Suprema Corte di Cassazione
sezione II civile
sentenza 14 marzo 2017, n. 6586
( ….omissis…)
CONSIDERATO IN FATTO
(OMISSIS) conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Milano (OMISSIS) S.p.a. al fine dell’accertamento dei vizi e della inidoneita’ all’uso del programma software di cui in atti, acquistato dalla predetta societa’ convenuta, nei cui confronti si chiedeva conseguentemente la declaratoria di risoluzione del contratto inter partes del 17.7.1998 per inadempimento di non scarsa importanza della venditrice, con condanna della medesima alla restituzione di quanto corrisposto in esecuzione del contratto stesso, declaratoria di legittimita’ ex articolo 1460 c.c., dell’interruzione dei pagamenti e condanna al risarcimento dei danni patiti della stessa convenuta societa’.
Quest’ultima, costituitasi in giudizio, contestava la fondatezza dell’avversa domanda attorea, di cui chiedeva il rigetto, formulando in via riconvenzionale domanda per il pagamento dei canoni non corrisposti per gli anni 2000/2001 relativi al contratto di licenza di uso del software.
Il Tribunale, con sentenza n. 12615/2008, dichiarava risolto il contratto per fatto e colpa della societa’ venditrice, condannata a restituire al (OMISSIS) la somma di Euro 1.160,00, oltre interessi, per spese documentate in dipendenza del contratto risolto, nonche’ della somma di Euro 4mila, cosi’ equitativamente determinata, a titolo di risarcimento danno e delle spese di lite.
Avverso la suddetta decisione, di cui chiedeva la riforma, Il (OMISSIS) interponeva appello resistito dalla appellata societa’, la quale proponeva – a sua volta – appello incidentale.
L’adita Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 1958/2012, accoglieva l’appello incidentale, rigettava tutte le domande proposte dal (OMISSIS), condannato al pagamento della somma di Euro 2.726,89 a titolo di dovuti canoni, oltre interessi, nonche’ delle spese del doppio grado di giudizio.
Per la cassazione della succitata decisione della Corte territoriale ricorre il (OMISSIS) con atto affidato a tre ordini di motivi e resistito con controricorso dalla societa’ intimata.
RITENUTO IN DIRITTO
1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di “violazione di norme di diritto” con riferimento all’articolo 1455 c.c.. La doglianza posta dal ricorrente a base del motivo e’ sostanzialmente incentrata sulla contestatone del giudizio fattuale della Corte di merito di “scarsa importanza del vizio del programma avuto riguardo all’interesse dell’acquirente”.
Come emerge dalla gravata decisione, adottata col supporto di apposita CTU, la minima difettosità riscontrata (ed, a quanto pare, sostanziantesi in una leggera “ lentezza del programma”, peraltro relativa a particolari circostanze) non sostanziava – come acclarato con motivata decisione dalla Corte territoriale – “problemi che possono qualificarsi vizi e difetti di tale gravità ed entità da rendere il programma del tutto privo delle qualità promesse o essenziali all’uso cui era destinato.
Il motivo, quindi, pone, in modo infondato, una questione di violazione di norma di diritto, violazione che – in ogni caso – non risulta esservi stata (ne’ la parte enuncia al riguardo quale specifico principio sarebbe stato violato dalla Corte territoriale con la gravata decisione) e che, comunque, sarebbe infondata presupponendo una determinata valutazione, nel merito, del vizio della cosa, che – cosi’ si avra’ modo di specificare di seguito – non e’ stato riscontrato.
Il motivo, quindi, va rigettato perche’ infondato.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto da parte del primo giudice: nella specie dell’articolo 91 c.p.c.”.
Il motivo non puo’ essere accolto.
Con lo stesso, nella sostanza, si contesta non un errore della decisione oggi gravata, ma – a ben vedere – un preteso errore della prima decisione.
Significativamente recita testualmente il ricorso “nulla si legge nella sentenza di primo grado circa l’attribuzione delle spese di consulenza tecnica…….”.
Peraltro l’impugnata sentenza, nell’accogliere l’appello incidentale, non poteva che caricare all’originario attore le spese giudizio.
Il motivo e’, quindi, inammissibile.
3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” asseritamente in ordine alla “mancanza di prova sul danno patrimoniale”
Il motivo e’ assolutamente generico e, nel momento in cui fa questione del danno, prescinde dalla ritenuta insussistenza della difettosita’.
Appare, quindi di tutta evidenza che il motivo qui scrutinato finisce col riguardare una eminente valutazione, in fatto, gia’ adeguatamente svolta dalla Corte di merito.
Al riguardo non puo’ che richiamarsi il noto principio che questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare e per cui “la motivazione omessa o insufficiente e’ configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito emerga una totale obliterazione di elementi” (Cass. civ., S.U., Sent. 25 ottobre 2013 n. 24148).
Ne’, d’altra parte, “il controllo di logicita’ del giudizio di fatto, consentito dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, puo’ equivalere e risolversi nella revisione del “ragionamento decisorio” (Cass. civ., Sez. L., Sent. 14.11 2013, n. 25608).
Il motivo e’, quindi, inammissibile.
4.- Il ricorso deve, dunque, essere rigettato.
5.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della societa’ contro ricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge