Responsabilità dei genitori per i fatti illeciti causati dai figli minori – art 2048 c.c.

In relazione all’interpretazione della disciplina prevista nell’art. 2048 cod. civ., è necessario che i genitori, al fine di fornire una sufficiente prova liberatoria per superare la presunzione di colpa dalla suddetta norma desumibile, offrano non la prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire il fatto (atteso che si tratta di prova negativa), ma quella positiva di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata; il tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere e all’indole del minore. L’inadeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore, fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecito dal suddetto commesso, può essere desunta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell’art. 147 cod. civ. Non è conforme a diritto, invece, per evidente incompatibilità logica, la valutazione reciproca, e cioè che dalle modalità del fatto illecito possa desumersi l’adeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza esercitata. ( Cassazione civile sentenza n. 24475 del 18 novembre 2014)

Illecito aquiliano – liquidazione del danno non patrimoniale

In materia di illecito aquiliano, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale il giudice di merito, procedendo alla necessaria valutazione equitativa di tutte le circostanze del caso concreto, non deve tenere conto della realta’ socio-economica nella quale la somma liquidata e’ destinata ragionevolmente ad essere spesa, poiche’ tale elemento e’ estraneo al contenuto dell’illecito. ( Cassazione civile )

Art 1, 1 comma lett. C) del decreto legislativo n.50/1992 – interpretazione – negoziazioni che si svolgono nell’abito degli stands allestiti all’interno di una fiera o di un salone di esposizione.

Il testo letterale delle norme di cui al d. lgs. 15 gennaio 1992 n. 50, che ha dato attuazione alla Direttiva n. 85/577/CEE in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, deve essere interpretato in coerenza con le finalità perseguite dalla Direttiva. Ne consegue che la disposizione di cui all’art. 1, 1 comma, lett. c) del decreto medesimo, là dove include fra le fattispecie meritevoli di tutela i contratti o le note d’ordine che il consumatore sottoscriva in area, pubblica o aperta, al pubblica – fattispecie che fra l’altro non è inclusa fra quelle elencate dalla Direttiva – deve essere interpretata nel senso che non qualunque luogo pubblico od aperto al pubblico giustifica la peculiare tutela di cui alla normativa, bensì solo quei luoghi pubblici o aperti al pubblico che non siano di per sé destinati alle negoziazioni, ed ai quali il consumatore acceda per finalità estranee a quella di comprare, di vendere o di contrattare, si che l’eventuale iniziativa del professionista lo colga di sorpresa e impreparato alla difesa dei suoi interessi, (cfr. terzo e quarto Considerando della Direttiva). Non si può dire, quindi, che le negoziazioni che si svolgano nell’ambito degli stands allestiti dagli operatori all’interno di una fiera o di un salone di esposizione, siano in linea di principio assoggettabili alle disposizioni dell’art. 1, 1 comma, d. lgs n. 50/1992 cit., pur se si tratti di luoghi ai quali il pubblico possa liberamente accedere. In questi casi da un lato l’attività imprenditoriale non può propriamente ritenersi esterna alla sede dell’impresa, trattandosi di attività solo temporaneamente dislocata in luogo diverso dalla sede legale e dall’ordinaria sede commerciale. Dall’altro lato non si può in linea di principio affermare che il consumatore che acceda di sua iniziativa allo stand fieristico ed ivi concluda un affare si possa considerare in situazione tale da venire sorpreso e colto impreparato dalle offerte commerciali in cui si imbatte, dato che normalmente vi si reca proprio per conoscere e valutare tali offerte’. ( Cassazione civile sentenza-28-ottobre-2014-n-22863)

Determinazione della quota di spettanza della pensione e degli altri emolumenti percepiti dall’ex coniuge – criteri

Nella determinazione della quota di spettanza della pensione e degli altri emolumenti percepiti dall’ex coniuge, si tiene  conto  sia del criterio della durata dei matrimoni, sia  della eventuale esistenza di criteri correttivi (convivenza prematrimoniale, entità dell’assegno divorzile, condizioni economiche e personali) pervenendo però a una sostanziale equiparazione delle parti in conflitto nella attribuzione di tali indici di valutazione ulteriori sicché si ritiene  pressoché esclusiva la rilevanza della durata dei rispettivi matrimoni (Corte di cassazione, ordinanza n. 23102 del 30 ottobre 2014)

L.F. art 1 comma 2 D. lgs 169/2007 – mancato superamento congiunto dei tre parametri dimensionali prescritti – onere della prova

La L.F., articolo 1, comma 2, nel testo modificato dal Decreto Legislativo 12 settembre 2007, n. 169, aderendo al principio di prossimita’ della prova, pone a carico del debitore l’onere di provare di essere esente dal fallimento gravandolo della dimostrazione del non superamento congiunto dei tre parametri dimensionali ivi prescritti (Cassazione civile, ordinanza n.21939 datata 16 ottobre 2014)