Nel preliminare di compravendita, il promissario acquirente, se esiste un pericolo concreto ed attuale di evizione del bene promesso in vendita, può rifiutarsi di stipulare il definitivo.

Nel preliminare di compravendita, il promissario acquirente può, in applicazione analogica dell’art. 1481 c.c., rifiutarsi di addivenire alla stipula del definitivo, qualora sussista un pericolo concreto ed attuale di evizione del bene promesso in vendita, anche se questo pericolo non sia stato determinato da colpa del promittente venditore, essendo l’estremo della colpevolezza necessario unicamente per la responsabilità da inadempimento (Cassazione civile, sentenza n .31314 del 29.11.2019)

Cassazione civile, Sentenza 29 novembre 2019, n. 31314

Cassazione civile, Sentenza 29 novembre 2019, n. 31314
( …Omissis…)
FATTI DI CAUSA
In data 25 novembre 2005 la promittente alienante (OMISSIS) s.r.l. e il promissario acquirente (OMISSIS) stipulavano un preliminare di compravendita per il prezzo di Euro 425.000,00 relativo ad un’unita’ abitativa sita nel complesso (OMISSIS).
In data 27 dicembre 2006 sul complesso immobiliare era trascritta da tal (OMISSIS) una domanda giudiziale di nullita’ o annullamento dell’acquisto di (OMISSIS), in ragione della quale il (OMISSIS) rifiutava la stipula dell’acquisto definitivo del bene, infine dalla societa’ venduto a terzi.
Adito dal (OMISSIS), il Tribunale di Verona, con sentenza non definitiva, dichiarava risolto il preliminare per inadempimento di (OMISSIS) e questa condannava a restituire la caparra confirmatoria di Euro 45.000,00, rimettendo la causa sul ruolo ai fini dell’istruttoria di un’ulteriore questione (entita’ dei lavori extracapitolato richiesti dal (OMISSIS) ed eseguiti da (OMISSIS)).
L’appello immediato proposto da (OMISSIS) era respinto, con aggravio delle spese del grado.
La soccombente ricorre per cassazione sulla base di cinque motivi.
Il (OMISSIS) resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli articoli 1218, 1453, 1481 c.c. e omesso esame di fatto decisivo, per aver il giudice d’appello ritenuto che il promissario acquirente sia legittimato a non stipulare il definitivo quand’anche il pericolo di rivendica non sia attribuibile a colpa del promittente venditore, e per aver quindi il giudice omesso di considerare che la “trascrizione (OMISSIS)” era stata subita da (OMISSIS) senza propria colpa.
    1.1. Il primo motivo e’ infondato.
    Dispone l’articolo 1481 c.c., che “il compratore puo’ sospendere il pagamento del prezzo, quando ha ragione di temere che la cosa o una parte di essa possa essere rivendicata da terzi, salvo che il venditore presti idonea garanzia” (comma 1); “il pagamento non puo’ essere sospeso se il pericolo era noto al compratore al tempo della vendita” (comma 2).
    Presidio del sinallagma funzionale della vendita, la disposizione si applica per analogia al preliminare di vendita, sicche’ il promissario acquirente puo’ rifiutarsi di concludere il definitivo ove vi sia pericolo di evizione del bene a lui promesso (Cass. 26 gennaio 1985, n. 402; Cass. 18 novembre 2011, n. 24340; Cass. 21 maggio 2012, n. 8002).
    Il pericolo di evizione deve essere concreto ed attuale, non astratto o ipotetico come, di per se’, il pericolo di revocatoria derivante dal fallimento del dante causa del promittente venditore (Cass. 22 giugno 1994, n. 5979; Cass. 22 febbraio 2016, n. 3390) o il pericolo di riduzione scaturente dalla provenienza donativa del bene (Cass. 17 marzo 1994, n. 2541; Cass. 27 marzo 2019, n. 8571).
    L’irrilevanza dei pericoli solo teorici riflette il limite della buona fede, che il mezzo speciale di autotutela ex articolo 1481 c.c., ripete dalla disciplina generale dell’eccezione di inadempimento ex articolo 1460 c.c. (Cass. 6 aprile 1987, n. 3323; Cass. 21 maggio 2012, n. 8002).
    Questa Corte ha precisato che la trascrizione di una domanda giudiziale contro il promittente venditore diretta a conseguire il trasferimento del bene promesso in vendita determina in capo al promissario acquirente un pericolo concreto e attuale di evizione, sicche’ il rifiuto di quest’ultimo di addivenire al definitivo prima della cancellazione della trascrizione non e’ contrario a buona fede (Cass. 18 novembre 2011, n. 24340).
    Si e’ anche segnalato che quella prevista dall’articolo 1481 c.c., e’ una garanzia, la quale opera per il fatto obiettivo del serio pericolo di evizione, a prescindere dalla colpa del venditore (Cass. 21 maggio 2012, n. 8002).
    Seguendo il nesso logico-sistematico tra l’autotutela ex articolo 1481 c.c. e l’autotutela ex articolo 1460 c.c., si rammenta quanto deciso circa la mancanza delle qualita’ promesse, che legittima il compratore a sollevare l’eccezione di inadempimento a prescindere dalla colpa del venditore, essendo obiettivamente meritevole di tutela l’interesse dell’acquirente a non eseguire la prestazione in difetto di controprestazione e a non trovarsi, cosi’, in una situazione deteriore rispetto a controparte (Cass. 21 aprile 2015, n. 8102).
    Nell’insistere sulla necessita’ della colpa del venditore quale elemento costitutivo della fattispecie di cui all’articolo 1481 c.c. e nel paventare l’avversa configurazione di una “responsabilita’ oggettiva” (pag. 23 di ricorso), l’odierna ricorrente pare sovrapporre concettualmente la garanzia per evizione e la responsabilita’ per inadempimento del venditore, tanto da esigere anche per la prima l’estremo della colpevolezza, viceversa necessario unicamente per la seconda (sulla natura oggettiva delle garanzie ex empto, contrapposta alla natura soggettiva della responsabilita’ per inadempimento del venditore, Cass. 22 giugno 2006, n. 14431; Cass. 17 settembre 2015, n. 18259).
    Il rigetto del motivo in esame segue questo principio di diritto: “nel preliminare di compravendita, in applicazione analogica dell’articolo 1481 c.c., il promissario acquirente puo’ rifiutarsi di addivenire alla stipula del definitivo qualora sussista un pericolo concreto e attuale di evizione del bene promesso, anche se tale pericolo non sia stato determinato da colpa del promittente venditore”.
  2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione dell’articolo 1481 c.c. e omesso esame di fatto decisivo, per aver il giudice d’appello ritenuto che la garanzia idonea a neutralizzare il pericolo di rivendica debba avere caratteristiche tipiche, e per aver egli omesso quindi di considerare l’idoneita’ delle garanzie offerte dai soci di (OMISSIS).
    2.1. Il secondo motivo e’ inammissibile.
    Il giudice d’appello non ha propriamente affermato che, per essere idonea agli effetti dell’articolo 1481 c.c., la garanzia debba essere, in astratto, di un certo tipo; egli si e’ limitato a valutare l’idoneita’ concreta della garanzia personale offerta dai soci di (OMISSIS), e ha concluso che questa non era tale da assicurare al (OMISSIS) l’equivalente del potenziale danno da evizione.
    In particolare, il giudice d’appello ha osservato che l’offerta di semplici garanzie personali non era concretamente idonea, soprattutto perche’ accompagnata da un espresso rifiuto di procurare una fideiussione bancaria (pag. 24 di sentenza).
    Cio’ che peraltro assume speciale valenza in un quadro di notevole esposizione patrimoniale dei soci di (OMISSIS), essendo pacifico l’avvenuto rilascio di ulteriori fideiussioni personali a vantaggio di altri promissari acquirenti (pag. 27 di ricorso).
    Non sussiste la denunciata violazione di legge, quindi, ne’ il denunciato omesso esame, e si registra, invece, il tentativo della ricorrente di ottenere una riedizione del giudizio di fatto, il che e’ inammissibile, pena la surrettizia trasformazione del giudizio di legittimita’ in terzo grado di merito (Cass. 4 aprile 2017, n. 8758).
  3. Il terzo motivo di ricorso denuncia omesso esame di fatto decisivo, per non aver il giudice d’appello considerato che il preliminare si era risolto col rifiuto del (OMISSIS) di addivenire alla stipula del definitivo, e per aver il giudice ignorato che la successiva proposta di (OMISSIS) di stipulare comunque il definitivo dietro pagamento dei lavori extracapitolato aveva natura meramente compositiva.
    3.1. Il terzo motivo e’ inammissibile.
    Nell’economia della decisione d’appello, il passaggio sulla liquidazione dei lavori extracapitolato assume un significato meramente incidentale, tanto da essere introdotto dalla perentoria locuzione “a prescindere affatto… ” (pag. 25 di sentenza).
    Vale il principio secondo il quale e’ inammissibile per difetto di interesse la censura di legittimita’ verso argomenti ad abundantiam ed obiter dicta, poiche’ questi, essendo privi di effetti giuridici, non hanno alcuna influenza sul dispositivo della sentenza d’appello (Cass. 5 giugno 2007, n. 13068; Cass. 22 ottobre 2014, n. 22380; Cass. 18 dicembre 2017, n. 30354; Cass. 10 aprile 2018, n. 8755).
  4. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione dell’articolo 2668 c.c. e omesso esame di fatto decisivo, per non aver il giudice d’appello considerato che il (OMISSIS) aveva trascritto la domanda ex articolo 2932 c.c. e non aveva prestato l’assenso alla cancellazione, pur sapendo che essa non avrebbe potuto essere coltivata per l’anteriore trascrizione dell’acquisto altrui, tanto da avere infine rinunciato ad essa e da averla sostituita con la domanda di risoluzione del preliminare.
    4.1. Il quarto motivo e’ infondato.
    Nel confermare il rigetto dell’istanza di responsabilita’ aggravata proposta in primo grado da (OMISSIS), il giudice d’appello non ha omesso alcun esame, e anzi ha espresso due specifiche rationes decidendi.
    L’una ratio concerne l’impossibilita’ di ritenere in colpa il (OMISSIS) per non esser egli tornato a consultare i registri immobiliari dopo la notifica della citazione ex articolo 2932 c.c. e prima della relativa trascrizione (pag. 26-27 di sentenza); l’altra concerne l’impossibilita’ per il (OMISSIS) di promuovere la cancellazione della domanda anteriormente al giudicato (pag. 27-28 di sentenza).
    La prima ratio esprime una valutazione di merito sulla “normale prudenza”, quale presupposto della responsabilita’ aggravata da trascrizione ex articolo 96 c.p.c., apprezzamento insindacabile dal giudice di legittimita’, essendo precluso ratione temporis il controllo di sufficienza della motivazione (Cass. 29 settembre 2016, n. 19298).
    L’altra ratio evidenzia un error iuris, tuttavia innocuo, laddove esclude la cancellazione “debitamente consentita” dal trascrivente, invece ammessa dall’articolo 2668 c.c.; errore innocuo, tuttavia, ed emendabile sul piano motivazionale ex articolo 384 c.p.c., comma 4, in quanto l’intervenuta rinuncia alla domanda trascritta rendeva il consenso dell’attore non indispensabile alla cancellazione, l’articolo 2668 c.c., prevedendo l’ordine giudiziale di cancellazione nell’ipotesi di rinuncia (estesa alla cessazione della materia del contendere da Cass. 4 maggio 1994, n. 4331; Cass. 30 aprile 1997, n. 304).
  5. Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione dell’articolo 91 c.p.c., per aver il giudice d’appello condannato (OMISSIS) alla rifusione delle spese del grado.
    5.1. Il quinto motivo e’ inammissibile.
    Il giudice d’appello ha regolato le spese del grado in base al principio di soccombenza, e la ricorrente non specifica – come invece suo onere (Cass. 8 marzo 2007, n. 5353; Cass. 29 novembre 2016, n. 24298) – quale violazione di legge sia in cio’ rinvenibile.
  6. Il ricorso deve essere respinto, con aggravio di spese processuali e raddoppio del contributo unificato.
    Vi e’ distrazione delle spese, giusta istanza di controricorso, reiterata in memoria.
    P.Q.M.
    Rigetta il ricorso.
    Condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge; con distrazione in favore dell’Avv. (OMISSIS).
    Dichiara che la ricorrente ha l’obbligo di versare l’ulteriore importo per contributo unificato ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.

Cassazione civile, sentenza n.1119 del 20 gennaio 2020

(…omissis…)

Con decreto del 13 maggio 2014, il Tribunale di Roma rigettava l’istanza con la quale (…omissis…) aveva chiesto, ex art. 9 della L. n. 898 del 1990, di essere assolto dall’obbligo di corrispondere all’ex coniuge (…omissis…)l’assegno di divorzio, e di vedersi ridotto l’assegno per il mantenimento della figlia, con la corresponsione del versamento diretto in favore della stessa.
Il reclamo dell’obbligato veniva rigettato dalla Corte d’Appello di Roma, che, con decreto in data 19.7.2016, osservava che il procedimento intrapreso non costituiva un mezzo per la revisione delle determinazioni assunte in sede di divorzio, ma era, in tesi, volto ad emendare l’alterazione dell’assetto economico delle parti dovuto a circostanze sopravvenute rispetto a quelle statuizioni: il reclamo del (…omissis…)rilevava la Corte territoriale, mirava, invece, ad una loro rivisitazione, in quanto le circostanze dedotte erano in prevalenza già presenti al momento della pronuncia, e comunque da essa considerate.
Per la cassazione del decreto, ha proposto ricorso l’obbligato, sulla scorta di nove motivi, resistiti con controricorso dalla (…omissis…)
Con ordinanza interlocutoria del 18.1.2019, questa Corte ha disposto la trattazione della causa in pubblica udienza, trattandosi di questione di rilievo nomofilattico, previa acquisizione di una relazione da parte dell’Ufficio del Massimario. Le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE.

  1. Col primo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 9 della L. n. 898 del 1990, lamentando che la Corte non ha considerato il fatto decisivo dell’ammontare del reddito da lavoro della controricorrente, reddito che era sostanzialmente raddoppiato nel 2015, rispetto a quello considerato in seno alla pronuncia di divorzio del gennaio 2012. Era, dunque, documentalmente dimostrato che si trattava di una circostanza sopravvenuta a tale decisione, e tanto comportava, appunto, la violazione dell’art. 9 della L. n. 898 del 1990.
  2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta che la Corte è incorsa in vizio di motivazione e, nuovamente, nella violazione dell’art. 9 della L. n. 898 del 1990, nel considerare la sua condizione di pensionato inidonea ad alterare l’equilibrio economico tenuto presente in sede di determinazione dell’assegno.
  3. Con il terzo motivo, l’ex marito critica, in riferimento all’art. 9 della L. n. 898 del 1990, le conclusioni della Corte territoriale, che, nonostante l’esatta considerazione secondo cui nel giudizio di revisione deve “essere valutata l’evoluzione delle condizioni economiche degli ex coniugi”, aveva, poi, omesso di procedere al raffronto dei redditi degli stessi, il cui esame avrebbe evidenziato un forte sopravvenuto squilibrio nelle condizioni delle parti.
  4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta che la Corte è incorsa nella violazione dell’art. 115 c.p.c., 2727 e 2729 c.c. e 171 del d.P.R. n. 18 del 1967, laddove ha ritenuto di poter presumere che, avendo egli conseguito redditi significativi nel passato, disponga ancora, nell’attualità, di una consistente liquidità, nell’assenza di ogni prova sul punto.
  5. Con il quinto motivo, l’ex marito censura la decisione della Corte territoriale, per aver omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nel peggioramento delle sue condizioni di salute, essendo stato affetto da
  6. Col sesto ed il settimo motivo, il ricorrente addebita nuovamente alla Corte di merito la violazione dell’art. 9 della L. n. 898 del 1990 e l’omesso esame dei fatti decisivi, per non aver, rispettivamente, tenuto conto degli oneri derivanti dalla necessità di fornire un sostegno economico all’anziana madre, nonché dall’aver contratto nuovo matrimonio.
  7. Con l’ottavo motivo, l’ex marito censura, in relazione ai profili di violazione dell’art. 9 della L n. 898 del 1990 e di nullità del procedimento, la decisione assunta dalla Corte d’Appello per non aver tenuto conto del significativo miglioramento della posizione economica della ex moglie “in forza di acquisizione ereditaria”.
  8. Con il nono motivo, il ricorrente critica la decisione assunta
    dalla Corte di merito per non avere esaminato il fatto decisivo relativo
    alle “altre entrate” della ex moglie.
  9. In sede di memoria, in vista dell’adunanza del 3 dicembre
    2018, il ricorrente ha invocato l’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte in tema di assegno divorzile (Cass. n. 11504 del 2017 e SU n. 18287 del 2018) intervenuta in epoca successiva al deposito della decisione impugnata, ed ha insistito per la valutazione delle sue censure al lume del rinnovato quadro giurisprudenziale.
  10. Al riguardo, appare opportuno premettere che, con la sentenza delle SU di questa Corte n. 11490 del 1990, è stato affermato il carattere esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile, il cui presupposto è stato individuato nell’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge istante a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, ed il cui ammontare da liquidare in base alla valutazione ponderata dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio.
    Tale orientamento, rimasto fermo per un trentennio, è stato modificato con la menzionata sentenza n. 11504 del 2017 di questa Corte, che, muovendo anch’essa dalla premessa sistematica relativa alla distinzione tra il criterio attributivo e quello determinativo, ha affermato che il parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante deve essere valutato al lume del principio dell’autoresponsabilità economica di ciascun coniuge, ormai “persona singola”, ed all’esito dell’accertamento della condizione di non autosufficienza economica, da determinare in base ai criteri indicati nella prima parte della norma.
    Con la recente sentenza n. 18287 del 2018 le Sezioni Unite di questa Corte sono nuovamente intervenute nella materia, e, nell’ambito di una complessiva sua riconsiderazione, hanno ritenuto che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi o all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive del coniuge richiedente sia da riconnettere alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli durante lo svolgimento della vita matrimoniale e da ricondurre a determinazioni comuni, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età di detta parte, ed hanno affermato i seguenti principi di diritto, così riportati nelle massime ufficiali:
    a) all’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo- compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate;
    b) la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi;
    c) il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico- patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.
  11. Si pone dunque la questione dell’applicabilità di tali nuovi principi nell’ipotesi, qui in esame, di domanda di revisione dell’assegno divorzile già riconosciuto, ed in ispecie se sia a tal fine necessario il previo accertamento dei giustificati motivi sopravvenuti o se il mutamento di natura e funzione dell’assegno divorzile, affermato da questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica, costituisca ex se giustificato motivo valutabile ai sensi dell’art. 9 legge divorzio.
  12. Il Collegio ritiene corretta la prima di dette opzioni. Queste le
    ragioni
    Dispone l’art. 9 comma 1 della L n. 898 del 1970 che: “Qualora
    sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio … può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni … relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6.”
  13. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, “la revisione dell’assegno divorzile di cui all’art. 9 della L. n. 898 del 1970 postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e adeguare l’importo, o lo stesso obbligo della contribuzione, alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata”(Cass. n. 787 del 20917 e n. 11177 del 2019).
  14. Il principio si coniuga con quello secondo cui in tema di statuizioni c.d. determinative il giudicato si forma sempre rebus sic stantibus e cioè esso è modificabile in caso di successive variazioni di fatto, le quali, per avere rilevanza, devono, poi, esser dedotte mediante l’esperimento dell’apposito procedimento di revisione, fermo restando che il diritto a percepirlo di un ex coniuge ed il corrispondente obbligo dell’altro a versarlo, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di divorzio, conservano la loro efficacia sino a quando non intervenga la modifica di tale provvedimento, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’assegno, talchè “in mancanza di specifiche disposizioni, in base ai principi generali relativi all’autorità, intangibilità e stabilità, per quanto temporalmente limitata (rebus sic stantibus), del precedente giudicato impositivo del contributo di mantenimento, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza anticipata al momento dell’accadimento innovativo, rispetto alla data della domanda di modificazione”ccass. n. 16173 del 2015; cfr. pure Cass. n. 17689 del 2019, in tema di opposizione a precetto).
  15. Va, per altro verso, sottolineato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della regula iuris, non già creativa della stessa, e che, come di recente affermato dalle SU di questa Corte, con la sentenza n. 4135 del 2019, l’interpretazione delle norme giuridiche da parte della Corte di Cassazione e, in particolare, delle Sezioni Unite mira ad una tendenziale stabilità e valenza generale, sul presupposto, tuttavia, di una efficacia non cogente ma solo persuasiva, trattandosi di attività consustanziale all’esercizio stesso della funzione giurisdizionale, sicché un mutamento di orientamento reso in sede di nomofilachia non soggiace al principio di irretroattività, non è assimilabile allo ius superveniens ed è suscettibile di essere disatteso dal giudice di merito. Deve, ancora, aggiungersi che un orientamento del giudice della
    nomofilachia cessa di essere retroattivo come, invece, dovrebbe essere in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, e può quindi parlarsi di prospective overruling, a condizione determinate, prima tra di esse che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo, e non anche, come nella specie, su disposizioni di natura sostanziale (Cass. SU n. 4135 del 2019, cit. Cass. 13 settembre 2018, n. 22345; 18 luglio 2016, n. 14634; 24 marzo 2014, n. 6862; 3 settembre 2013, n. 20172; 11 marzo 2013, n. 5962).
  16. Da quanto sin qui esposto, discende che il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto ed è necessario, a monte, che esso sia accertato dal giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell’assegno divorzile, da rendersi, poi, al lume dei rinnovati principi giurisprudenziali. Pur considerando l’ampiezza della formula adottata dal legislatore, consentire, come auspica parte della dottrina, l’accesso al rimedio della revisione dando alla formula dei “giustificati motivi” un significato che si riferisca alla sopravvenienza di tutti quei motivi che possano far sorgere l’interesse ad agire per il mutamento, tra i quali, quindi, anche a una diversa interpretazione avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, pare al Collegio opzione esegetica non percorribile, in quanto non considera che l’interpretazione giurisprudenziale costituisce una chiave di lettura dei dati di fatto rilevanti per il diritto e non li produce essa stessa né nel mondo fenomenico né, come si è visto, quale fonte normativa.
    Il timore che in tal modo possono ingenerarsi differenze nel trattamento dei destinatari dei comandi giudiziari, a seconda che il giudizio di revisione trovi o meno base nel verificarsi di fatti sopravvenuti, non ha ragion d’essere tenuto conto che in assenza di essi il diritto all’assegno poggia sul giudicato rebus sic stantibus, che comprende i parametri complessivi al riguardo valutati, e considerato, peraltro, che, anche, nel diverso caso di successione della legge nel tempo, l’applicazione della nuova legge trova, com’è noto, il suo limite nell’intervenuto giudicato sul rapporto dedotto in giudizio, senza che ciò comporti un vulnus al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. rientrando nella discrezionalità del legislatore di modificare nel tempo la disciplina giuridica degli istituti (salvo l’ambito penale in considerazione della gravità con cui le sanzioni penali incidono sulla libertà o su altri interessi fondamentali della persona, cfr. in tema di retroattività degli effetti delle pronunce di illegittimità costituzionale Corte Cost. n. 43 del 2017 e n. 10 del 2015).
    Non va sottaciuto, poi, che ammettere che un mutamento di orientamento giurisprudenziale possa integrare uno dei “giustificati motivi” che consentono la revisione delle statuizioni in materia di revisione dell’assegno divorzile importerebbe conseguenze incongrue, sia nell’ipotesi di un successivo mutamento giurisprudenziale, sia nell’ipotesi in cui il giudice del merito, non tenuto per legge al principio dello stare decisis, non aderisse alla nuova linea interpretativa, anche resa in sede nomofilattica da questa Corte.
  17. Procedendo alla luce di tali principi, alla valutazione dei motivi di ricorso, essi vanno dichiarati inammissibili.
  18. Le plurime doglianze riferite alla violazione dell’art. 9 della L n. 898 del 1970 non considerano che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, quando, come nella specie, si alleghi un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa il vizio è esterno all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, nei limiti previsti dal nuovo testo del numero 5 dell’art. 360 comma l c.p.c. che, da una parte, ha circoscritto il sindacato di legittimità sulla motivazione alla sola verifica della violazione del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, co 6, Cost., individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione
    dell’art. 132, co 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza e qui non ricorrenti, e, dall’altra, ha introdotto il vizio di omesso esame di un fatto che sia decisivo ed oggetto di discussione tra le parti.
  19. A tale stregua, le censure non considerano che i fatti in esse dedotti sono stati puntualmente oggetto di specifica disamina da parte della Corte romana, che ha, in ispecie, affermato che le circostanze allegate (reddito di lavoro della donna, effetti del pensionamento del marito, incidenza di disponibilità finanziarie, oneri derivanti dall’accudimento della madre da parte del ricorrente, contrazione di nozze da parte dello stesso, acquisizioni ereditarie da parte di lei) non erano sopravvenute (tanto che il giudice del divorzio aveva attribuito valore al pensionamento dell’obbligato in sede di determinazione del quantum) e non assumevano carattere significativo, id est non erano decisive.
  20. Se la mancata considerazione dello stato di salute del
    ricorrente non appare decisiva, non avendo egli dedotto in che modo
    tale fatto abbia negativamente inciso nel suo reddito, l’addebito oggetto del quarto motivo non incontra la decisione, in quanto cià;la Corte ha considerato non è la natura giuridica delle indennità percepite all’estero, quanto piuttosto le disponibilità finanziarie dell’obbligato dal lavoro all’estero, in altri termini, ciò che viene contestato non è il procedimento logico secondo cui il giudice del merito ha desunto l’esistenza di un fatto ignoto dalla presenza di un fatto noto secondo la normalità dei casi, ma, a monte, l’accertamento del fatto noto (percezione di redditi) il che costituisce puro merito. Né può utilmente invocarsi l’art. 115 c.p.c., la cui violazione è deducibile se il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, mentre detta violazione non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice abbia valutato tali prove in modo non condiviso da una di dette parti, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che demanda, appunto, in via esclusiva, al giudice del merito la ricostruzione in fatto della vicenda; disposizione che il motivo tende, al dunque, ad aggirare.
    Resta da aggiungere che la mancata valutazione delle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà rese dall’odierno ricorrente, provenendo dallo stesso obbligato, non possono assurgere a fonte di prova nei confronti dell’ex moglie.
  21. L’insussistenza di fatti sopravvenuti vale, ovviamente, anche in relazione alla richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento in favore della figlia, ed a quella di versamento diretto, come, del resto, già evidenziato dalla Corte territoriale.
  22. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Trattandosi di procedimento esente, non è dovuto il raddoppio del contributo unificato
    P .Q.M.
    Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano in € 5.200,00 di cui € 200,00 per spese vive oltre accessori. In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
    Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019

Conclusione dell’affare nella mediazione immobiliare

Al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare si deve ritenere concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore, si è costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all’art. 2932 cod. civ., oppure per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. (Cassazione civile, sentenza 19 novembre 2019, n. 30083)

L’appaltatore è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente.

L’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, nel caso in cui siano palesemente errate, non incorre in responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. (Cassazione civile, Sentenza 18 novembre 2019, n. 29864)

Nella separazione personale dei coniugi, il provvedimento di assegnazione della casa familiare determina una cessione “ex lege” del relativo contratto di locazione a favore del coniuge assegnatario

Nella separazione personale dei coniugi, il provvedimento di assegnazione della casa familiare determina una cessione “ex lege” del relativo contratto di locazione a favore del coniuge assegnatario e l’estinzione del rapporto in capo al coniuge che ne fosse originariamente conduttore, anche nell’ipotesi in cui entrambi i coniugi abbiano sottoscritto il contratto di locazione; pertanto, l’ignoranza, da parte del locatore, della successione “ex lege” non incide sul perfezionamento della cessione, ma assume rilevanza ai soli fini dell’opponibilità della stessa al locatore ceduto. (Cassazione civile, Sentenza 7 novembre 2019, n. 28615)