Il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare è in rapporto causale con l’attività intermediatrice

Il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, non occorrendo un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare, poiché è sufficiente che il mediatore – pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo – abbia messo in relazione le stesse, sì da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata. –

Cassazione civile, Ordinanza 12 marzo 2021 n. 7029

Diritto alla provvigione del mediatore e conclusione dell’affare

Per riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 cod. civ. oppure per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. (Cassazione,civile, Ordinanza|11 marzo 2021 n. 6815).,

Sul prelievo di somme dalle casse sociali da parte di soci di una snc.

Il prelievo di somme dalle casse sociali da parte dei soci di una società di persone – che non trovino la loro esatta giustificazione in utili effettivamente conseguiti dalla società – comporta il sorgere del diritto della società di ripetere le somme, che sono state concretamente distribuite, nei confronti di ciascun socio che le abbia fatte proprie. (Cassazione civile, Ordinanza 4 marzo 2021 n. 6028)

Cassazione civile, Ordinanza 4 marzo 2021 n. 6028.

(…omissis…)

FATTI DI CAUSA

  1. – Nell’ottobre 2009, (OMISSIS) ha convenuto (OMISSIS) e (OMISSIS) avanti al Tribunale di Vicenza, per chiederne la condanna al pagamento di talune somme di danaro.
    A fondamento della propria richiesta, l’attore ha affermato che i detti soggetti avevano effettuato una serie di “prelievi non autorizzati” dal conto corrente bancario e dalle casse della s.n.c. ” (OMISSIS) – (OMISSIS) & (OMISSIS) (come poi modificata nella s.n.c. (OMISSIS) e (OMISSIS)), di cui all’epoca erano soci; e che, in prosieguo di tempo, la societa’ aveva ceduto i relativi crediti restitutori alla sua persona.
  2. – Con sentenza pubblicata nel giugno 2017, il Tribunale ha accolto la pretesa attorea.
  3. – (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno impugnato la decisione avanti alla Corte di Appello di Venezia.
    Questa, con sentenza depositata in data 11 luglio 2019, ha rigettato l’impugnazione.
  4. – “Non v’e’ dubbio” – ha rilevato la Corte territoriale – “che i prelievi effettuati sono illegittimi, mancando l’approvazione del bilancio che deve certificare l’esistenza di utili, proprio a norma dell’articolo 2303 c.c. richiamato da parte appellante, a tenore del quale “non puo’ farsi luogo a ripartizioni di somme tra soci, se non per utili realmente conseguiti” (Cass., n. 25864/2014)”. “Di fronte a questa previsione di legge” – si e’ altresi’ precisato – “non rileva una volonta’ contraria o differente, quand’anche espressa da tutti i soci”.
  5. – Avverso questa pronuncia, (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno presentato ricorso per cassazione, affidato a un motivo.
    Ha resistito, con controricorso, (OMISSIS).
  6. – Entrambe le parti hanno anche depositato memorie.
    RAGIONI DELLA DECISIONE
  7. – Il motivo di ricorso lamenta la “violazione degli articoli 2262 2304 c.c. e degli articoli 2247-2252 c.c.”. La societa’ di persone – cosi’ assume, nello specifico, il ricorrente – “non puo’ pretendere dai propri soci la restituzione degli utili da essi concordemente distribuiti”.
    Ne consegue – si puntualizza – che ” (OMISSIS), avendo agito quale cessionario del credito della s.n.c. ” (OMISSIS) – (OMISSIS)” era per cio’ stesso privo della titolarita’ attiva, appunto perche’ tale titolarita’ attiva non spettava nemmeno alla societa’ cedente”.
  8. – A base e fondamento dell’opinione cosi’ manifestata, il ricorrente pone due serie di ragioni in se’ distinte, pur se assunte come tra loro collegate.
    8.1.- Il primo ordine di rilievi si dipana lungo questa sequenza argomentativa: “la societa’ in nome collettivo non e’ una persona giuridica distinta dalle persone fisiche dei soci che la compongono”; “e’ concettualmente errato e insostenibile affermare che i prelievi hanno recato danno alla societa’”: “la societa’ in nome collettivo non patisce di per se’ alcun danno”; a essere pregiudicato e’ “semmai il suo patrimonio, che e’ separato da quello dei soci”: ma, in simili ipotesi, comunque la “societa’ in nome collettivo non ha alcuna azione contro i propri soci, appunto perche’ essa non e’ una distinta persona giuridica”.
    Di conseguenza, la societa’ di persone, se “hanno autonomia patrimoniale (seppure imperfetta)”, “non hanno una volonta’ distinta da quella dei soci”.
    8.2. – L’altro ordine di rilievi si sostanzia nell’affermazione che, nell’ambito delle societa’ di persone, il consenso unanime dei soci e’ libero “di fare quello che vuole”. “L’atto costitutivo, come ogni contratto, e’ un negozio che ha rilevanza interna tra le parti”: ben puo’ essere “disapplicato”, per cio’, con il consenso di tutti soci.
    Si tratta, in qualunque caso, di diritti disponibili, si aggiunge. “A ben guardare non esiste alcuna norma che legittimi l’azione di chicchessia per “costringere” il socio di una societa’ di persone a restituire gli utili gia’ distribuiti per decisione unanime”. In realta’, “quando vi sia il consenso unanime dei soci” non vi e’ divieto di “distribuire attivita’ sociale, che non corrispondano a utili”. La volonta’ unanime dei soci – si puntualizza – “prevale su qualsiasi previsione sia statutaria e sia codicistica”: a differenza di quanto avviene nelle societa’ di capitali, ben possono venire ripartite somme che non rispondano a utili realmente conseguiti, come mostra la “diversa formulazione” delle norme dell’articolo 2262 c.c. (per le societa’ di persone) e dell’articolo 2433 c.c. (per le societa’ di capitali).
  9. – Il ricorso non merita di essere accolto.
    Ne’ il rilievo di ordine “soggettivo” (n. 8.1.), ne’ quello di taglio “oggettivo” (n. 8.2.), che il ricorrente e’ venuto a svolgere, si manifestano infatti fondati.
    10.- In relazione al primo profilo, si deve osservare che la giurisprudenza della Corte e’ consolidatissima nel ritenere che, nel sistema vigente, le societa’ di persone rappresentino dei veri e propri soggetti di diritto e come tali vadano considerate: quali centri, quindi, di imputazione di comportamenti e di situazioni giuridiche proprie e autonome, perche’ distinte da quelle dei soci (cfr., tra le tante, Cass., 25 gennaio 2016, n. 1261; Cass., 6 novembre 2014, n. 23676; Cass., 13 ottobre 2015, n. 20552; Cass., 20 gennaio 2021, n. 879; Cass. 27 aprile 2020, n. 8222; Cass. 17 gennaio 2002, n. 442).
    Questa valutazione viene correntemente fondata soprattutto sulle norme degli articoli 2266, 2659 e 2839 c.c.. La prima di queste disposizioni e’ esplicita in effetti nell’indicare che, al riguardo, i “diritti” e le “obbligazioni” si pongono direttamente in capo alla societa’, mentre le persone dei soci risultano solamente deputate a rendere, ed esercitare, la rappresentanza c.d. organica di tali soggetti (cfr., in proposito, la norma dell’articolo 1400 cod. civ).
    Nella stessa prospettiva, che cosi’ risulta tracciata, le altre due disposizioni chiariscono, poi, che (anche) le societa’ di persone rappresentano delle “entita’’” autosufficienti – e, dunque, pure isolate dalle persone dei soci – ai fini delle trascrizioni e delle iscrizioni ipotecarie.
  10. – Poste queste constatazioni di base, non v’e’ ragione – si deve d’altra parte rilevare – per non ritenere che le societa’ di persone possano essere titolari di diritto di credito anche nei confronti dei soci, al pari di quanto ben puo’ avvenire nei confronti di qualunque altro soggetto terzo. E cosi’ pure, a semplice titolo di esempio, per il caso di credito risarcitorio per responsabilita’ dei soci nella gestione delle cose sociali (e’ l’ipotesi esaminata dalla gia’ citata pronuncia di Cass., n. 1261/2016) e cosi’ anche per il caso, che viene rappresentato dal contesto della presente fattispecie, di credito alla restituzione di indebiti prelievi che siano stati posti in essere dai soci.
    Cio’ posto, e’ appena il caso di aggiungere che – in questo contesto (della distinta soggettivita’ delle societa’ di persone) ogni riferimento, o collegamento, all’ipotesi di una “volonta’” della societa’, che sia diversa da quella nel concreto formata dal consenso di tutti i suoi soci, si manifesta all’evidenza come mal posto, perche’ inteso a confondere, a mescolare il tema dell’imputazione di atti ed effetti alla societa’ con quello, ben diverso, della formazione della volonta’ della societa’, secondo termini poi da riscontrare come corretti e validi.
    12 .- Nemmeno puo’ essere condivisa l’altra opinione espressa dal ricorso, per cui le societa’ di persone potrebbero liberamente distribuire, nel corso della loro vita, somme e altre utilita’ sociale ai soci, sol che questi vi consentano unanimi (cfr. sopra, n. 8.2.)
    Secondo quanto correttamente osservato dalla sentenza impugnata, questa tesi urta – e frontalmente, bisogna pure aggiungere – contro il disposto dell’articolo 2303 c.c., per cui, nella societa’ in nome collettivo, “non puo’ farsi luogo a ripartizione di somme tra soci, se non per utili realmente conseguiti”.
    Una “ripartizione” di somme puo’ dunque avvenire, nel corso dello svolgimento di questi tipi di societa’, solo allorche’ si tratti di “utili” e sempre nel rispetto della condizione che si abbia sicura contezza dell’effettivo conseguimento degli stessi (per il puntuale rilievo per cui nelle societa’ di persone, se l’amministratore non presenta il rendiconto annuale, il socio subisce – non percependo gli utili che nel caso gli spettino – un danno diretto e immediato, che e’ risarcibile sulla falsariga della misura disposta, per le societa’ di capitali, dalla norma dell’articolo 2395 c.c., si veda la gia’ citata pronuncia di Cass., n. 1261/2016).
  11. – La giurisprudenza di questa Corte ha, in effetti, piu’ volte affermato che, “nelle societa’ di persone, il diritto del singolo socio a percepire gli utili e’ subordinato, ai sensi dell’articolo 2262 c.c., all’approvazione del rendiconto, situazione contabile che equivale, quanto ai criteri di valutazione, a quella di un bilancio” (cfr. Cass., 31 dicembre 2013, n. 28806; Cass. 4 luglio 2018, n. 17489; Cass., n. 789/2021; nella medesima direzione si puo’ gia’ vedere, peraltro, la decisione resa da Cass., 17 febbraio 1996, n. 1240).
    Come pure questa Corte ha coerentemente ritenuto, tra le altre cose, che il calcolo degli utili ripartibili tra i soci ai sensi dell’articolo 2303 c.c. “non puo’ essere operato che sul patrimonio effettivo della societa’ e dunque ripianando anzitutto integralmente la perdita subita nell’esercizio precedente e riportata a nuovo nell’esercizio successivo” (cfr. Cass., 3 gennaio 2017, n. 23).
  12. – Non puo’ poi ipotizzarsi che la detta regola sia suscettibile di deroghe pattizie, come afferma essere per contro cosa certa il ricorrente. Cardine del vigente sistema di organizzazione normativa delle imprese societarie, la regola per cui puo’ farsi luogo a ripartizione di somme fra soci solo per utili realmente conseguiti possiede, in realta’, sicura natura imperativa.
    Lo mostra, prima di tutto, la constatazione che essa risulta presidiata – anche per la specifica area delle societa’ di persone – da un’apposita sanzione penale nei confronti degli amministratori, che “ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti” (articolo 2627 c.c.).
    Lo conferma, inoltre, la notazione, in via espressa formulata dalla gia’ richiamata pronuncia di Cass., n. 17489/2018, secondo cui la distribuzione di utili, che non siano stati effettivamente conseguiti, e’ fenomeno che tende, per sua propria natura, a produrre un “rimborso mascherato dei conferimenti”.
    Nel vigente sistema delle societa’ di persone, in effetti, la quota di patrimonio corrispondente al conferimento a suo tempo eseguito puo’ essere restituito al socio solo nei casi di scioglimento del rapporto ai sensi dell’articolo 2284 c.c. e ss. e articolo 2275 c.c., comma 2, che sono tassativi (come si desume, se non altro, dalla norma dell’articolo 2285 c.c., comma 2). Oppure nel caso di scioglimento dell’intero rapporto sociale, ai sensi degli articoli 2272 c.c. e ss.: la “ripartizione dei beni sociali” rimanendo qui condizionata, pero’, al previo pagamento dei creditori sociale ai sensi dell’articolo 2290 c.c. (cfr. Cass., 6 maggio 2015, n. 9124).
  13. – Non potrebbe, d’altra parte, essere ritenuta d’ostacolo alla svolta lettura la circostanza che la norma dell’articolo 2262 c.c. nel dichiarare il diritto del socio a percepire la “sua parte di utili dopo l’approvazione del rendiconto” – fa salvo il “patto contrario”.
    Questa possibilita’ si mostra infatti riferita, secondo la piana lettura del testo normativo, alla possibilita’ di “limitare” – non gia’ di “espandere” – il diritto del socio alla percezione degli utili di periodo; e cosi’, in specie, alla possibilita’ che lo statuto sociale venga a subordinare – durante la vita della societa’ – la distribuzione degli utili al consenso di particolari maggioranze dei soci.
  14. – Nel sistema in oggi vigente, gli utili di periodo si formano in relazione all’esito dei singoli esercizi sociali, secondo quanto dispone la norma generale dell’articolo 2217 c.c.: esercizio annuale per esercizio annuale, quindi.
    Le societa’ di persone non conoscono, d’altra parte, la possibilita’ di distribuire degli acconti sui dividendi. La contraria opinione, che il ricorrente e’ venuto ad affacciare, trascura, se non altro, il disposto dell’articolo 2433 bis c.c. (per cui la relativa possibilita’ risulta attualmente “consentita solo alle societa’ il cui bilancio e’ assoggettato per legge a revisione legale dei conte, secondo il regime previsto dalle leggi speciali per gli enti di interesse pubblico”).
  15. – Dal testo delle norme dell’articolo 2433 c.c., comma 4, e articolo 2433-bis c.c., comma 7, si ritrae agevolmente – e’ ancora da aggiungere – la sicurezza che la distribuzione di utili non effettivamente conseguiti configura un’ipotesi di indebito oggettivo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2033 c.c..
  16. – Da tutto cio’ deriva che il prelievo di somme dalle casse sociali da parte dei soci – che non trovino la loro esatta giustificazione in utili effettivamente conseguiti dalla societa’ comporta senz’altro il sorgere del diritto della societa’ di ripetere le somme, che sono state concretamente distribuite, nei confronti di ciascun socio che le abbia fatte proprie.
  17. – Le spese seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
    P.Q.M.
    La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimita’, liquidate in complessivi Euro 6.100,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
    Da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.