Corte Suprema di Cassazione, Sentenza 3 novembre 2017, nr 26206

 CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sentenza  3 novembre  2017,  nr   26206

(… Omissis… )

FATTI DI CAUSA
1) Il tribunale di Teramo nel 2004 ha accolto la domanda proposta il 27 novembre 2001 da (OMISSIS) contro la (OMISSIS) s.r.l. e, per l’effetto, ha dichiarato la risoluzione del contratto preliminare di compravendita di un’unita’ immobiliare stipulato il 27 gennaio 2001, condannando la convenuta al risarcimento dei danni, quantificati in misura pari alla restituzione di quanto versatole (caparra versata ed acconto sul prezzo). La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza n. 921/2011 del 22.9.2011, corretta con ordinanza 22 giugno 2012, in accoglimento dell’appello dell’acquirente (OMISSIS), ha dichiarato la legittimita’ del recesso e ha condannato la societa’ convenuta a corrispondere all’attore appellante il doppio della caparra versata. Ha rigettato l’appello incidentale volto alla risoluzione per colpa dell’acquirente.
Per la cassazione della sentenza la (OMISSIS) s.r.l. ha proposto ricorso sulla base di due motivi.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2) La Corte di appello ha ritenuto che oggetto del contratto di compravendita fosse un appartamento che avrebbe dovuto essere munito di certificato di abitabilita’, certificato che era impossibile ottenere in quanto l’unita’ immobiliare – ricavata nel sottotetto – era parte di un fabbricato costruito in difformita’ dalla concessione edilizia ed oggetto di ordine di demolizione da parte del Comune.
La sentenza impugnata ha ravvisato una fattispecie di vendita di aliud pro alio e un grave inadempimento che legittimava il recesso.
3) Con il primo motivo parte ricorrente denuncia vizi di motivazione.
Afferma che la Corte di appello non avrebbe spiegato perche’ oggetto del preliminare fosse un appartamento, in quanto in motivazione nel punto a cio’ relativo era stata inserita la frase “inserire la descrizione”. Aggiunge che oggetto del contratto non era un appartamento, ma un piano sottotetto e che il promissario acquirente aveva piena consapevolezza della consistenza del bene promesso e della sua destinazione a sottotetto, “come tale di per se’ non abitabile”.
La censura e’ manifestamente infondata.
La sentenza, pur contenendo la prova di una dimenticanza dell’estensore nel descrivere l’immobile, come si era ripromesso di fare a pag. 4 con la frase sopravirgolettata, e’ chiara nel considerare la descrizione dell’immobile che la stessa sentenza aveva reso all’esordio della parte narrativa.
Ivi si legge che in citazione era stato riportato che oggetto del preliminare di compravendita era un piano sottotetto costituito da due camere, un soggiorno, n. 2 bagni, balcone lato mare e balcone con affaccio su via (OMISSIS) al prezzo di Lire 242 milioni oltre Iva.
Dunque la valutazione circa la natura del bene oggetto di contratto – quale appartamento abitabile e non quale struttura materiale sita al piano sottotetto – si reggeva in modo eloquente sulla descrizione comunque presente in sentenza.
La tesi secondo cui oggetto della pattuizione fosse il piano sottotetto, senza alcuna promessa di fruizione quale alloggio, e’ una apodittica affermazione che la Corte di appello non ha preso in soverchia considerazione, perche’ smentita dalla dettagliata descrizione che il contratto (riportato in ricorso dalla parte promittente venditrice) conteneva.

Trattasi di descrizione chiaramente coerente solo con la destinazione abitativa delle stanze (addirittura una indicata come soggiorno – pranzo), destinazione che e’ stata considerata decisiva dalla Corte di appello.
Si rileva inoltre che la motivazione e’ stata anche fornita con il rilievo dato al provvedimento sindacale di, demolizione, inflitto per costruzione in difformita’ alla concessione: questa circostanza attesta che la unita’ immobiliare promessa in vendita non era stata edificata con le caratteristiche proprie di un sottotetto non abitabile, come vorrebbe il ricorso, ma come un vero e proprio appartamento, al punto da provocare l’intervento repressivo dell’ente locale.
Ne’ il ricorso, che neppure prospetta eventuali errori ex articolo 1362 c.c. e ss. nell’interpretazione del contratto, e’ stato in grado di indicare alcuna risultanza dalla quale desumere che parte promissaria avesse conosciuto e accettato la insanabile condizione irregolare del bene.
4) Il secondo motivo lamenta vizi di motivazione nonche’ violazione e falsa applicazione degli articoli 1324, 1392, 1373 e 1385 c.c..
Con esso la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ravvisato nella comunicazione di controparte una manifestazione della volonta’ di recedere dal contratto preliminare. Afferma che per contro la lettera raccomandata del 10.5.2001 non recava alcuna dichiarazione di recesso, bensi’ una diffida ad adempiere (al rilascio del certificato di abitabilita’) seguita dalla richiesta di risoluzione del contratto e di risarcimento dei danni.
Rileva inoltre che la diffida era da considerare priva di “efficacia”, in quanto proveniente da avvocato privo di procura speciale rilasciata per iscritto.
Anche questo motivo e’ infondato.
Quanto al primo profilo, relativo all’individuazione della volonta’ di recesso nella lettera inviata prima di instaurare il giudizio, va osservato che la Corte di appello nel valorizzare la legittimita’ della scelta di domandare il recesso non si e’ soffermata sul contenuto della lettera, ma ha fatto riferimento alla “…relativa domanda, tenuto conto che non vi era alcun dubbio circa l’opzione esercitata dalla parte attrice (Cass….) la quale in tal modo ha contenuto la richiesta risarcitoria nei limiti della caparra convenuta e raddoppiata”.
Essa ha quindi considerato la scelta di domandare in giudizio il recesso, scelta che e’ legittima anche quando in precedenza sia stata prospettata stragiudizialmente la volonta’ di risolvere il contratto.
Cass. n. 16221 del 18/11/2002 (Rv. 558568) insegna infatti che la parte adempiente di un contratto preliminare di compravendita, che abbia ricevuto una caparra confirmatoria e si sia avvalsa della facolta’ di provocare la risoluzione del contratto mediante diffida ad adempiere (articolo 1454 c.c.), puo’ agire in giudizio esercitando il diritto di recesso (articolo 1385 c.c., comma 2) e, in quest’ultimo caso, ha diritto di ritenere definitivamente la caparra confirmatoria, non anche il diritto di ottenere il risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento che ha giustificato il recesso (conf. Cass. 387/05).
Ovviamente nel caso, come quello in esame, in cui sia inadempiente la parte che ha ricevuto la caparra, e’ l’altra che puo’ esercitare il recesso per ricevere la restituzione e il pagamento del doppio della caparra.
5) Il secondo profilo del motivo (relativo alla eccezione di nullita’ dell’atto stragiudiziale di recesso per mancanza di forma scritta) risulta a questo punto superato.
Mette conto tuttavia riferire che di esso parte resistente aveva rilevato l’inammissibilita’ per tardivo rilievo della questione e l’infondatezza di essa per intervenuta ratifica dell’atto di recesso.
Quest’ultima controeccezione di parte resistente coglie nel segno, perche’ con l’atto di citazione sottoscritto dalla parte nel rilasciare il mandato al proprio difensore, l’operato precedente di quest’ultimo e’ stato ratificato, come la giurisprudenza delle sezioni semplici ha da tempo affermato (Cass. n. 21229 del 14/10/2010; Cass. n. 16221/2002 – Rv. 558567; 1609/94), senza trovare smentita dalle Sezioni Unite, che in sentenza n. 14292 del 2010 (cfr in motivazione, passaggi finali) non hanno avuto modo di occuparsene.
6) Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia e alla nota spese che indica in Euro 6,45 (sei,45) le spese vive di cui viene chiesto e accordato il ristoro.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 5.000 per compenso e spese vive, oltre accessori di legge, rimborso delle spese generali (15%).