dell’ammissibilità dell’assegno, ed accertando la non autosufficienza economica del richiedente (e l’impossibilità di ottenere mezzi adeguati per ragioni oggettive), sicuramente potrebbero venire in considerazione i vari profili indicati dalla norma per la quantificazione dell’assegno, tali eventualmente da condurre ad una elevazione dell’importo (ragioni della decisione, contributo alla formazione del patrimonio familiare e personale dei coniugi, durata del matrimonio).
Conclusivamente può affermarsi che l’autosufficienza economica del coniuge è tale da permettergli di godere di una vita libera e dignitosa, e l’assegno va contenuto nella stretta misura in cui tale scopo venga raggiunto.
Per quanto si è detto precedentemente, il nuovo orientamento non può sicuramente considerarsi come elemento giustificante la modifica del regime economico del divorzio. E tuttavia il profilo dell’autosufficienza dovrà essere tenuto in considerazione dal giudice cui sia richiesta la modifica delle condizioni di divorzio in relazione all’assegno. Questi dovrà esaminare gli elementi di fatto innovativi e se, come nella specie, venga richiesto dall’obbligato l’esclusione dell’assegno o la sua riduzione (stante tra l’altro il miglioramento della situazione economica del beneficiario) valuterà dapprima se tale miglioramento abbia fatto raggiungere al coniuge una autosufficienza economica; in tal caso, in relazione alla domanda, escluderà totalmente l’assegno, altrimenti dovrà procedere ad una nuova quantificazione, considerando gli elementi di fatto innovativi (con il raffronto, a questo punto, delle condizioni economiche dei coniugi).
Nella specie, il giudice a quo ha precisato che, da un lato, l’obbligato ha visto ridotto il suo reddito intorno al 40% o più, ed è pure migliorata la situazione della beneficiaria dell’assegno, che è divenuta proprietaria esclusiva di un altro appartamento per via ereditaria, mentre in precedenza era soltanto comproprietaria della casa coniugale, venduta dai coniugi per l’importo complessivo di Euro 700.000,00 suddiviso tra essi, anche se la moglie ha dovuto pagare al marito 45.000,00 Euro per indennità di occupazione ed è previsto a suo carico un conguaglio di Euro 145.000,00 da corrispondere al fratello in ordine alla divisione immobiliare.
Si tratta di valutazioni di fatto che ovviamente non competono a questa Corte. In accoglimento del primo motivo del ricorso, per quanto di ragione, rimanendo assorbito il secondo motivo, va cassato il provvedimento impugnato, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, che procederà, come sopra indicato, alla valutazione dell’autosufficienza della P. , in relazione al suo miglioramento economico, escludendo in tal caso l’assegno, ovvero se la non autosufficienza permanga, procederà alla quantificazione ed eventuale riduzione dell’assegno stesso. La Corte di Appello pure si pronuncerà sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie nei termini di cui in motivazione il ricorso; cassa il decreto impugnato con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione. che pure si pronuncerà sulle spese del presente giudizio.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs 196/03. in quanto imposto dalla legge